Pagine

sabato 30 gennaio 2010

Viaggio in Scozia 7: l'arrivo





Sabato 13 giugno 2009, mattina.
Ieri sera, mentre cercavo su Internet un albergo, pensavo ad oggi. Al ritorno ad Itaca, insomma. Bisogna cambiarsi d'abito, ma c'è ancora oggi. Pensavo al fatto che mi trovavo in un posto che ha una densità abitativa di gran lunga inferiore alle zone interne del grossetano o della Barbagia in Sardegna. Con questi pensieri stavo girando a vuoto, non stavo andando da nessuna parte, complice la stanchezza, ma avevo la sensazione di essere vicino ad una intuizione profonda ed importante, come in un sogno vivido. Ero in un pub in cui uomini e - poche - donne si ritrovano alla sera da sempre per suonare e cantare le ballate di sempre. Le stesse di tutte le sere.
Pensavo al mio risveglio, il risveglio di oggi già inzuppato di casa, di partenza dell'indomani, di città, di aereo, di auto, di albe assonnate, di galli stonati, di agenda, di planning, di scrittura quotidiana come quella che sto facendo adesso, di lavoro, di abbracci, di nuove partenze, di un'Itaca che guarda, di un'Itaca che ho e che a tratti mi pare di non avere. Itaca ti sfugge all'improvviso: è un'anguilla che tieni tra le mani, apparentemente quieta, che improvvisamente guizza e salta nell'acqua, forse la riprenderai, forse no. Puoi improvvisamente ritrovarla, puoi improvvisamente perderla.
E' una giornata piovigginosa. Stacco i lucchetti della bici appoggiata ad una panchina, sono immerso nella campagna e devo legare gli zaini. Sento i moscerini di questi posti, i midge, che si adagiano su tutte le mie parti esposte: viso, mani, soprattutto le gambe e cominciano a pungermi. Mi dò qualche manata su gambe, cosce, e viso, saltello qua e là come se stessi facendo una danza jodel, e la frenesia mi fa tardare l'operazione di legatura degli zaini, impiego qualche minuto prima di partire. Risultato: dal segno dei calzini fino a quello dei pantaloncini mi resteranno sulla pelle per due settimane centinaia di urticanti punti rossi.
I moscerini non mi danno tregua, sento il mio corpo bruciare, parto a spron battuto, imbocco verso la mia destra la discesa, destinazione Glasgow. La strada si insinua attraverso boschi fitti, il cielo è di colore plumbeo. Discesa, salita, le pendenze sono lievi. Dopo qualche chilometro vedo un lago non molto esteso che corre parallelo alla strada, non ci avevo fatto caso sulla cartina, è una lieta sorpresa: l'acqua è immobile e il monte che si trova sulla riva lontana si riflette specularmente nell'acqua. Non trovo alcuna casa lungo questo tratto, c'è solo il profilo di un monte che, per una buona ora di pedalata, mi fa compagnia alla mia sinistra, la strada si trova in una specie di fondovalle. Arrivo ad un distributore in prossimità di un bivio, leggo le alternative e non riconosco i nomi - Perth a destra e Killin a sinistra - rispetto alla mia destinazione. Non capisco. Mi fermo al distributore e consulto più attentamente la cartina. Non voglio credere all'evidenza dei fatti, come quando scopri - che so - il colesterolo alto nonostante il tuo stato di benessere. Ho sbagliato strada, alla grande. Che pollo. Invece di andare verso sud, da Crianlarich sono andato verso est. Per diciassette chilometri. I moscerini non mi hanno dato il tempo di ragionare - debole attenuante - e dal B&B immettendomi sulla strada asfaltata ho preso la direzione opposta a quella che avrei dovuto percorrere. Mi mangio un kitkat, faccio la pipì, respiro a fondo e cerco una strada di raccordo tra dove sono ora e dove dovrei essere, una specie di scorciatoia. Non c'è. "Tornate indietro quando potete" è l'unica cosa sensata da fare. Consulto l'orologio. Non arriverò mai a Glasgow per la sera.
Entro dentro il bar del distributore. Chiedo: Sì, mi dicono che c'è la linea ferroviaria a Crianlarich che va a Glasgow. La mia meta è improvvisamente cambiata: la stazione di Crianlarich, si torna al punto di partenza, come nel gioco dell'oca quando capiti sul 58. Dopo altri diciassette chilometri passo davanti al B&B e ai moscerini. Sì, cari moscerini, mi mancavate e sono tornato a salutarvi. Proseguo verso il crocevia, il nodo nevralgico del paese, giro a sinistra, verso sud e mi fermo alla stazione. Sono le due e un quarto, il treno per Glasgow è passato da mezz'ora, il prossimo passerà alle cinque e mezzo. Mi girano le scatole. Prendo un tè nel bar della stazione, mi calmo e decido di proseguire verso sud, fino alla fermata successiva, ad Ardlui, almeno faccio altri dieci chilometri di bosco, e così arrivo all'inizio del Loch Lomond, l'inizio del parco nazionale. Questo ultimo tratto di bici è caratterizzato dal fatto che la strada è scavata in fondovalle e accompagnata, a destra e sinistra, costantemente da monti. Mi fermo a fare qualche foto alle mucche con il lungo pelo fluente color mogano, caratteristiche della Scozia. Poi arrivo alla stazione deserta di Ardlui, comincia a piovere forte, questo mi consola un po'. Pensarmi 35 chilometri più avanti, immerso nel parco nazionale in una splendida giornata di sole sarebbe stato insopportabile. Alle 17,47 arriva il trenino a gasolio, e si scioglie l'ultima grossa incognita della giornata: c'è posto per la mia bici, il treno ne può contenere fino al numero massimo di quattro, la mia è la terza. Mi sistemo sui sedili, mi gusto la lunga riva del Loch Lomond, dopodiché - siamo quasi a Glasgow - assisto all'aumento progressivo delle case, strade, auto, un po' mestamente.
E' tempo di tornare.
La città, Glasgow, è il mezzo del ritorno, ma la mente si sofferma sui giorni precedenti, sui 525 chilometri percorsi in mezzo alla natura, davanti a gole solcate da strade che si perdono all'infinito, con monti tappezzati per intero da verdi di mille sfumature, o a fiordi così stretti da confonderti - fiume, lago, mare - sotto un cielo blu cobalto e centinaia di nuvole che si rincorrono, con il vento che ti accarezza.
E' tempo di tornare. Con una scorta di gioia, grato alla vita, a quella presente.
(Toni La Malfa)

