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domenica 1 febbraio 2009

Il mio cammino di Santiago - 4

Quattro giugno, mattina presto.
Il sonno in un letto vero è stato ristoratore. Non sono solo, mi trovo con tre persone che conosco da meno di ventiquattr'ore, ma l'imbarazzo e i complimenti - chi va prima in bagno, dormito bene, oh sì, ah c'è il sole menomale, allora vado io faccio in fretta, ecc. - sono ai livelli minimi, ai minimi sindacali, insomma non va affatto male. Dopo la solita colazione da migliaia di calorie, prima di uscire dal centro di Najera, ci fermiamo in un piazzale, davanti all'ingresso di una chiesa in stile romanico."Leggo io" fa Michele, apre un libro. Siamo in piedi.
Michele si accinge a leggere il testo dell'antica benedizione del pellegrino. E poi, rivolto a me:
"Noi leggiamo una preghiera ogni mattina prima di partire, non so, se ti va di ascoltare..." Faccio cenno di sì.
Apro una parentesi.
A questo punto della mia vita, ho una convinzione, non suffragata da alcuna certezza: credo che nel momento in cui ci trasformeremo in cibo per vermi - per dirla come il professor Keating di "L'attimo fuggente" - non sarà tutto finito, come pensa il professor Keating; di cui condivido, del resto, molto di ciò che viene narrato in quel film. Credo in questo, per il resto brancolo nel buio. Non è molto. Con tutto ciò, mi capita, mi è capitato, di imbattermi per caso - e di dovermi confrontare, un confronto sui generis, del tutto silenzioso - con altrui esperienze - testimonianze forti - di tipo religioso-spirituale.
Faccio due soli esempi.
Diversi anni fa decisi - dopo aver cominciato a scrivere qualche racconto - di iscrivermi ad un gruppo di scrittura creativa di cui faccio ancora parte, e mi misi a leggere tutti gli "editoriali" del fondatore di tal gruppo, Antonio Spadaro. Quei brani mi colpirono molto per la loro profondità, per la loro chiarezza espositiva ed incisività. Solo dopo un paio di mesi seppi che Antonio è un gesuita, il che - ovviamente - non cambiò minimamente il giudizio della persona che mi ero fatto, solo che, concedetemelo, mi sorprese un po'.
Lo scorso luglio partii una sera da Lucca, e feci due ore e mezzo di macchina per assistere alla conferenza di Marco Lodoli, uno scrittore che amo molto. Solo che quando arrivai a destinazione, a Romena nel Casentino, seppi che era cambiato il programma, ed al suo posto avrebbe parlato Arturo Paoli, un prete ultranovantenne che - guarda il caso - è di Lucca. Parlò della sua vita, sempre dalla parte dei più deboli - dei contadini del Chapas, dei desaparecidos, dei bambini di strada di Rio dove ha fondato una casa di accoglienza, tanto per fare qualche esempio - e parlò molto di leggerezza, qualità essenziale per il suo cammino spirituale. Fu una sera bellissima e per me significativa.
Fine della parentesi.
E adesso mi trovo - praticamente per caso - davanti a Michele, che sta per leggere l'antica benedizione del pellegrino. Michele, che si sposerà il quattordici di luglio, che vuole portare a termine il Camino come buon auspicio per il suo matrimonio, per la sua futura famiglia, che sta viaggiando insieme con Mathias, suo caro amico nonché testimone di nozze. Adesso legge.
"O Dio, che portasti fuori il tuo servo Abramo
dalla città di Ur dei Caldei, proteggendolo
in tutte le sue peregrinazioni, e che fosti la guida
del popolo ebreo attraverso il deserto,
ti chiediamo di custodirci, noi tuoi servi,
che per amore del tuo nome andiamo pellegrini
a Santiago de Compostela.
Sii per noi compagno nella marcia, guida nelle difficoltà,
sollievo nella fatica, difesa nel pericolo,
albergo nel Cammino, ombra nel calore,
luce nell'oscurità,
conforto nello scoraggiamento e fermezza nei nostri propositi,
perché, con la tua guida, giungiamo sani e salvi al termine
del Cammino e, arricchiti di grazia e di virtù, torniamo illesi
alle nostre case, pieni di salute e di perenne allegria e pace.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
San Giacomo, apostolo di Gesù, prega per noi.
Maria, madre di Dio, prega per noi."
Dopo la preghiera rimontiamo in silenzio sulle bici.
