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mercoledì 29 ottobre 2008

In casa, di sera. Fuori piove


Oggi è stata una giornata piovosa.
Da un po' di tempo desideravo una giornata del genere, una di quelle in cui guardi fuori della finestra e non hai dubbi sul fatto che, sì, l'acqua continuerà imperterrita a scendere dal cielo, ed è desiderabile starsene a casa, un po' raggomitolati su sè stessi come la mia gattina nera. Momenti di stop che ti consentono di riflettere, di fermarti sul ritmo ipnotico del tergicristalli se sei in auto o sul ticchettio della pendola del corridoio, e per contrappunto evocare le giornate di sole che svaporano dai ricordi. Ecco venir fuori gli ultimi rimasugli di una vacanza in bici di qualche settimana fa. E' lontana anni luce per colori e sensazioni.
La bici è in garage, gli zaini vuoti.
Ho in mente un po' di volti: a Marsala un gruppo di uomini di colore che fanno il bagno e si schizzano a vicenda, uno di loro mi guarda, un sorriso a trentadue denti e mi saluta sbracciandosi.
Sempre a Marsala un ragazzo di una ferramenta, esperto in nodi da marinaio mi aiuta legando una fune a tenere gli zaini più fermi possibile intorno al portapacchi, non vuole soldi per la sua fune. E' molto stupito del mio viaggio appena iniziato e della mia destinazione: "E che vai a fare a Milazzo? Devi fare una gara?".
A Montevago il barista che molla il bancone, prende la macchina per portarmi ad un bivio difficile. Lo stesso succederà a Lercara Friddi; un signore con valigetta in pelle appena uscito di casa mi farà strada con la sua auto fino all'uscita del paese.
Ad Alia il vecchio, malato, di cui ho raccontato in un post precedente, che si allontana con la mano sinistra avvinghiata al suo striminzito - come lui - sacchetto della spesa. Sempre ad Alia un vigile mi accompagna fin dentro la chiesa posta alla sommità del paese, mi racconta del castello normanno.
A Sperlinga in un bar anziani e giovani siedono scomposti, si agitano e parlano in un dialetto incomprensibile. Da decenni si offrono vino e birre vicendevolmente.
A Novara di Sicilia, una ragazza del bar del paese mi prepara il caffè al pistacchio. E' orgogliosa del suo caffè, mi chiede con ansia se mi è piaciuto, si rasserena solo dopo la mia risposta.
I volti di alcuni vecchi seduti con la sedia davanti alla chiesa di un borgo di quattro case, rigati dal tempo, bruciati dal sole. Immobili.
Tre ragazzine in giro per Gangi - c'è il mercato stamani - che hanno saltato la scuola, mi prendono per turista tedesco(!) e urlano a caso wunderbar, schnell, bitte, danke, urlano sguaiate e felici verso il cielo, piroettando i loro zaini.
Ci voleva la pioggia, tanta pioggia per parlare anche di tutto questo.



1 commento:

Cletus ha detto...

una tesi, bizzarra, d'accordo, ma che ho potuto sperimentare in prima persona, proprio in occasione di viaggi come questi (tanti anni fa, il mio, in auto fino a Stoccolma), che recita più o meno cosi: la dimensione del viaggio ci aiuta a liberarci del nostro "io" predisposto, impostato, imbrigliato in quotidiani nei quali si recita a soggetto sempre la stessa parte. Il viaggio consente di liberarsi da tutto questo. Di lasciar scorrere quella linfa (fa niente se poi qualcuno l'ha chiamato ZEN), che è dentro di noi e che non aspettava altro che liberarsi un pò da lacci e lacciuoli, per consentirci di sentirci ancora vivi, aperti all'esperienza, senza preconcetti, ghiotti solo di ciò che il caso ci mette davanti, senza l'ombra di alcuna premeditazione. Trovo che ciò che hai cosi bene descritto, si iscriva a pieno titolo nella tesi qui, in modo stringato, esposta.
ciao
cletus