...Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa' che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
(C. Kavafis)
Oggi è stata una giornata piovosa. Da un po' di tempo desideravo una giornata del genere, una di quelle in cui guardi fuori della finestra e non hai dubbi sul fatto che, sì, l'acqua continuerà imperterrita a scendere dal cielo, ed è desiderabile starsene a casa, un po' raggomitolati su sè stessi come la mia gattina nera. Momenti di stop che ti consentono di riflettere, di fermarti sul ritmo ipnotico del tergicristalli se sei in auto o sul ticchettio della pendola del corridoio, e per contrappunto evocare le giornate di sole che svaporano dai ricordi. Ecco venir fuori gli ultimi rimasugli di una vacanza in bici di qualche settimana fa. E' lontana anni luce per colori e sensazioni. La bici è in garage, gli zaini vuoti. Ho in mente un po' di volti: a Marsala un gruppo di uomini di colore che fanno il bagno e si schizzano a vicenda, uno di loro mi guarda, un sorriso a trentadue denti e mi saluta sbracciandosi. Sempre a Marsala un ragazzo di una ferramenta, esperto in nodi da marinaio mi aiuta legando una fune a tenere gli zaini più fermi possibile intorno al portapacchi, non vuole soldi per la sua fune. E' molto stupito del mio viaggio appena iniziato e della mia destinazione: "E che vai a fare a Milazzo? Devi fare una gara?". A Montevago il barista che molla il bancone, prende la macchina per portarmi ad un bivio difficile. Lo stesso succederà a Lercara Friddi; un signore con valigetta in pelle appena uscito di casa mi farà strada con la sua auto fino all'uscita del paese. Ad Alia il vecchio, malato, di cui ho raccontato in un post precedente, che si allontana con la mano sinistra avvinghiata al suo striminzito - come lui - sacchetto della spesa. Sempre ad Alia un vigile mi accompagna fin dentro la chiesa posta alla sommità del paese, mi racconta del castello normanno. A Sperlinga in un bar anziani e giovani siedono scomposti, si agitano e parlano in un dialetto incomprensibile. Da decenni si offrono vino e birre vicendevolmente. A Novara di Sicilia, una ragazza del bar del paese mi prepara il caffè al pistacchio. E' orgogliosa del suo caffè, mi chiede con ansia se mi è piaciuto, si rasserena solo dopo la mia risposta. I volti di alcuni vecchi seduti con la sedia davanti alla chiesa di un borgo di quattro case, rigati dal tempo, bruciati dal sole. Immobili. Tre ragazzine in giro per Gangi - c'è il mercato stamani - che hanno saltato la scuola, mi prendono per turista tedesco(!) e urlano a caso wunderbar, schnell, bitte, danke, urlano sguaiate e felici verso il cielo, piroettando i loro zaini. Ci voleva la pioggia, tanta pioggia per parlare anche di tutto questo.
Giovedì 9 ottobre. Oggi è l'ultimo giorno. Alle nove e un quarto sono fuori dell'albergo di Francavilla di Sicilia e comincio la salita, destinazione mare. Ma prima del mare devo arrivare al passo Mandrazzi a 1130 metri slm, e ora sono a 350 metri slm. Il passo è distante sedici chilometri. I monti Peloritani, come del resto anche i Nebrodi e le Madonie, non hanno valichi relativamente bassi. Il sistema per attraversarli è sempre lo stesso: sali, e quando sei in cima vedi che le vette non sono molto più alte del passo.
Il gigante, alle mie spalle, è completamente coperto di nubi, peccato. Lui, l'Etna, è tutta un'altra storia. E' scuro, imponente, ha una base larghissima; sembra fatto da un bambino che si sia divertito a buttare terra su terra, sempre dal centro, creando un cono perfetto. Qui, sui Peloritani, i versanti si intersecano di continuo, e la strada deve scegliere, attraverso improvvisi tornanti, il percorso più dolce. La vegetazione è rigogliosa, e lo strano è che vedi dei castagni inframezzati qua e là da fichi d'India, e anche pini marittimi. La strada continua a salire in modo costante, ma senza forti pendenze. C'è silenzio, non c'è nessuno. O quasi: ecco i cani che rompono le palle, due di media taglia, mi tocca scendere e farmi scudo con la bici. Ovviamente il padrone - che sta insieme alle mucche sulla ripa sopra la strada - mi urla che non fanno niente, di non aver paura, mentre questi qua mi mostrano i denti. Alla fine si mettono ad annusare delle erbette. Rimonto in bici, i tornanti fanno dei disegni contorti, ci sono anche due fiumare completamente in secca che si incrociano con la strada. Ora sono vicino al passo.