Partiamo. Ci aspetta un percorso misto, un po' asfalto e un po' sterrato. Dopo pochi chilometri troviamo sul sentiero alcuni "cuori di pietra", tra cui uno di dimensioni che supera il metro quadro. Tante pietre chiare messe in fila a formare un cuore, nel Camino ci si può perdere anche a disegnare un cuore, come può fare un bambino al mare con la sabbia bagnata. L'arrivo a Santo Domingo de la Calzada è preceduto da vigneti che si perdono a vista d'occhio. Una breve visita ad una cattedrale romanico-gotica e ad un antico e suggestivo Albergo del pellegrino, poi ci immergiamo in altri sentieri. Sono uscite delle nuvole, il clima è caldo umido, afoso. Si va in leggera ma costante salita, per chilometri e chilometri. Ancora vigneti, alternati a commoventi campi di grano. I fruscii delle spighe sono la nostra colonna sonora, non si incontra un'anima - solo qualche pellegrino, di tanto in tanto - e a guardarle per qualche minuto ti sorprendi: il vento conferisce loro l'aspetto di un quadro impressionista che cambia di momento in momento - ora verde chiaro, ora verde smeraldo, ora giallo, e ancora verde, e poi chi lo sa - e il sentiero che dovremo percorrere pare divertirsi a zigzagarci nel mezzo, fino ad essere ingoiato dal bordo della collina. Granon, Villamayor, Belorado, Tosantos, che bei nomi, e via, e via, altri paesi, sempre e costantemente verso ovest. Sempre in lieve salita, non molla. Ci fermiamo a mangiare a Villafranca de Montes de Oca alle due del pomeriggio, dopo sessantacinque chilometri, in una trattoria frequentata da camionisti, in genere una garanzia di un buon rapporto qualità-prezzo. E infatti la zuppa, il pollo arrosto, i fagioli, il flan danno buone sensazioni, e poi la fame è tanta.
Ci rimettiamo in sella. Io sono stanco, e dopo aver dato un'occhiata al percorso da fare, mi spavento, e decido di abbandonare i compagni di strada e percorrere la strada asfaltata. C'è una notevole pendenza da fare, bisogna arrivare in pochi chilometri dai 600 ai 1100 metri di altitudine, non me la sento di affrontare la strada sterrata con la mia vecchia bici da corsa con rapporti duri e fascioni lisci. Ci diamo appuntamento all'Albergo del Pellegrino di Burgos, ci scambiamo i numeri di telefono, ci salutiamo. Un po' di rammarico, abbiamo già condiviso strada insieme, speriamo di condividerne altra.
La salita sulla N120 è intervallata dal passaggio di camion, che quando scalano di marcia, fanno tramare l'asfalto, e ti intossicano di gas nauseabondi. La pendenza non è terribile, cinque-sei per cento, solo in rari punti arriva a otto-nove, ma avverto la fatica. Dopo alcuni chilometri, quasi un'ora di salita, raggiungo il passo, “La Petraia” a 1150 metri.
"Toniiii" mi giro verso la collina sulla mia destra, vedo i tre amici, Paolo, Mathias e Michele che mi urlano sorridenti. Mi viene voglia, come ieri, di raggiungerli, ma in questo caso le strade non si possono congiungere.
"Ci vediamo a Burgos! Buen camino!" Auguro loro, e sorrido anch'io.
Discesa a capofitto, quasi a sessanta all'ora, la strada si è allargata, anche la valle. Verso sinistra pascoli, e alberi, e rilievi lontani. La strada si fa pianeggiante, è un altopiano sugli 800 metri, l'aria è più fresca di stamattina. Ed ecco un incontro inaspettato, proprio come il secondo giorno. Un'aquila. Mi fermo ad osservarla. Volteggia su di me, è vicina. Provo a scattare qualche foto, a casa mi renderò conto che non la ritraggo nemmeno una volta, a parte un puntino lontano, quando sarà già all'orizzonte, sarà stata l'emozione, oppure quell'aquila è dentro me, e per questo impossibile da ritrarre. Volteggia, segue le correnti d'aria, pare che giochi. C'è silenzio, non passano camion, non passa nessuno, io e l'aquila. Spreco aggettivi scontati. Maestosa, flessuosa, elegante, morbida, imponente. Pare non avere alcuna fretta. Si allontana, pian piano, con percorso per niente lineare.
La saluto.
Via via che ci si avvicina a Burgos il traffico aumenta, è fastidioso. In un cartello di protesta, lungo la strada, leggo che il numero di morti per incidenti stradali, su questa N120 è in aumento negli ultimi anni, in trent'anni un'ecatombe. Il centro di Burgos è piacevole, mi fermo a vedere la maestosa cattedrale - si vedeva da una distanza di venti chilometri, tale è la sua imponenza - e poi mi metto alla ricerca dell'albergo del pellegrino, dalla parte opposta della città rispetto a dove sono arrivato. Arrivo alle sette di sera, ho fatto novantasette chilometri. I miei amici arriveranno alle otto - più sterrato e più salite, e un bel convento immerso nel verde, che mi rammarico di non aver visto, ma forse è stata per me la scelta giusta - e sono contento di vederli, credo anche loro lo siano. L'albergo del pellegrino di Burgos è una specie di lager, una sessantina di posti letto - letti a castello letteralmente appiccicati uno all'latro - in un prefabbricato non particolarmente ampio, è la peggiore sistemazione del Camino, lo sconsiglio vivamente. Se lo conosci lo eviti, noi non abbiamo avuto il tempismo di evitarlo. Il Camino, lo ripeto, è anche questo.
Una buona cena, e a letto.

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