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martedì 28 aprile 2015

Madrelingua, di Julio Monteiro Martins(ciao Julio, dovunque tu sia)

Alcuni anni fa scrissi la recensione di Madrelingua, di Julio Monteiro Martins. La riporto qui sotto. Julio dallo scorso dicembre non è più tra noi, ma un pezzetto della sua anima alberga nel mio cuore. Ciao Julio, grazie per tutto ciò che mi hai regalato!!!

"...proprio mentre scrivevo queste righe, è morto mio padre. Ho ricevuto una telefonata dal Brasile la mattina dopo. Lorenzo mi dormiva accanto, sul lettone, e non si è svegliato. Avevo la sua stessa età, sei anni, quando sulle sabbie bianchissime della spiaggia di Icaraì guardavo mio padre che saltava dalla piattaforma più alta di un grande trampolino di cemento a forma di "v", in mezzo al mare.
Ero sempre circondato da belle ragazze affascinate, che mi chiedevano quale fosse il nome del mio papà, e lo applaudivano quando saltava. Ero fiero di lui, di avere un padre così bello e coraggioso. Con le braccia aperte, la testa alta, guardando dritto innanzi a sé, si gettava in un salto conosciuto come "l'angelo". Ma io temevo per lui, e mi angosciavo fino a che non vedevo la sua testa spuntare nuovamente dall'acqua, ormai vicina alla riva...."
Questo è solo un esempio di ciò che questo libro-contenitore racchiude in sé: lo scrittore apprende della morte di suo padre, e interrompe la narrazione, esponendo al lettore la sua perdita e un suo struggente ricordo d'infanzia. La narrazione del libro è continuamente interrotta. Già fin dalle prime battute ci si accorge della presenza di un altro narratore, racchiuso tra parentesi quadre, che commenta con ironia e disincanto. Queste parentesi sono spiazzanti, quasi fastidiose, finché non ci si abitua all'idea che oltre al lettore, l'autore, il narratore nascosto(di cui parla Giulio Mozzi qui), i personaggi del libro, ci sia anche un'ulteriore presenza: il narratore, appunto, tra le parentesi quadre. Il narratore tra le parentesi quadre commenta, e spesso espone i retroscena della narrazione, ciò che succede dietro le quinte; la trama viene via via smontata, e dà delle motivazioni di ciò che l'autore stia tentando di fare. In altre parole, interviene in senso "metaletterario": la narrazione che parla di sé stessa, la letteratura che parla di letteratura. Di tanto in tanto, le parentesi quadre compiono dei percorsi tortuosi, come se il "narratore tra le parentesi quadre" rivendicasse il sacrosanto diritto alla digressione.
Un passo che mi ha molto colpito, anche perché non ne ho mai sentito parlare, è a pagina 31. Qui è scattata l'attrazione tra due personaggi del libro, e l'autore, per spiegare la cosa che più piacesse a "lui" di "lei", si trova costretto a tradurre la parola brasiliana "sacanagem": "...Sacanagem è l'atmosfera complice che si crea tra due persone, silenziosamente, in cui prevale un'intensa comunicazione di carattere sessuale: una sorta di energia dell'istinto, del "mondo del basso"..., che irrompe dentro un rapporto formale, sociale, insipido...per dire che uno spirito lascivo, lubrico, carico di desiderio sessuale, pieno dell'urgenza di nascondersi da soli da qualche parte, è comparso e si è affermato senza parole tra due persone. E'...la figlia prodiga e gioiosa della colpa cattolica e del politicamente scorretto, la più piacevole delle trasgressioni...basta che si trovi uno sgabuzzino, una soffitta, un garage, un cinema quasi vuoto."
Il narratore si concede molte libertà, in questo libro, tra cui anche il fatto che la narrazione, già di per sè frammentaria, si interrompa bruscamente, e lascia il lettore sospeso, con la curiosità di sapere come diavolo andrà a finire.
Comincia una breve appendice, suddivisa in varie voci elencate in ordine alfabetico(nomi, luoghi, autori) comparse nel libro; tra queste c'è anche una interessante teoria suffragata da una citazione di Borges("il telefono è il peggior nemico dello scrittore"), che ipotizza una competizione tra l'energia verbale del contatto orale e quella della scrittura. In altre parole: se state al telefono con la vostra cara amica per un'ora di seguito, difficilmente quel giorno avrete energia per scrivere. La vostra "pulsione narrativa" si sarà disciolta, le parole a vostra disposizione per quel giorno saranno terminate. Alla fine dell'appendice, comincia un finale che assomiglia ai titoli di coda di un film, durante il quale la telecamera va a pescare i vari protagonisti della storia e attraverso delle sintetiche immagini, ci racconta che cosa sia successo.
E' anche un libro intertestuale: ci sono continui omaggi e riferimenti a libri e film. Tanto per citarvene uno: "Il Ponte Vecchio, su cui le vecchie case sembrano nidi, si infila come un nastro nero in una seta giallo-sole."(Rilke). E' un libro breve, novantanove pagine, ma proprio questa intertesualità può farvi esplodere il libro tra le mani, se avete la voglia di (ri)vedere e (ri)leggere ed ascoltare i film e i testi e le musiche di cui Julio parla nel corso del libro. Attraverso questa narrazione così strana e sperimentale, è come se conoscessimo un amico che ci parla davanti ad un bicchiere di vino dei suoi gusti artistici, delle sue delusioni e gioie in amore, della sua vita sociale e politica, della sua idea di bellezza, del suo disperato tentativo, appunto, di diventare a pieno titolo un "consumatore di bellezza", come tentano di fare - azzardo una presunzione - molti lettori che passano da queste parti.
Madrelingua, Julio Monteiro Martins, Besa Editrice.