Sono a 1050 metri, alzo gli occhi e la vedo. Regale, maestosa, un'aquila che volteggia ancora più in alto del monte. Poi un'altra. Giocano, sfruttando le termiche della montagna risalgono, e poi come un'onda che si frange, ricascano giù, per un po' in sincronia, poi divergono, e si ritrovano. Lo spettacolo dura una decina di minuti. Faccio delle foto. Poi continuo a guardare, a seguirle. Che bello. Spariscono infine, nel versante nord del monte.Arrivo a Portella Mandrazzi, c'è un grande casolare abbandonato, forse un albergo o un rifugio. Comincia la discesa. Qui, nel versante nord, il paesaggio è più orientato verso la vegetazione alpina. Due mucche per strada, una mi vede arrivare veloce e si impaurisce, comincia a correre alla Speedy Gonzales, per fortuna non verso di me. Infine le supero con un po' di cautela.
Dopo otto chilometri dal passo, vedo il mare. Mi commuovo, penso a mio padre, piango. Mio padre in vita diceva che voleva essere sepolto nel cimitero di Milazzo, dove è nato, anche perché da lì si vede il mare. Arrivo a Novara di Sicilia, paesino con casette disposte a terrazza. E' incantevole, perfettamente inserito nel contesto ambientale. Sembra quasi un ornamento del monte, sembra che ci sia sempre stato. Ci sono vie strette da cui si diramano scalinate, e lastricati, e terrazze. Sullo sfondo, il mare di Capo d'Orlando. Continuo a scendere. Altri venti chilometri per il mare. In breve si fanno trenta gradi. Un'altra fiumara, ritorna la vite, gli olivi. Il mare, sulla mia sinistra. A Barcellona, il mare, ce l'ho proprio accanto.Gli ultimi 15 chilometri prima di Milazzo.Sono felice.E a tre, dico tre chilometri dalla fine, la foratura. Della ruota posteriore. Smonto i bagagli, trovo la camera d'aria nuova, eccetera eccetera che mi partono tre quarti d'ora, si sono fatte le cinque e mezzo e devo rinunciare al bagno in mare. Arrivo a casa dopo 526 chilometri, la casa di famiglia, un appartamento in un condominio che abbiamo a Milazzo, ed è una gioia infilare la chiave nella toppa. Domattina andrò al cimitero, stasera a cena dal mio cugino Gianni, che mi verrà a prendere.
Esco dall'albergo alle 9,15 ed è un record, al momento. La preparazione dei bagagli mi porta via tanto tempo, ma con il passare dei giorni sempre meno. Decido di deviare dalla statale per salire su, in cima alla parte vecchia del paese di Troina che ieri sera avevo osservato solo dalla base.
Mi fermo a fare colazione, quando esco c'è un signore anziano che sale lentamente su per la salita con un sacchetto della spesa - pane e latte - in una mano e un bastone nell'altra. Si ferma e mi guarda. Appoggia il sacchetto per terra.
"Bravo, bravo che inchiani 'a salita. Io non ce la fazzu."
"Ma insomma, anche lei non se la passa male, no?"
Fa un cenno di no. Si avvicina a me, accosta la mano alla bocca e parla, a bassa voce.
"Mi tagghiaru u cosu", indica con la mano in mezzo alle gambe.
"Mi spiace tanto"
"Avia 'nu tumori ddà. Mi apriru 'na coscia - nu tagghiu longu longu - e poi mi tagghiaru u cosu a metà. Ora aiu a fari a pipì sedutu, comi i fimmini."
Lo guardo in silenzio.
"Si tenga stritta 'a saluti, mi raccomando." Ha gli occhi lucidi.
