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domenica 17 marzo 2013

Undici e quarantotto


Undici e quarantotto


Ciao cara Anna, non preoccuparti per noi. E' proprio come ho risposto ieri al tuo sms. Io e Silvia stiamo bene. E la mamma pure. Fabrizio, anche. Stiamo tutti bene, stai tranquilla. L 'altro ieri sera Silvia era rimasta a cena a casa nostra. La mamma aveva mangiato solo un brodino e verdure lesse, poi se ne era andata a letto. Io e Silvia ci eravamo preparate spaghetti alle vongole, poi cocomero a volontà. Silvia era allegra, in vena di confidenze, si lamentava in modo bonario di Fabrizio, di come si addormenta sul divano, e del fatto che non ha mai voglia di uscire, nemmeno in serate afose come queste.
Dopo cena stavamo sul terrazzo, poi Silvia ha voluto vedere un quadro che avevo esposto a Camaiore, tante onde di libeccio che si frangono sugli scogli, perfino sulla cornice del quadro. Ne abbiamo parlato un po', anche Silvia ama dipingere. Si erano fatte le undici, e io stavo pensando alla successiva giornata di lavoro. "Silvia, io faccio la doccia, domani mi devo alzare presto, tu che fai?" Lei non ha battuto ciglio. Mi ha seguito in bagno, quella sera era un gioioso diluvio di parole, io ho fatto la doccia, poi mi sono messa l'accappatoio e ho iniziato ad asciugarmi i capelli. Silvia a quel punto ha deciso di tornare a casa, forse il rumore del fon le stava rovinando l'incanto.
Ora seguimi bene, Anna. Undici e trentacinque.
Silvia parte col motorino, le sorrido dal terrazzo. Torno in bagno. Prima di completare i capelli, decido di lavarmi i denti, poi il filo interdentale. Sento un boato, come il colpo finale di una serie di fuochi d'artificio. Poi altri scoppi. Devono essere fuochi, sì, è estate, è normale. Forse in qualche posto vicino festeggiano san Pietro e Paolo. Non a Viareggio, penso. Forse a Lido. Riprendo il fon in mano. Suona il telefono, quello di casa. Strano. Gli amici mi chiamano al cellulare, forse è Giulio, il fratellone che sta a Massa, quello senza orari.
"Pronto."
"Lina, sono io! Sono Silvia! Stiamo bene, ma è un casino, c'è fumo, puzza di gas, fuoco..."
"Silvia, dove sei? Che è successo?"
"Sono a casa! Ci sono fiamme qui vicino! Noi scappiamo..."
"Dove? Dove?"
"Torre Matilda, ciao tututu"
"Silvia!"
Mi infilo una maglietta e pantaloni, parto in ciabatte e capelli bagnati. Sto piangendo, ho paura. Mi avvicino alla stazione, vedo fiamme alte. Arrivo sgommando in cinque minuti al parcheggio di Torre Matilda. Vedo gente che urla e si dispera, non vedo Silvia, mi tremano le gambe. Silvia mi abbraccia da dietro.
"Lina!" mi urla. Ci teniamo strette per due minuti buoni, dietro i miei occhiali rigati di lacrime pian piano riconosco Fabrizio. Ha un paio di boxer e una canottiera. Silvia è in mutande e maglietta. Dopo la gioia di esserci ritrovati, ci guardiamo intorno. Gente scappata, sconvolta, qualcuno sdraiato sull'aiola in preda a malore. Forse una bombola di gas, forse una macchina, forse una casa. Arrivano due ragazzi con lo scooter.
"Ha deragliato un treno che portava gas, ci sono via Burlamacchi e via Ponchielli con case e auto che bruciano! E anche la passerella sulla ferrovia!" Hanno le guance arrossate, dal telefono cellulare fanno vedere un filmato a un amico. Le fiamme si vedono anche da qui, dalla torre Matilda, a cinquecento metri dalla ferrovia. Arrivano persone disperate, che cercano altre persone. Tutti in mutande. Come loro passeremo tutta la notte lì, sotto la torre Matilda.
Silvia è passata da via Burlamacchi alle undici e quarantacinque, tre minuti prima dell'esplosione. Si è salvata per tre minuti. Cara Anna, quando ti salvi per tre minuti pensi a quelli che per tre minuti non si sono salvati. Certi pensieri mi ricordano le divisioni che lasciano un resto, un resto che non sai come gestire. Due ragazzi avevano attraversato la passerella alle undici e mezza, sono tornati indietro perché uno dei due aveva lasciato il telefonino a casa dell'amico. E di quell'operaio che passava con il motorino tre minuti dopo Silvia, non se ne è trovata traccia. E oggi molte persone che stavano nelle case esplose in via Ponchielli sono ustionate al novanta per cento e moriranno nelle prossime settimane. Noi stiamo bene, Anna, ma non posso dire altrettanto della nostra, della tua città.
C'è un prima e un poi. Sul crinale c'è il ventinove giugno, alle undici e quarantotto.
Nessuno in città vuole parlare di quel fischio prolungato, di quella nuvola bianca, dell'odore acre, un boato, un altro, un altro, un altro ancora.
Qui tutti si conoscono, c'è una rete invisibile che lega i morti i feriti e i sopravvissuti. Pensa che in questa terza notte, nelle tende allestite per le centinaia di sfollati non c'era più nessuno, tutti avevano trovato ospitalità a casa di parenti amici e conoscenti.
Questa rete invisibile lavora sui ricordi. Io ho perso una ex compagna di scuola; di lei mi ricordo la sua schiaccia salata, che prendeva dal fornaio in via Regia. Poi la nipote di un mio amico - con la falda di capelli che scendeva sulla fronte, il lucidalabbra con i brillantini, le All Stars - che aveva portato ad una cena, presentandola come "il suo tesoro". Questo è il mio bagaglio di ricordi, ma sono in molti quelli che sulla schiena al posto di un fardello, hanno un macigno di disperazione.
La scorsa notte c'era un uomo seduto sul marciapiede che aveva perso la compagna nelle fiamme di Via Ponchielli: si teneva la testa tra le mani, la bocca spalancata, il viso contratto. Pareva che urlasse, ma dalla sua bocca non usciva suono.
All'ospedale Versilia, dopo l'ennesimo bambino grandemente ustionato, un pediatra ha cominciato a urlare, battere i piedi, poi ha appoggiato la testa verso le piastrelle della stanza, abbracciando il niente. Dopo dieci minuti di mattie si è rimesso all'opera.
Oggi mentre andavo al lavoro, come ieri, avvertivo il silenzio. Niente clacson, niente radio, niente trapani, cantieri, niente bambini in bicicletta che ridono e urlano. Quel silenzio, Anna, entra dentro, spacca, urla.
Noi stiamo bene, Anna. Per tre minuti di anticipo.
Un bacio.
Tua Lina

1 commento:

C. ha detto...

C'è poco da commentare. Così va la vita.