lunedì 27 aprile 2015

Fare o pensare?

Nel 2008 aprii questo blog in occasione di un mio viaggio in Sicilia. Avevo quest'idea: attraversare l'isola seguendo una specie di diagonale interna, partendo da Trapani e arrivando a Milazzo dopo aver attraversato i Nebrodi, le Madonie e i Peloritani, in una settimana di viaggio, un fantastico viaggio in solitaria con la mia bicicletta. Aprii questo blog, dicevo, e scrissi le mie impressioni di viaggio giorno per giorno. Così facendo, però, dovevo alzarmi prestissimo ogni mattina per scrivere, e poi pedalare tutto il giorno. E' presumibile pensare che avrei potuto affrontare le mie giornate con maggiore freschezza, o con più tempo a disposizione per soffermarmi su quei meravigliosi paesaggi se non avessi dovuto scrivere ogni giorno. Nei miei successivi viaggi, ho preso scarni e frettolosi appunti, compensati da foto segnalibro dell'esistenza, per poi scrivere i miei resoconti una volta tornato a casa.
E quindi? Meglio vivere totalmente, o soffermarsi spesso a pensare cosa aver vissuto? Non lo so.
Questa vita è  probabilmente un sentiero stretto stretto,"questa vita che ti passa accanto ti saluta e fa bye-bye, questa vita un poco umida di pianto con i giorni messi male...", dove è meglio cercare di fare tutto ciò che è umano fare, rinunciando a qualche ora di sonno, cercando il tempo sia per vivere che pensare.
Da circa nove mesi dovrei fare una revisione del romanzo che ho scritto, certamente migliorabile, e trovo che la vita - il fare - mi impedisca di pensare. Vorrei avere il tempo per fare: tempo da trascorrere con i miei figli, tempo per viaggiare, fare l'amore con chi mi vuol bene, lavorare con coscienza e professionalità, correre, nuotare, andare in bici, vedere i miei amici, e tempo per pensare: praticare reiki, leggere, scrivere, guardare un film, suonare, rivedere il romanzo, e pensare alla vita che ho fatto, al tempo da me vissuto e costruito.