Gli stringo la mano. "Le faccio tanti auguri"
"Grazie". Riprende il sacchetto e ricomincia a salire.
Le strade sono di vecchio acciottolato, molto bello a vedersi, un po' meno bello percorrerlo in bici. La parte vecchia ha delle case in pietra calcarea, gialla, e altre di pietra di colori dal rosa, al bianco, al grigio. Gli infissi sono di legno bianco, spesso incrostati e cadenti. ci sono molti terrazzini da cui penzola il bucato ad asciugare; dalla composizione del bucato ti puoi fare un'idea della composizione familiare. Pochi giovani, mi faccio quest'idea.
Arrivo su, ai 1130 metri. Wow. L'Etna, il gigante si sporge ad occupare una buona parte di panorama che vedi da una terrazza pavimentata con vecchi mattoni. C'è un castello normanno, che poi fu trasformato in chiesa, e poi fu restaurato, nel suo interno, in stile barocco. Un arco in pietra con volta a croce connette la chiesa con la parte laterale del castello. Entri in questo arco e vedi dei muri in pietra originali, risalenti al periodo normanno, hanno resistito ai terremoti. Scendi giù e continua la parte vecchia di case in pietra, arroccata su questa altura. Come dicevo ieri: se ti tieni al largo dalla parte nuova, qui c'è da perdersi in tempi remoti con sensazioni di bellezza che ti colgono dietro all'improvviso.
Sono le 10,30, devo ripartire. Una discesa lunga dieci chilometri, sembra di essere sull'otto volante. Arrivo ad una fiumara, sono sceso a 600 metri. ricomincia la salita fino a Cesarò, che si trova a millle. Da qui strada solitaria, sole e campi arati. Come sempre, in questi giorni. Non incontro nessuno, nessuno va a Cesarò. Alcune case abbandonate. Nemmeno un cane(questo per me è un sollievo). I giochi di luce e colore nei campi continuano anche oggi. L'altro giorno mia madre al telefono diceva:"ma quando hai visto un po' di campagna, è tutta uguale, no? Che ci vai a fare fino lì?" Non ho repliche da fare a queste argomentazioni. So solo che qui sto bene. E poi questi rilievi(mi trovo nella catena dei Nebrodi) sono tutti diversi, e la luce, e gli odori. Una campana in lontananza, di Cesarò batte le 12 e 45(fa anche i tre rintocchi dei quarti) e rompe il silenzio. La bellezza è negli occhi di chi guarda, frase logora ed abusata, ne abuso anch'io.
Cesarò è una serie di palazzoni nuovi sparsi a caso sulla collina. Niente di interessante. Comincia un'altra discesa, di dieci chilometri. Una larga fiumara segna l'inizio della provincia di Catania. L'Etna è lì, sembra ad un passo.Da qui, con salita costante ma lieve, sono diretto a Randazzo,un paese che fa parte della Circumetnea. Il paesaggio lavico si fa più scuro e brullo. I muri dei confini sono spesso fatti di pietra lavica, a secco, con un po' di cemento spalmato in cima. Arrivo alle 3 a Randazzo, ho percorso 53 chilometri. Giro nel centro storico, un bellissimo duomo (che ricorda la scuola pisana che alternava pietra serena e alabastro) fatto di pietra chiara alternata a pietra lavica. Altra discesa fino a raggiungere l'Alcantara, un fiume freddissimo ricco, intorno ad esso, di famosissimi percorsi naturalistici. E qui comincia la provincia di Messina , e i monti Peloritani, che affronterò domani. Mi fermo a dormire dopo 76 chilometri nell'insignificante Francavilla di Sicilia, punto di appoggio logistico per gli escursionisti.
