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giovedì 31 gennaio 2013

A Cesenatico? No, grazie!



La giunta comunale di Cesenatico (pdl, lega e udc) ha deciso di rispolverare e mettere in bella mostra un busto in bronzo di Benito Mussolini. E' un'opera artistica di grande rilievo? No. E' un busto in bronzo di scarso valore artistico, come tante amministrazioni del ventennio fascista possedevano, un'opera seriale, uguale all'immagine che abbiamo nella testa del duce con mascella volitiva e sguardo sprezzante verso l'infinito e oltre. Quindi, immagino che l'intento di mettere in mostra un'opera del genere abbia fini del tutto diversi da quelli artistici.
Ho deciso che, se in futuro avessi un fine settimana o una vacanza da trascorrere nella bella Romagna, eviterò con cura di mettere piede in alberghi e ristoranti del comune di Cesenatico. E' l'unica arma che ho a disposizione per esprimere il mio dissenso, e questa uso.
Se avete un blog, potete esprimere la vostra opinione in merito, oppure spedire una mail a:

sabato 26 gennaio 2013

Lo rifarei



Nel film Invictus, durante un colloquio tra Nelson Mandela ed il capitano della squadra  nazionale sudafricana di rugby, Mandela chiede:
"Come va la caviglia, capitano?"
"Mah...nello sport non si è quasi mai al 100% della forma, signor presidente."
"Nemmeno nella vita, capitano."
Durante la maratona che ho corso a Lucca, e anche durante tutto il mese precedente, ho pensato a questo dialogo. Avevo un dolore persistente al tendine di Achille sinistro, che non prometteva niente di buono. Sia durante gli allenamenti che durante la gara. Ho resistito per un mese, cercando di allenarmi su terreni morbidi e facendo tanto stretching, e dopo la maratona mi sono fermato per capire come stavo messo al tendine. Dopo una risonanza magnetica, il verdetto: tendinosi del tratto medio del tendine di Achille. L'ortopedico mi ha consigliato di non correre più, dedicarmi alla bicicletta - che faccio comunque con piacere - o al nuoto. Al limite di corsa se ne potrebbe riparlare tra sei mesi, se c'è una buona risposta del tendine al riposo e a due cicli di terapie con onde d'urto. Se c'è. Insomma, ho appeso le scarpe al chiodo, per sei mesi o per sempre.
Quest'anno compirò 52 anni, e lo scorso anno durante i miei ritagli di tempo libero mi sono allenato per preparare la maratona. Usando la ragione, avrei dovuto interrompere la preparazione alle prime avvisaglie di dolore. Con il cuore, rifarei esattamente quello che ho fatto, anche perché non so quando avrei avuto nuovamente la possibilità di preparare una maratona nella mia vita. Sono anche contento di aver terminato la corsa nel modo più romantico: con una maratona, la corsa più bella del mondo, in mezzo al freddo, il vento e la pioggia battente, correndo gli ultimi chilometri con tanta fatica e tanta gioia. Sì, rifarei esattamente tutto allo stesso modo. Genericamente parlando, e con le dovute eccezioni, trovo detestabili le persone che non hanno mai avuto infortuni, ferite, difficoltà. Le persone che non hanno mai azzardato un margine di rischio in ciò che fanno o hanno fatto, che preferiscono mettere al sicuro i loro talenti, conservandoli, non si sa mai. Nella vita, come nello sport, non si può mai essere al 100%. E' meglio vivere, piuttosto che stare a guardare.

sabato 19 gennaio 2013

Sopra le nuvole





L'altro giorno sono uscito con la bici, non avevo una gran voglia. La piana di Lucca era immersa nelle nuvole, e il freddo umido entrava nelle ossa. Comunque, visto che c'erano sei-sette gradi, c'era la possibilità, per niente scontata d'inverno, di salire su una montagna dei paraggi, e così ho fatto. Sono andato sull'Altopiano delle Pizzorne, che arriva quasi a mille metri di altitudine. E' una salita impegnativa ma che ti consente di startene per conto tuo: spesso per dieci chilometri non incontro anima viva, e il silenzio, l'allontanamento dal chiasso della città che si sveglia sono per me un grande valore aggiunto. Si arriva, a meno di metà salita, ad un bel paesino, Matraia, un pugno di case abbarbicate chissà come sul crinale del monte. In quel punto mi trovavo avvolto dall'umidità di una nuvola bianca, che non consentiva una grande visibilità. E salendo ancora un chilometro dopo il paese, si è aperto il cielo: le nuvole stavano sotto di me, uno strato denso e bianco che si perdeva all'orizzonte, e il cielo pulito e azzurro, come una primavera fuori programma, che accoglieva solo quelli che riuscivano a salire. Sotto, l'inverno, e sopra il tepore di un sole accogliente. Ho continuato a salire, fino in vetta, rallegrato da questa sorpresa. Il Serra e le Apuane in lontananza, parevano delle isole, e le nuvole si erano trasformate in un mare infinito.