martedì 12 gennaio 2010

Miloud

Cara Irina,

è un po' che non ti sento, e non ti vedo, ovviamente. Una delle cose che mi fa più impazzire è proprio questa: l'impossibilità di vederti; avverto anche fisicamente il legame che esiste tra noi, come un elastico che si tende in base alla nostra lontananza, e questa tensione non è risolvibile in alcun modo. Ogni giorno questo elastico teso mi condurrebbe da te; per abbracciarti, per guardare i tuoi occhioni imbevuti di curiosità, per far sì che possiamo resistere insieme. Invece dobbiamo resistere da soli.

Non me la passo male, tutto sommato.

Ho trovato un posto vicino alle condutture, mi sono sistemato con dei cartoni, ed ho un buco nel muro che riesco a tappare con dei pezzi di cornicione, dove posso riporre con una certa sicurezza le cose più care: la tua foto, penna e quaderno, e i Lei che riesco a mettere da parte. Insomma, riesco a cavarmela, e ho capito le principali regole di sopravvivenza qui sottoterra, e anche sopra. Cerco di evitare la squadra di Ivan, che trova qualsiasi pretesto per pestarti, questa è una delle mie preoccupazioni principali; poi trovo qualche alleato, e perfino qualche buon amico. Di giorno è meglio uscire, nonostante il freddo: diventa pericoloso stare molte ore giù, perché squadre come quelle di Ivan sono più attive, ed i litigi e le risse sono la regola. Salgo allora in superficie per tutto il giorno, il freddo non mi dà tanto fastidio, chiedo l'elemosina ai turisti, e in genere raccatto un po' di Lei che mi bastano per i pasti al Mac Donald e per l'Aurolac.

Non ce l'avrei fatta ancora per molto lì dentro, sorellina. Temevo che mi sarebbe successo come a Stefan, ricordi? Qualche protesta, pochi segni di insofferenza e ti mandano nel centro di Igiene Mentale. Ora posso decidere di me stesso, è già qualcosa. E ti ripeto la cosa più importante: ho qualche buon amico con cui parlare.

Sono preoccupato per te. E mi manchi. Puoi spedire le tue lettere a Nikolai Dragomir presso l'Hotel Lebada, 3 Buirintei Boulevard, qui a Bucarest. Ha trovato un lavoro come facchino, è un amico.

Tuo Vasile

Caro Vasile,

grazie al cielo sei vivo. Mi preoccupo per te ogni giorno che passa. Non abusare di quell'Aurolac, ti prego, so che non fa bene, lo sai anche tu. Io sto bene; ho un letto e dei pasti, un po' di tempo per leggere e studiare. E' vero, gli educatori non sono il massimo, ma ho del tempo per pensare a me stessa. E' anche vero che non ho il cielo ma sempre un soffitto sopra la mia testa.

E ho dei progetti.

A diciott'anni me ne andrò via: forse a Napoli, dove c'è quel golfo stupendo e quel mare dove puoi fare il bagno senza rabbrividire, oppure in Normandia, dove quelle scogliere ti fanno venire le vertigini di bellezza, dove senti il vento tra i capelli. E vorrei che tu venissi con me. Sto imparando l'inglese ed il francese, insomma cerco di darmi da fare. Mi manchi, forse potremmo farcela meglio insieme. Mi manca il gioco, lo scherzo, il contatto con te. Come ridevamo bene insieme, anche quando c'era poco da ridere. Ma capisco la tua scelta, certi giorni avrei anch'io voglia di scappare. Non dispero, però. Anch'io ho delle amiche ed amici qua dentro. Io non dispero mai, vedo delle cose belle anche qui, so che ci sono.