L'inizio non è stato dei migliori. Ho impiegato un sacco di tempo a preparare i bagagli, e poi, uscendo dall'agriturismo, ho dovuto affrontare una salita ripidissima, forse la più ripida che abbia mai fatto. Trattasi di una stradina fatta di cemento che taglia giù diritta una valle. Tra la strada per Gangi e la bella villa adibita ad agriturismo dove ho dormito ci sono più di 200 metri di dislivello, e una distanza di circa un chilometro. Il proprietario della villa, molto gentile, si era offerto di portarmi gli zaini con la macchina fino alla statale, visto che doveva andare a Gangi, e menomale, ma è stata una faticaccia lo stesso. Insomma, carico gli zaini sull'auto del proprietario e tutto baldanzoso - senza bagagli - affronto la salita in questione. Dopo il primo tratto mi viene la paura di ribaltarmi, mi alzo sui pedali, e sento una fatica incredibile, il respiro forzato mi brucia la gola(la stessa sensazione di quando diciottenne correvo i 5000 metri in pista). Vado avanti per un po', poi scendo e trascino la bici a piedi. Cosa che avrei dovuto fare subito.Con la statale attraverso il paese di Gangi. Mi sembrava più bello da lontano. Abbandono il paese, percorro una discesa e costeggio un fiume. Infine attraverso un ponte, salita, sempre campi arati ai lati di varie fogge, il colore prevalente della terra e molto scuro, un cioccolato fondente, a volte quasi grigio, dove la terr si asciuga sfuma in un beige. Salita. Arrivo alla sommità della collina, nuova valle. Lo vedo, per la prima volta. Lui, il gigante dei 3300 metri, con il pennacchio di fumo in cima. E' emozionante. Da qui in poi - sarò ad un centinaio di chilometri dalla vetta - l'Etna scompare e riappare, gioca, ma sai che c'è, non ti molla. Di giorno, e anche di notte quando c'è attività eruttiva, è un punto di riferimento per mezza isola. Arrivo a Sperlinga un bel paese che ruota intorno ad un castello ed una rupe. Faccio deviazione, arrivo alla base del castello e trovo delle case - ancora abitate - ricavate da delle rientranze della roccia, e in parte, credo, scavate. Mi fermo ad un bar. Ci sono degli anziani e giovani che bevono e urlano e ridono. Parlano un dialetto stranissimo, a me sembra quasi pugliese. Leggo dalla guida che si tratta di "un dialetto gallo-italico con forti componenti di origine longobarda". Il paese, le casette, le strade, è tutto molto bello. Riparto, dopo pochi chilometri raggiungo Nicosia, mi annodo un po' nella viabilità, il paese è sviluppato su quattro colline. Passo dal centro, ci sono qua molte case fatiscenti, molte strade con buche stile Bagdad. Da qui non troverò altro, per trenta chilometri, che case coloniche, campi arati e monti imponenti, e lui, il gigante. Oggi viaggio tra i seicento e i millecinquanta metri. Fa caldo al sole, ci sono 26 gradi. Dopo le quattro si scende sui 17 gradi, e comincia la lunga salita che mi porta a Troina, il paese più alto della Sicilia, a 1130 metri. La parte vecchia è molto bella, anche se in forte degrado. Non riesco, però, a non far caso alla bruttura dei condomini, accozzati con colori improbabili, disomogenei l'uno dall'altro. Ogni architetto fa gli affari suoi. Vorrei vedere il criterio di omogeneità delle signorie e di tutto il rinascimento - non avevano il piano regolatore, solo un criterio di omogeneità, dal quale potevano differire per molti dettagli, ma il contesto era sempre quello - e invece vedo dei condomini addossati a chiese barocche. Eppure qui la natura, il paesaggio, il clima, è stata generosa. Gli amministratori della cosa pubblica no.
Mi sono un po' annodato negli ultimi discorsi, e il gigante, giustamente, sbuffa.
