Ci sono molte persone che in questa fase hanno ritrovato il gusto di parlare - telefonare, videochattare, scrivere - all'altro in modo diverso, di saperlo ascoltare valorizzandolo; persone che hanno riscoperto il valore del silenzio, del tempo lento, della spiritualità, della giornata arricchita dal poter pensare e guardarsi dentro, del dialogo autentico - per chi li ha in casa - con i propri familiari. E tutto ciò porterà un grande insegnamento, perché non vogliamo che tutto torni come prima.
Io invece lo vorrei, ma so che sicuramente niente sarà come prima, per tutt'altri motivi, almeno per tutto il 2020.
Certo, dobbiamo fare di necessità virtù, e sono contento, per esempio, di possedere un tapis-roulant e una bici con i rulli in cantina. Di telefonare a qualche parente o amico per scambiare due chiacchiere. Di avere un ampio giardino condominiale nel quale poter imitare Aristotele e i peripatetici, di poter pensare camminando. Di avere tempo per leggere e scrivere, appunto, quello che sto facendo adesso e mi rilassa oltremodo. Di guardare una puntata al giorno di "How I met your mother" in inglese con sottotitoli in inglese per migliorare la conoscenza dell'inglese divertendomi. Di avere un po' - poco al momento - tempo per l'aggiornamento professionale. E di sentirmi utile agli altri nelle rare urgenze che ho settimanalmente nello studio, bardato come un astronauta.
Se non mi soffermo sui problemi economici che incalzeranno nelle prossime settimane, tutto ciò potrà anche essere accettabile.
Ma purtroppo non c'è solo questo. Quella specie di videogame delle 18 su RAI 2 o su RAI news mi rimbalza nel cervello, e penso ai ventimila morti di covid-19 in Italia, ai loro parenti e amici che non li hanno nemmeno visti negli ultimi momenti di vita. Cerco di immedesimarmi in quel 20% di pazienti che hanno difficoltà di respirazione, che temono di addormentarsi e non svegliarsi più. A quelle persone intubate, legate alla ventilazione assistita. Ai responsi di un pulsossimetro che viene osservato con ansia e timore, alla necessità di dover idratarsi e non averne le forze, al tempo che non passa mai, concentrandosi sul respiro appena fatto e sul successivo, e ancora quello dopo. Penso alle persone convalescenti, che sono uscite da tutto questo, felici per questo, ma prosciugate di energie fisiche e psichiche.
Penso alle persone stravolte da turni massacranti che vedono morire le persone in corsia con una frequenza da loro mai vista, che - per fortuna - non si abituano ad ogni singola morte e ne sono addolorati, che non possono tornare a casa per i rischi connessi al contagio.
C'era proprio bisogno di dover passare da questa ecatombe, da questa crisi economica per accrescere l'empatia, il bisogno di ascoltare il prossimo, la condivisione? Il cinismo, la frenesia, il non ascolto pian piano torneranno in chi prima aveva già simili caratteristiche di disumanità, per gli altri ci sarà solo una modesta accelerazione ai buoni sentimenti, e pian piano probabilmente la vita futura avrebbe provocato fenomeni simili. Vorrei chiedere ad un ebreo se ritiene che la sua consapevolezza, il suo livello culturale, la sua umanità sono stati accresciuti dal passaggio nell'Olocausto.
Un male necessario, per sentirsi migliori?
1 commento:
C'era proprio bisogno di dover passare da questa ecatombe, da questa crisi economica per accrescere l'empatia, il bisogno di ascoltare il prossimo, la condivisione?
No, non c'era bisogno, non ci sarebbe dovuto essere bisogno, ma tant'è: tutto sarà uguale a prima, per i più.
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