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sabato 4 aprile 2020

Il bollettino delle 18

Ogni giorno alle 18 accendo la tv per l'appuntamento immancabile con il bollettino della protezione civile. 
Appartengo ad una generazione che negli anni '60 e primi anni 70, accendeva il televisore valvolare e lo stabilizzatore alle 17,45 per guardare "la tv dei ragazzi". Le trasmissioni cominciavano a quell'ora, e prima di quel momento c'era una immagine fissa, un patchwork di antenne che si chiamava "monoscopio" accompagnato da un suono bitonale. Non avevamo un bombardamento mediatico, a quel tempo, e assaporavo quell'ora di tv in cui poteva capitare Rin tin tin, Happy Days, Furia, Zorro, Oggi cartoni animati, Chissà chi lo sa, cose così... provavo una gioia incontenibile accompagnata da una fettona di pane e pomodoro, e lo sguardo attento. 
Di queste sere alle 18 mi è rimasto lo sguardo attento, ma niente gioia, a cui si aggiunge una strana impazienza per attendere il responso del giorno: il numero di contagiati, di ospedalizzati, dei nuovi sottoposti alla terapia intensiva, dei morti. Anche questa è una nuova abitudine, propria di questo periodo strano, surreale, degno di un romanzo Urania. 
In genere ho in mente le cifre del giorno prima, tanto per fare un raffronto, e oggi il numero dei contagi è calato leggermente rispetto a ieri, il numero dei ricoverati e anche di quelli in terapia intensiva è leggermente diminuito, il numero di morti è lievemente aumentato. 
Mi rallegro del calo del numero dei contagi, già da cinque giorni è così, è il segno che siamo nel plateau della curva, e che probabilmente tra qualche giorno il contagio nella popolazione, sempre tenendo le stesse misure di distanziamento sociale, potrebbe cominciare a diminuire sensibilmente, così dicono. 
Mi rallegro, sì, ma il numero dei morti? Per qualche secondo, confesso che mi disturba quasi pensarci, e in modo vagamente inconscio ho la risposta: l'importante è che i contagi comincino a calare e piano piano, molto piano eh, si cominci ad intravedere la soluzione di un'emergenza, e se i morti oggi vanno da 760 a 766, poco importa. 
Mi pare di assomigliare ad uno dei protagonisti di un racconto di Carver che arrivano in un posto ameno per pescare, e vi trovano - nel fiume - una donna morta; ritardano di qualche giorno la chiamata alla polizia tramite il ritorno ad un posto telefonico distante otto chilometri dal luogo in cui erano accampati, perché altrimenti la loro vacanza sarebbe andata a monte, tanto era morta( e per evitare che la corrente se la portasse via, la agganciano con una robusta lenza e un grosso amo).  
Questo cinico pensiero sui morti di oggi si è affacciato, se pur per breve tempo, nella mia mente assuefatta da tutte le cifre di questo mese, e tanto per darmi una labile giustificazione, rifletto sul fatto che il 27 marzo era andata molto peggio, con 969 morti, mentre oggi siamo a "soli" 766. Soli. Pian piano ritorna l'umanità e mi vergogno di averlo lontanamente pensato, eppure 766 morti sono molti di più degli 85 morti della strage alla stazione di Bologna, di Piazza Fontana a Milano, di Piazza della loggia a Brescia. Sono tantissimi, quelli di oggi, come quelli di ieri. 
Questa lotta al virus è stata paragonata ad una guerra; la guerra sta diventando inverosimilmente lunga, e le forze in campo stanno vacillando, comprese la forza della pietà e della compassione. Ci si abitua, e poi non si vede quasi niente, nessun immaginario di ogni singola persona che deve morire da sola, solo un mucchio di bare, delle lente colonne di camion senza nessuno al seguito. Morti prive di immagini, senza nessuno al capezzale che possa in seguito raccontare; uomini e donne che muoiono per mancanza di aria, con dei polmoni dilatati da un connettivo ingigantito e poco elastico, fibroso, infiammato, che sottrae tanto spazio agli alveoli e all'ossigeno. Non si riesce più a respirare, in pratica, senza nessuno che può tenerti stretta la mano negli ultimi momenti, anzi: senza nessuno che ti tocchi. 
C'è una pagina quotidiana in "La Repubblica", che si chiama "Tracce". Ogni giorno nella pagina ci sono una decina di storie di morti per infezione da Covid-19, a volte le foto, il nome e cognome. Mi pare un degno modo di tentare di non dimenticare. In Italia a oggi sono morte 14681 persone, cinque volte tanto i morti delle torri gemelle. A Ground Zero, al posto dei grattacieli c'è un memorial con i nomi delle 2996 persone che ci hanno lasciato l'11 settembre 2001, e mette i brividi. 
Mi piacerebbe, alla fine di questo inferno, che fosse pubblicato un giornale con i nomi di tutti i nostri morti italiani, per la maggior parte vecchi ma non solo; mi piacerebbe leggerlo da cima a fondo, in una domenica di sole, e immaginare un vissuto dietro ogni singola scritta.

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