La sveglia suona e io mi alzo più tardi, ma già lo sapete questo. Dopo aver sistemato la bici, dopo colazione(posso masticare con attenzione anche a sinistra), sto per partire. Un gatto piccolissimo si è messo accanto alla bici, pare quasi che mi faccia la guardia. E' tenero, ha gli occhi un po' troppo umidi, spero che non sia malato. Parto. Arrivo ad Alia dopo quattro chilometri di salita. Imbocco una strada provinciale che mi farà risparmiare molti chilometri, anche se con più salita. Dopo quattro chilometri un cartello mi annuncia che la strada dal km 9 al chilometro 16 è interrotta. Uffa. Vado avanti. Andrà bene, stavolta. L'interruzione è per una specie di voragine nell'asfalto tutta transennata, che potrebbe essere pericolosa per un'auto. Ragion per cui per ventiquattro chilometri sono solo. Solo. Qualche trattore in lontananza, anche oggi uno stress per due pastori maremmani tenuti senza catena e con il cancello di una casa colonica aperto, che non appena mi vedono passare si mettono all'inseguimento. Fortunatamente ero in discesa. Ma che palle questi cani. Che palle. Comunque. Sono solo. Un silenzio quasi assordante, che ti mette in discussione, non puoi far altro che dialogare con te stesso. Solo gli uccelli. Il mio respiro. Se stai bene con te stesso, va bene, se ti stai sulle palle, in questi casi è un problema. Sono in salita, Arriverò a 1056 metri oggi, un po' più su e giù di ieri, ma bello. Il sole. L'aria che ti accarezza. Passo il crinale di un monte ritrovo un'altra valle. E così via. sempre un'altra valle un po' più in là. Con composizioni e colori di terreno sempre diverse da prima. Bello. Oggi passo Castellana Sicula, riscendo a 550 metri e risalgo a 1030 a Petralia Sottana(e sopra c'è Petralia Soprana). Sono le 16,30, mi occorreranno(da Petralia, ultimo paese prima di Gangi, l'arrivo di oggi) tre quarti d'ora per trovare telefonicamente - grazie Internet, grazie - un agriturismo aperto e disponibile a Gangi, paese - almeno da lontano - bellissimo. Una specie di alveare molto convesso abbarbicato sul suo bel monte.
Decido di guardare il percorso dell'indomani, intanto lo movo volutamente con la lingua, nella speranza di lussarlo e di toglierlo. Dopo un'ora di "lussazione" il dolore è aumentato. E' domenica notte, mi fa male un dente, sono a 1200 chilometri da casa. Prendo un cacciavite, lo disinfetto approssimativamente, mi metto allo specchio e comincio a lussare davvero il pezzo di dente fratturato. Sento un male bestia. Muovo avanti ed indietro. Dopo una mezz'ora il pezzo è tolto. Ora sto bene. Anche se la finestra in basso a sinistra(per fortuna non si vede granchè, ma mi dà fastidio) mi ricorda sgradevolmente che siamo fatti di pezzi, e possiamo cascare a pezzi. E mi ricorda che dovrò pensare a chiamare il dentista. Spero in un perno-moncone e una corona in ceramica.
Me la sto prendendo comoda, ieri è stata una giornata faticosa, oggi ho bisogno di alleggerire un po'. Mi metto a scrivere il resoconto di ieri(il post intitolato "cavallo nero"), poi colazione. Passo per Corleone, do un'occhiata. Mi sembra che tutta la vita sociale e relazionale del paese ruoti intorno a "La villa", soprattutto i giardini circostanti ad essa, sono pubblici, affollati da anziani seduti sulle panchine, ragazzi parcheggiati fuori in motorino fuori del cancello, famiglie a passeggio per i vialetti interni. Ci sono delle palme enormi e una bella frescura, Poi belle viuzze intricate, in salita, e scalinate, e panni stesi dalle finestre. Dove vai vai, sbatti contro un monte che circonda Corleone come un anfiteatro, il resto è panorama sulla vallata antistante(Corleone è alto più di 600 metri). Mi fermo al "Central Bar" a fare rifornimento di merendine. L'interno è tappezzato di foto di "Il padrino" un due tre. I turisti arrivano qui soprattutto per respirare l'aria dei film di Coppola, e possono comprare "L'amaro Il padrino", da "un'antica ricetta corleonese". Si è fatto mezzogiorno, intanto.Vado, arrivo alla statale dopo una salita lunga tre chilometri. E continuo a salire, fino agli 800 metri. In tutto il giorno incontrerò due paesi(uno solo da attraversare, per l'altro devi abbandonare la statale e percorrere due chilometri) nessun