lunedì 14 gennaio 2013

Le farfalle, di Mario Quintana



Le farfalle, di Mario Quintana

Quando poniamo molta fiducia o aspettative in una persona, il rischio di una delusione è grande.
Le persone non esistono in questo mondo per soddisfare le nostre aspettative, così come noi non siamo qui per soddisfare le loro.
Dobbiamo bastare... dobbiamo bastare a noi stessi sempre, e quando vogliamo stare con qualcuno dobbiamo essere coscienti che stiamo insieme perché ci piace, lo vogliamo e stiamo bene, giammai perché abbiamo bisogno di qualcuno.
Una persona non ha bisogno dell'altra, esse si completano... non per essere due metà, ma per essere un intero, disposte a condividere obiettivi comuni, gioia e vita.
Nel corso del tempo, ti rendi conto che per essere felice con un'altra persona, è necessario, in primo luogo, che tu non abbia bisogno di questa persona.
Comprendi anche che la persona che ami (o pensi di amare) e che non vuole condividere niente con te, sicuramente, non è l'uomo o la donna della tua vita.
Impara a volerti bene, a prenderti cura di te stesso, e principalmente a voler bene a chi ti vuole bene.
Il segreto non è prendersi cura delle farfalle, ma prendersi cura del giardino, affinché le farfalle vengano da te.
Alla fine troverai non chi stavi cercando, ma chi stava cercando te.
 

giovedì 10 gennaio 2013

Progetti per una visita a mia moglie, di Romolo Bugaro



 Qui sotto c'è, secondo la mia modesta opinione, uno dei più bei racconti scritti in Italia da vent'anni a questa parte. Avrei voluto scriverlo io.



