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domenica 22 novembre 2009

Viaggio in Scozia 5 - verso le montagne






E' l'undici di giugno 2009, giovedì. Stamani ho puntato la sveglia alle 4. Tra poco me ne tornerò a letto, ma intanto spero di vedere, dalla mia camera, il sole che si leva dal mare. I bagliori nel cielo mi dicono di sì, forse le nuvole sono più distratte a quest'ora. Sì: la luce si concentra in un punto, intanto tento qualche foto. Ho un giardino davanti alla mia camera, e il sole passa da una fessura all'altra, via via più netto e luminoso. Il solstizio d'estate si avvicina, e a questa latitudine la lotta tra la luce ed il buio è drammatica; ora è la vita, ma a dicembre è durissima vivere qui, una specie di miracolo, con un vento tagliente, il freddo, e quattro ore di luce. Una durezza di questa gente che si tempera con l'accoglienza e il calore, l'ospitalità che in molti dimostrano, senza alcuna necessità né voglia di doversi "prostituire" ai turisti. Lo spettacolo dura una ventina di minuti, ora prevale il sonno e me ne torno per tre ore a letto.
Oggi non torno sui miei passi, ma punto verso la parte sud dell'isola di Skye, ritornando in Scozia con un traghetto, una mezz'ora di navigazione. Alle otto e mezzo lascio il B&B - anche qui una finestra del soggiorno che si affaccia su una vista da sogno - e cerco di pedalare di buona lena per raggiungere Armadale a ventisette chilometri, il traghetto parte ogni mezz'ora. Un primo tratto collinare pressoché deserto è costituito da brughiera senza alberi e da vento dell'Oceano, e un'aquila mi tiene compagnia per una decina di minuti. La vedo ad una cinquantina di metri da me, parte in volo da un costone di roccia e comincia la sua danza di avvitamento nell'aria, e sale, sale. Raggiunge in breve il monte più alto visibile da qui, e continua a salire. Dal punto di vista strettamente utilitaristico, non le serve a niente salire così in alto: non ci sono ripari, non c'è cibo lassù, non ci sono altri esemplari della sua specie. Io credo che lo faccia per il puro piacere di volare alto come solo lei sa fare, e forse perché ogni tanto se ne vuole stare da sola, in silenzio.
Raggiungo la costa est dell'isola che guarda costantemente la vicina Scozia. L'ambiente si ravviva: è un susseguirsi di calette con acqua trasparente, e versanti collinari con erba verde smeraldo e fiori che muoiono nel mare. Crescere in questi posti significa abituarsi alla bellezza ubiquitaria, senza compromessi.
Raggiungo il traghetto, durante la navigazione scambio quattro chiacchiere con una coppia di italiani in luna di miele. Loro hanno fatto con la macchina un percorso molto più ampio del mio, è un altro tipo di vacanza. Ogni sbaglio, deviazione o strada interrotta è per loro un piccolo contrattempo di cinque minuti, io lo vivo con intensità e delusione; per contro, di fronte ad uno struggente panorama, un regalo inatteso che si apre improvvisamente agli occhi dietro una curva, io me ne rallegro il doppio di loro. E la sera quando guardo sulla cartina la strada che ho percorso, penso con soddisfazione al fatto che le mie gambe hanno fatto tutta questa strada, nient'altro che le mie gambe.
Ecco Mallaig, un piccolo centro con un porticciolo denso di pescherecci. Dicono che si possa vedere qualche foca da queste parti, mi soffermo sull'acqua per qualche minuto, nessun avvistamento. Rimonto in bici, e percorro la strada che mi porterà a Fort William, un tragitto ondulato che per il primo tratto si mantiene vicino al mare.La strada va decisamente a sud, e finché è possibile, costeggia il mare. Allontanarsi dal mare è una follia, soprattutto se punteggiato di scogli e isole, frastagliato dal vento e dalla salsedine, disegnato dalla mano di un bimbo fantasioso che lo ha dotato di golfi, calette, istmi, scogli, ghiaia, dune; per giunta ti giri sull'altro lato della strada e trovi un susseguirsi di canali e laghi, il confondimento è massimo. La poesia si interrompe nell'attimo in cui comincia a piovere: una pioggia fredda e torrenziale che mi costringe a mettermi k-way, i pantaloni e le sacche impermeabili sugli zaini. Continuo a pedalare per un'ora in una melma composta di acqua e fango.
La strada piega ad ovest, torna il sole e pare che la pioggia non sia mai esistita. Ora costeggio per una quarantina di chilometri il lungo e stretto Loch Eil, fino a Fort William, una graziosa cittadina dotata di due piazze, una via che le collega, e dei villini nelle vie circostanti. E' un punto strategico di partenza per le escursioni verso il Ben Nevis, il monte più alto del regno unito, sopra i 1300 metri. La sua cima, eternamente ricoperta - anche d'estate - di una placca di ghiaccio, è sgraziata: è ripiegata su se stessa, come la sommità di un cono gelato che si sta sciogliendo. Molti turisti, dunque, il che mi crea problemi per trovare un B&B. Dopo alcune telefonate, nonostante i 100 chilometri già percorsi, sono costretto a farne altri 17 per raggiungere un B&B a Onich, completamente immerso nel bosco. L'ultimo tratto di strada, comunque, è un bellissimo lungo lago del Loch Linnhe tappezzato di abeti e faggi. Sono le 20,30, il sole è ancora altissimo, il cielo è di un blu così denso che pare un mezzo solido. Sono contento.
A domani
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