bar. E terra. Tanta terra, arata, oppure terra verde di prati, e boschi, o la roccia di monti che sbucano dal terreno, non te l'aspetti, quasi fossero funghi appena nati. Dopo ventiquattro chilometri lascio la statale e seguo le indicazioni di un ristorante bar per la strada che porta a Prizzi( a proposito di film...). Chiedo un panino con prosciutto e mozzarella. la ragazza mi porta mezza pagnotta tagliata nel mezzo per la sua lunghezza con ottantacinque chili di prosciutto e mozzarella(un "panino", una coca e un caffè a 4 euro). Mi metto a masticare, ci vorrà un po', penso, ma sono gentili qua. Mastico, mastico, mastico, ad un certo punto sento cronc. penso che ci sia un ossicino, invece è una mia otturazione di un dente che ha deciso di andarsene oggi, un premolare inferiore sinistro . Tocco col dito, la parete interna del dente è mobile, il dente ha una frattura obliqua o verticale. Mi ricordo che il dente è devitalizzato, ma ogni volta che la lingua tocca la parete, muove la gengiva, la stira e sono dolori. Cerco di non toccarlo, finisco il panino con la parte destra e riparto. Si va su e giù, ma poco, è una specie di altopiano tra i seicento e gli ottocento metri. Arrivo a Lercara Friddi, un paese costituito perlopiù da case costruite con blocchetti di cemento senza intonaco, con degli enormi bidoni multicolori posti sulle rispettive terrazze(credo siano approvvigionamenti per l'acqua, l'annoso problema della Sicilia, un problema di amministratori e politica e sprechi e delinquenza). Non c'è nessuno, per la strada, dove sono? Tutti a guardare le partite in tv? Boh. Percorro la statale che mi porterà, dopo altri venti chilometri di pura bellezza, ad Alia, un paesino arrampicato su un monte. Dopo settantuno chilometri mi stendo in una camera di un agiturismo, poi cena - tutta da masticare a destra - e poi nanna.
Stamani avevo puntato la sveglia alle 6 per scrivere il resoconto di ieri; quando ha suonato l'ho spenta, ho richiuso gli occhi e li ho riaperti alle 7,15. Non mi rimane il tempo per scrivere, visto che oggi mi aspetta una lunga tappa. Spero di poter scrivere due puntate stasera, e una su un imprevisto che mi è capitato ieri. Buon lunedì(ossimoro), a stasera.
Se il viaggio è bello, non puoi programmare, prevedere tutto ciò che ti accadrà.
Se avrai tutto sotto controllo, se tutto sarà come avevi previsto, potrai godere del bello che avevi previsto, ma sarà come se lo avessi già vissuto. Potrà apparire una bella routine, ma niente di più.
Bene, posso affermare con certezza che in questo giorno di viaggio non ho corso questo rischio, no. Ma forse qui si esagera.
Passi un cane di piccola taglia a Selinunte che ti vuole azzannare appena partito e tu che pedali come Ridolini a velocità folle, e anche quattro cani bianchi che scendono nella strada di campagna solitaria e ti circondano e ti guardano e per fortuna se ne vanno, passi una pioggia improvvisa e abbondante per fortuna di breve durata, e anche una strada provinciale che esiste sulla cartina Michelin e che dopo cinque chilometri non esiste più, avvisandoti placidamente con un cartello "strada interrotta" (e per questo ho percorso 20 chilometri più del previsto, arrivando al buio a Corleone), ma un cavallo nero senza padrone che ti sbarra la strada stretta al di là di un ponticello, no.
E' troppo.
E' uno di quei sogni inquietanti che racconti che racconti a un amico chiedendone il significato.
Io mi fermo, lui pure. Io ho paura di lui, ha degli zoccoli piuttosto robusti. Non so che fare. Mi metto sul bordo del ponte, non posso saltare. Mi accovaccio. Il cavallo si avvicina, guarda in terra. Probabilmente ha paura - come me - nel vedere un tizio col casco e tenuta da bici rossa e un cavallo di alluminio. Passa qualche minuto, poi si avvicina passando sul lato opposto al mio, io mi tengo la bici come scudo. Faccio una foto.
Passa, se ne va e si ferma alla fine del ponticello ad annusare qualche erbetta. Sospiro di sollievo.
Una voce dalla campagna, lato sinistro del ponte:
"Senta scusi"
Vedo un uomo con la zappa in mano distante un centinaio di metri.
"Sì?"
"Mi potrebbe fermare quel cavallo?"
"No. Ho paura. Mi dispiace. Ma se fa presto lo raggiunge. Ora è fermo."
