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venerdì 26 febbraio 2010

Ad eccezione delle belle donne albanesi



Su Repubblica on-line del 15 febbraio ho letto questo articolo che mi pare molto interessante.
Lo ricopio e lo riporto qui sotto.

"Egregio Signor Presidente del Consiglio,

le scrivo su un giornale che lei non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto senso dello humor ha toccato persone a me molto care:"le belle ragazze albanesi". Mentre il premier del mio paese d'origine, Sali Berisha, confermava l'impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che "per chi porta belle ragazze possiamo fare un'eccezione."

Io quelle "belle ragazze" le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite violate, strozzate, devastate. A "Stella" i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola: puttana. Era una bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di stupri collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria, e chissà quanti altri. E' solo allora - tre anni più tardi - che le incisero la sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio.

Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società, non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel puttana sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell'uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l'utero.

Sulle "belle ragazze" scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo Sole bruciato. Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera: andai in cerca di un'altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi aveva pregato in lacrime di indagare su di lei. Era un padre come tanti altri padri albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate, appese a testa in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre, affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua a sperare, sogna il miracolo. E' una storia lunga, Presidente... Ma se sapessi di poter contare sulla sua attenzione, le invierei una copia del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due chiacchiere con lei. Ma l'avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio.

In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche righe gliele dovevo. In questi vent'anni di difficile transizione l'Albania s'è inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e testa alta. L'Albania non ha più pazienza né comprensione per le umiliazioni gratuite. Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci.

* Elvira Dones, scrittrice-giornalista
.
Nata a Durazzo nel 1960, si è laureata in Lettere albanesi e inglesi all?Università di Tirana. Emigrata dal suo Paese prima della caduta del Muro di Berlino, dal 1988 al 2004 ha vissuto e lavorato in Svizzera. Attualmente risiede negli Stati Uniti, dove alla narrativa alterna il lavoro di giornalista e sceneggiatrice. © Riproduzione riservata (15 febbraio 2010)

giovedì 25 febbraio 2010

Recensione in bottega



Su "Bottega di lettura" ho inserito una recensione sul libro una recensione sul libro "Sequenza di dolore", di Rosa Elisa Giangoia.
Buona lettura

lunedì 15 febbraio 2010

George tra le nuvole, ovvero Ryan(in the)Air


Ti specchi negli occhi di una trentenne, e capisci di essere un anziano. A poco servono le palestre, le creme antirughe, il controllo del peso, un aspetto "giovanile"(che brutto termine!), il sollievo di essere ancora in buona salute. Allora senti che la vita ti scivola via in fretta, e sei costretto a fare un bilancio.
E' ciò che succede a Ryan Bingham, alias George Clooney, protagonista del film "Tra le nuvole", film che mi pare molto bello.
Il fatto, per me, di essere coetaneo di "giooorg"(più che coetaneo, direi, visto che sono nato lo stesso giorno mese e anno), mi ha dato il valore aggiunto di seguire con grande interesse il film in questione, perché questa storia parla anche di un'età, l'età di mezzo.
Parlerò con voce narrante in prima persona, ipotizzando uno dei tanti punti di vista possibili.