Romolo Bugaro
Progetti per una visita a mia moglie



La targhetta sul campanello sarà sempre la stessa, G. Ambrosi – F. Berti. Troverò strano non sia stata ancora tolta di mezzo. Come se negli ultimi tempi non fosse successo niente di particolare, alla fine. Suonerò al campanello di sotto e la luce del videocitofono si accenderà con un minuscolo clic, bianca e concentrata. Mi preparerò a dire qualcosa guardando verso la telecamera, ma non servirà. Il portone si aprirà quasi subito, senza che nessuno chieda chi è. Magari non capirò bene il motivo, ma quel silenzio mi sembrerà già un brutto inizio. Un piccolo torto. Una specie di sgambetto prima ancora di cominciare.
L’atrio del palazzo sarà esattamente come ricordo: ampio, elegante, con le mezze colonne in rilievo sui lati.
Darò unocchiata alle cassette della posta, scorgerò la cabina luminosa dellascensore sul fondo. Salendo verso il nostro piano, per un attimo mi verrà la tentazione di piantare tutto e scappare via. Basterebbe fermare lascensore, entrare di nuovo in macchina e ripartire. Potrei farlo, se davvero volessi. Ma sarà solo un impulso passeggero, semplice da superare. So come sono fatto: nel giro di cinque minuti sarei pentito di sicuro.
Lidea di quellappartamento in fondo al giroscale mi farà un certo effetto, dopo tanti mesi dassenza. Mia moglie sarà in piedi davanti alla porta, le mani infilate nelle tasche del golf. Non avrà nessuna espressione particolare, né farà latto di venirmi incontro. Piuttosto ci sarà un istante di incertezza, fra noi, che subito danneggerà i miei gesti. A quel punto le andrò vicino senza parlare, leggermente rigido sulle gambe. Dovrò cercare di calibrare bene ogni atto, camminare verso lei non troppo piano né troppo veloce. Finalmente, mia moglie tirerà fuori le mani di tasca e sarà la prima a parlare. «Ciao», dirà. «Sei molto puntuale».
Linterno non mi sembrerà cambiato granché rispetto a prima, e i mobili saranno rimasti più o meno gli stessi, e i quadri, e i tappeti, e le fioriere in ingresso. Probabilmente mi guarderò attorno con la sensazione di essere tornato in un paesaggio di puri ricordi, più che in un luogo reale. Magari mi verrà pure la voglia di dirglielo, per farle capire quanto mi sento distante da tutto, ormai, ma alla fine non aprirò bocca.
Lei mi farà accomodare in salotto e accenderà labat-jour che ci ha regalato sua madre. Poi socchiuderà la finestra che dà sul balcone, ma senza un motivo vero: come proseguisse nei gesti per ostentare la propria confidenza con lambiente, portare subito anche le cose dalla sua parte. Alla fine siederà su una delle poltroncine vicino allo stereo, accavallerà la gambe e non chiederà se voglio qualcosa da bere, o una sigaretta, magari. Non farà nessun tentativo per rompere il ghiaccio con qualche frase di circostanza. Si limiterà a sfilare gli occhiali dal viso, prima di cominciare a dire la sua.
Sì, non avrà nessuna intenzione di farmi perdere tempo, verrà subito al punto. Spiegherà che la settimana precedente ha compilato una lista segnando tutti i mobili che mi deve restituire. Sarà solo un promemoria non definitivo, comunque, e se qualcosa non dovesse andar bene lei sarà disponibilissima a discuterne subito. Spiegherà daver aspettato inutilmente mi facessi vivo per riprendere quel che avevo lasciato lì in casa, ma siccome non è successo, ha deciso di anticiparmi. Determinate questioni non possono restare in sospeso allinfinito, su questo sarò daccordo anchio, sosterrà. «Molto meglio affrontarle subito, certe seccature», dirà. «Per il bene di entrambi».
Innanzitutto, vorrà restituirmi i mobili dello studio: la credenza cinese, la scrivania in noce, la vecchia Frau anni Sessanta. Quei mobili vengono da casa mia, quindi è normale che io li riprenda. Avrà già controllato i cassetti della credenza, portato via le sue carte, e a quel punto i facchini potrebbero venire su anche lindomani e imballare ogni cosa. Non sarà neppure necessario che io torni lì a controllare il lavoro: lei avrà già preso un paio di giorni di vacanza, per occuparsi dei dettagli.
«Mi sono abituata a pensare e fare da sola», dirà. «Davvero, non c’è nessun bisogno che ti disturbi».
Per quanto riguarda il salotto, avrà già stabilito di lasciarmi la cassapanca nera e il divano di pelle quello grande, naturalmente tenendo per sé tavolo da pranzo, trumeau e vetrinette Ottocento. In realtà il tavolo è un regalo di matrimonio, quindi anche mio, ma dal suo punto di vista la divisione sarà equa così, perché il divano è praticamente nuovo, mentre le vetrinette, soltanto di restauratore, le costeranno non meno di due milioni. Ne avrà già parlato con il restauratore. Avrà lì il preventivo da farmi vedere.
Poi passerà alla questione dei quadri. Vorrà restituirmi anche quelli, ovvio. E le stampe in ingresso, e il Novatti, e i due paesaggi inglesi Ottocento. Materialmente non avrà ancora toccato nulla, i miei quadri li ritroverò al loro posto. Però un paio di settimane prima sarà stata in un negozio di Piazza Cavour e avrà acquistato una decina di poster, tanto per rimpiazzare ciò che porterò via. La conosco. So com’è fatta. «Non sarà la stessa cosa», dirà, «ma non mi andava lidea di ritrovarmi con i muri di casa a quel modo».
Cercherà di controllare le mie reazioni, a quel punto. Ma io mi sforzerò di non mostrarne nessuna. Starò lì, seduto sul divano ad ascoltarla parlare, nientaltro. Da qualche parte, giù in strada, si sentirà un traffico dauto, qualche ragazzetto in motocicletta che filando veloce farà vibrare per pochi secondi i vetri delle finestre.
Alla fine vorrà discutere con me di altri pochi particolari: la cucina, ad esempio. Secondo lei dovremo decidere insieme, perché non avrebbe senso dividerla. Daltra parte, un problema del genere verrà fuori anche per larmadio a muro della camera da letto e il resto di cose che non è comunque possibile dividere, o le cui misure non si adatterebbero a nessun altro ambiente. Lei sa benissimo che darmi indietro quattro mobili non equivarrà a restituirmi tutto ciò che in quella casa è anche mio, pagato in parte da me. Tuttavia, ho pur abitato sei anni là dentro senza pagare una sola lira di affitto, e questo entrerà in ogni caso a far parte del conto.
Non aggiungerà altro, sul punto. Tutto sarà già definito. Così, quando mi pregherà di portare con me la lista che ha preparato, di controllarla e di rifletterci, quando si alzerà dalla sua poltroncina rimettendo gli occhiali, saprò che la mia visita è da ritenersi conclusa. Semplicemente.
Io potrò solo andar via.
Poi, allultimo momento mi troverò fermo a metà ingresso con la sua inutile lista in mano lei che dice «Ti ringrazio di essere venuto, cerca di star bene, aspetto una tua telefonata entro il mese», e farò cenno di sì con la testa, dirò a bassa voce «Entro il mese, daccordo».
Un istante più tardi sarò già in pianerottolo, e lei farà un sorriso generico, un gesto qualsiasi di commiato, e probabilmente vorrà chiudere subito la porta, rintanarsi in fretta. Ma non potrà farlo, perché io resterò a guardarla da fuori, immobile sul giroscale. Lei allora mi squadrerà incredula, poi impercettibilmente guastata dansia, e nello stesso tempo si irrigidirà.
Si preparerà ad affrontarmi qualsiasi cosa io decida di fare.