"Va bene. Non fa niente."
Saluti. Rimonto in bici.
A parte questi imprevisti non proprio piacevoli, ho visto dei panorami bellissimi, in solitudine. Ho viaggiato da Selinunte( purtroppo non ho potuto trattenermi più di tre quarti d'ora nel parco archeologico, soffermandomi solo nel tempio E, imponente e suggestivo e bello) a Corleone tra i 100 e i 700 metri di altitudine, con campagne a volte aspre e brulle, alternate a oliveti e vigneti e campi arati di fresco, passato borghi con quattro, dico quattro case, dove vedi vecchi seduti appoggiati con due mani sul bastone che ti osservano e sorridono e salutano(sulla gentilezza: ho chiesto in un bar sperduto - a Montevago, un nome, una garanzia - l'indicazione per una strada provinciale, lui dice al papà di guardare il bar, prende la macchina e fa un paio di chilometri precedendomi, fino a raggiungere un bivio), monti e tramonti mozzafiato.
Ora sono a Corleone, nel cuore della Sicilia. Sono stato in Sicilia tante volte, mai mi sono fermato nell'interno. Una bellezza più nascosta rispetto alla costa, dove tutto è visibile ed immediato. Devi essere disponibile, accogliente per vedere questa bellezza. Non che io lo sia, ma ci sto provando.
Quando sono sceso all'aeroporto di Trapani, ho avvertito l'aria calda, nonostante le otto e mezzo del mattino e nonostante il tre ottobre.
Qui è diverso. C'è il terreno secco. Ci sono i banani e i fichi d'india.
Mi trovo a mille chilometri a sud da casa mia, e mi sto dirigendo a sud. A sud di sud, se è lecito dirlo.
Sono sceso dall'aereo, ho atteso il mio megaborsone, e poi mi sono messo fuori dall'aeroporto a montare la bici.
Si sono fatte le undici, per colpa del fermo - un tondino cavo che deve scattare e bloccarsi sul portapacchi della bicicletta - di una borsa che si staccava di continuo. Poi, uscendo dall'aeroporto, non ho visto la sbarra del parcheggio delle auto - stavo guardando la cartina - e ci sono sbattuto contro. Mi sono procurato qualche escoriazione al braccio e gamba sinistra, niente di grave. Ma, insomma, come inizio non c'è male. C'è il sole, ci sono quasi trenta gradi. Case bianche, qui in campagna, senza tetto, solo la copertura a terrazza, magari anche i tondini di acciaio che sporgono, non si sa mai se un domani facciamo anche il piano per la figlia che si marita. Strada stretta, qualche camionista maleducato che ti strombazza. Il mare, la laguna prima di Mazara del Vallo, le Egadi al largo. Striscie di mare, terra, mare che ti ci confondi, che non sai se è isola o terraferma, se è mare o lago. Il naufragar m'è dolce.
Poi Mazara, con le viuzze, il lastricato, le case gialle di pietra calcarea, il mare e il cielo, ti confondono anche quelli. La foto che ho scattato oggi(tre ottobre) che sta in cima a questo post parla di case, di varie sfumature di giallo, e di un cielo blu, come quello di Rino Gaetano. Quelle case, e magari anche le persone che stanno a sedere sulla soglia a parlare di niente, per ore, è il mio sud. E'anche tanto altro: è mio padre nel cimitero a Milazzo - dove spero di arrivare in bici tra una settimana -, è il terrazzo di casa di mia nonna, da dove si sentono le cicale, è lo stretto di Messina e la madonnina all'imbocco dell'approdo siciliano, e la scritta - "Vos et ipsam civitatem benedicimus" - che sta sotto la statua. Un messaggio di benvenuto, anche quello è il mio sud.
Un piatto di orecchiette con frutti di mare a otto euro sul lungomare di Mazara, e poi via verso Selinunte. Vado in albergo, faccio una doccia velocissima per andare a visitare il parco archeologico, arrivo."E' qui l'ingresso?""Sì ma la biglietteria è già chiusa.""Non doveva chiudere alle sei(sono le 17,45)?""La sovrintendenza ha stabilito il nuovo orario dal primo ottobre. A lei chi gliel'ha detto?"