Mi chiamo Ryan Bingham.
Vivo tra le nuvole, cambio di continuo aerei e giacche e alberghi. Alberghi. E non ho una dimora fissa.
Il mio lavoro è piuttosto incomprensibile. Mi pagano per dire a decine di persone in ogni giorno dell'anno, in ogni angolo d'America: hai perso il tuo lavoro, ma non ti devi scoraggiare; nella sedia in cui sei adesso, qualche tempo fa stava seduta una persona come te che avrebbe fatto in seguito grandi cose, che aveva colto tutto questo come un'opportunità e non come una sciagura, amico, va tutto bene. Va tutto bene un cazzo, mi rispondono. Ma io sono uno specialista in questo lavoro, queste persone non hanno reazioni violente nei miei riguardi, è già un successo, e riesco a fare tutto questo in un modo che definirei umano, al posto dei loro datori di lavoro che non hanno i coglioni per dire certe cose, che cercano di limitare al massimo i loro rapporti umani, soprattutto in certe occasioni.
Non ho una relazione fissa. Mi incontro, a seconda dei cambi di città, con una donna che mi vede solo di notte; ci ripariamo, protetti dagli improbabili ombrellini di soft-drinks, oppure sfidiamo impavidi il vento del condizionatore di una camera d'albergo. Io e lei, due parentesi fatte l'uno per l'altra che scopano alla grande.
Sì, io sono una parentesi. Vivo qui, di aereo in aereo, tra le nuvole. A volte bello, molte altre meno. Non ho nemmeno le radici aeree di un'orchidea, no. Le radici non le ho affatto.
Immaginavo di essere una parentesi, ma quando te lo dicono in faccia fa un altro effetto. L'avevo intuito l'altra sera. Stavo davanti ad un auditorium pieno di persone, e stavo tenendo uno di quei corsi motivazionali del cavolo. Parlavo di relazioni interpersonali utilizzando una metafora: parlavo di uno zaino. Sì, uno zaino legato alla schiena in cui proponevo ai corsisti di inserire tutte le relazioni che abbiamo: da quelle insignificanti come gli incontri occasionali di un'ora o di un giorno, agli amici lontani, ai parenti, agli amici importanti a cui confidi i tuoi segreti e i tuoi sfoghi, all'amante, infine alla persona con cui vorresti trascorrere il resto della tua vita. Mi sono reso conto, mentre parlavo, che il mio zaino è mezzo vuoto. In questo corso motivazionale dovevo far capire ai partecipanti che con uno zaino troppo pieno non ce la fai a muoverti, che le relazioni sono un impedimento. Non ce l'ho fatta. Ho invidiato gli zaini altrui, pieni di suocere incazzate e di mogli petulanti e di figli che ti saltano addosso appena torni a casa. Li ho invidiati, tutti quanti. Non ce l'ho fatta, li ho piantati tutti lì. Ho intuito, dicevo, ma mi sono riempito di speranze.
Mi ha trapassato la mente, in quel momento, la scena di un film, "Harry ti presento Sally": il momento in cui Harry corre a perdifiato, attraversa mezza New York per raggiungere Sally e dirle che quando ti rendi conto che vorresti trascorrere il resto della vita con una persona, la persona che ami, vorresti cominciare quel nuovo capitolo della vita prima possibile. E così ho fatto io.
Vado all'aeroporto, prendo un aereo per Chicago, una macchina a noleggio, raggiungo casa sua, la casa di Alex, ho in mente tutto quello che ha detto Harry a Sally, e suono.
Alex mi apre, quasi una smorfia di dolore. Non è la stessa Alex che conosco; lei in genere sorride, è disinvolta, ospitale. Io dico "Ciao" e sorrido.
"Alex, chi è alla porta?"
"No, niente, un signore che ha sbagliato indirizzo..."
La porta si richiude.
Il giorno dopo Alex mi telefona incazzata. Come ti sei permesso. Scusa ma non sapevo che tu avessi un marito, dei figli...Ryan questa è la mia vita, tu sei solo una parentesi.
Una parentesi. Il finale di "Harry ti presento Sally", questo avrei invece desiderato.
I momenti dopo altri momenti, una somma di momenti che fanno mezza vita, poi aggiungi una piccola manciata di momenti, basta poco - il problema è che non sai esattamente quando - ed ecco che i desideri vanno a male, impazziscono, sanno di aceto. Ti rimane quel sapore di aceto, interrompi la conversazione e guardi il telefono come fosse un alieno.
E cadi tra le nuvole. Fino al prossimo aereo.
(Toni La Malfa)

martedì 9 febbraio 2010

Segnalazione


Nella bottega di lettura ho pubblicato una recensione sul libro "La rilegatrice di libri proibiti"
A presto