E spero. Spero per noi, Vasile. Spero per noi.

Tua Irina

Cara Irina,

non ti preoccupare per me. So che schifezza sia l'Aurolac, ma riesco a gestirmela. La sniffo solo qualche volta in una settimana, mi dà calore, mi sento a casa, in una casa che non ho, mi sento coccolato come se ci fossero ancora il papà e la mamma, e le immagini sono più vivide. E' vero, dopo tutto torna come prima, ma almeno ho qualcosa da ricordare.

Io non ho progetti, non so come andrà a finire, Irina. So solo che per oggi sono a posto.

Mi sento bene con Daniel, un ragazzo con cui parlo, lo vedo spesso durante il giorno. E anche con altri due, Omar e Valentin, con cui ci aiutiamo; Omar ha un'armonica a bocca, la suona benissimo, e dovresti sentire come si diffonde bene la musica nelle fogne; non sembrano più fogne, quando suona Omar. Mi sento bene con loro, tutto qua. E sto bene quando penso a te, e mi immagino un giorno di avere una casa e di dividerla con te. Non sono progetti, queste cose, ma mi fanno andare avanti.

Ma tu, Irina, tieniti stretto il tuo, non lo mollare.

Un abbraccio

Vasile

Caro Vasile,

è l'amore che ci manca, qui, a me, e fuori, a te. Qui in certi giorni è molto dura r-esistere. Siamo spesso maltrattati, o ignorati da educatori che pensano solo alla fine dell'orario di lavoro, che mai ci degnano di una attenzione. Ci sono anche degli educatori ed insegnanti bravi, ma neanche loro si sognano di stringerci, di abbracciarci, più semplicemente di considerarci. Forse hanno anche loro delle situazioni complicate, fuori di qui, che li prosciuga completamente. L'amore, non ce n'è traccia, Vasile.

Pensa alla tristezza che i nostri genitori hanno dovuto sopportare quando ci hanno abbandonato. Io non ricordo niente, avevo due anni, tu cinque. I tuoi racconti sono stati preziosi per me; la mamma con la coda di capelli, le lentiggini(come ce l'hai tu), il papà con gli occhiali di plastica neri, le mani grosse, altissimo. Queste figure tornano, soprattutto nell'ora in cui sto per addormentarmi, come esseri misteriosi e affascinanti. Mi domando se arrivino attraverso i tuoi racconti, o i miei ricordi di neonata e poi bambina. Ma arrivano, ed è bello sentirli arrivare. Un giorno ho pensato che fosse venuta la mamma a rimboccarmi le coperte, invece era Sonia che era scesa dal letto a castello e aveva mosso il mio materasso, l'ho vista dopo, quando è tornata. E' stato bellissimo, anche se non era vero: l'ho vista in quel sogno vivido la mamma, con la coda di capelli castani, e le lentiggini.

Non mi dimenticherò mai il mio progetto, sta' tranquillo.

Sta' attento, io ho solo una vaga idea di come passi la tua giornata, ma certamente ti capitano situazioni pericolose. Evitale, se puoi, abbi cura di te.

Mi manchi

Irina

Cara Irina,

è successa una cosa qua sotto. E' arrivato uno straniero, si chiama Miloud Oukili, e ha preso posto tra noi, qui con i cartoni. Non conosce il rumeno, e ci chiede continuamente come si dice questo e quello in rumeno, in cambio ci insegna dei giochi da circo che possiamo fare per chiedere l'elemosina.

Sa farsi rispettare, è un duro quando occorre.

Poi ci ha chiesto di preparare dei numeri da fare in strada, tutti insieme, a chi volesse farlo. A me sembrava matto, ma poi - non so com'è - ho accettato e anche altri si sono uniti. Abbiamo preparato dei numeri, ci è voluto un mese intero, poi abbiamo fatto questi giochi da prestigiatori e saltimbanchi e giocolieri su in strada. Irina, è stato bellissimo. La gente applaudiva, abbiamo raccolto molti soldi, insomma, sì, abbastanza per le nostre esigenze. Ora ogni giorno lavoriamo per fare nuovi numeri.

Miloud è un vulcano di idee. Ci ha imposto delle regole, adesso: chi voglia stare con lui non deve usare l'Aurolac, niente alcol, niente lamette; dobbiamo tenere pulito il posto dove dormiamo, niente rifiuti, niente cicche accanto ai cartoni. Per molti di noi sono regole impossibili, ma ci stiamo provando. E ci dobbiamo lavare spesso, nelle perdite delle condutture d'acqua calda, altrimenti puzziamo e la gente non scuce nemmeno un Lek.

Ha dei progetti, vuole andare con noi in giro per l'Europa a fare degli spettacoli. Non mi sembra vero, Irina. Ma dovesse accadere, ti porterò con me, via da lì. A Napoli, in Normandia, se ci saranno spettacoli. E anche in altri posti, ce ne sono tanti belli in Europa.

Spero per noi, Irina

Tuo Vasile