"Il sito della sovrintendenza"
"Ah. Allora non è stato aggiornato. Mi spiace."
"Secondo lei a me no? Ho fatto mille chilometri in aereo, e settanta in bici per venire qui."
"Venga domattina. Alle nove."
Caxxo. Domani vorrei raggiungere Corleone, dovrò partire dopo le dieci. Faccio visita all'oasi ecologica(pineta e macchia mediterranea, e dune) che si affaccia sul mare, poi cena (un piatto di linguine con uova di tonno da favola) e a letto. E poi a scrivere queste cose qua. Una bella giornata. Anche perchè so che a Lucca è piovuto tutto il giorno.
Quando avevo quattordici anni ho iniziato a correre a piedi.
Correvo anche negli anni precedenti, ma a quell'età ho deciso di farlo regolarmente. Praticamente tutti i giorni.
Correvo, da solo. Preferivo correre da solo, non era un ripiego.
Penso, genericamente parlando, che condividere esperienze con altre persone sia una gran bella cosa; con la donna che ami, con i figli, con gli amici. Suonare, per esempio, con altre persone: ecco, la quantità di piacere che sento quando suono con altre persone è infinitamente superiore ai momenti in cui suono da solo. Ma per quanto riguarda la corsa non è stato così, sto meglio da solo. Anche se a quattordici anni correre due ore da solo può essere a volte difficile. C'erano giorni in cui rimandavo l'allenamento alla sera, e correvo per strada(meno male che a Piombino, in città, ci sono lampioni dappertutto, in ogni via). Dovevo passare anche davanti al cimitero, davanti a quel cancello da dove vedevo lumini votivi, anche se cercavo di non guardarli, e mi inquietavo. Oppure i cani sciolti, senza guinzaglio: da soli fanno più paura che in compagnia. Ma a parte questi dettagli, trovavo - e trovo - che sia molto più bello correre da soli. La mente se ne va per conto suo. Mi ricordo di un giorno - una sera d'inverno, al buio - in cui ho corso per un'ora, sono arrivato a casa e non mi ricordavo le strade che avevo percorso, mi ricordavo solo i processi mentali, i pensieri, le mie gioie e le mie preoccupazioni, ma niente di quel che riguarda la strada.
Niente. Le mie gambe avevano corso da sole, non me ne ero dovuto preoccupare.
Ero felice.
E per circa dieci anni ho corso, ho corso, ho corso.
Quando avevo quarantaquattro anni ho iniziato a viaggiare in bici.
Da solo.
La prima volta in Corsica. Poi Sardegna, Provenza, Santiago di Compostela, Irlanda, Creta, Elba (in realtà ci sono tre felici eccezioni alla "solitudine": sono andato con un amico in Sardegna, lo stesso per l'Elba, mentre sul Camino di Santiago mi sono aggregato a tre ciclisti, poi diventati amici). Dopo, quando torno, sto meglio. Con me stesso e con gli altri.
Per chi sa, psicologicamente parlando, cosa sia un enneatipo, io sono del tipo nove, il "mediatore". Un tipo che evita i conflitti, cerca di comprendere le esigenze dell'altro. E' molto empatico - non sto parlando di me, ma di ciò che dicono del tipo nove -, è benvoluto. E' così proteso nel comprendere le esigenze altrui, però, che rischia di dimenticare, accantonare le proprie. In situazioni estreme - quando le esigenze altrui sono profondamente diverse da quelle degli altri - per evitare conflitti si "disconnette" da sè stesso, dal proprio centro, dalla propria essenza. Se ci sono problemi del genere, oltre ad un valido sostegno psicologico, dicono che al tipo 9 faccia bene stare da solo, per qualche giorno, per "riconnettersi", per ritrovare le peculiarità che fanno di ogni persona un essere diverso da tutti gli altri.
Non so se questo sia il motivo per cui mi senta bene in esperienze solitarie, fatto sta che mi fanno sentire molto meglio.
Così come a quattordici anni.
E ora - oggi - mi trovo in Sicilia. Volevo scrivere, e condividere con qualcuno quello che sento. Anche se sento la fatica di oggi -, stanotte scrivo, e per l'occasione ho aperto questo blog.