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venerdì 27 marzo 2020

Un post ai tempi del coronavirus 5

"A Cloe, grande città, le persone che passano per le vie non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose l'uno dell'altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi s'incrociano per un secondo e poi sfuggono, cercando altri sguardi, non si fermano.

Passa una ragazza che fa girare un parasole appoggiato alla spalla, e anche un poco il tondo delle anche. Passa una signora nerovestita che dimostra tutti i suoi anni, con gli occhi inquieti sotto il velo e le labbra tremanti. Passa un gigante tatuato; un uomo giovane coi capelli bianchi; una nana; due gemelle vestite di corallo. Qualcosa corre tra loro, uno scambiarsi di sguardi come linee che collegano una figura all'altra e disegnano frecce, stelle, triangoli finché tutte le combinazioni in un attimo sono esaurite, e altri personaggi entrano in scena: un cieco con un ghepardo alla catena, una cortigiana col ventaglio a piume di struzzo, un efebo, una donna-cannone. Così tra chi per caso si trova insieme a ripararsi dalla pioggia sotto il portico, o si accalca sotto un tendone del bazar, o sosta ad ascoltare la banda in piazza, si consumano incontri, seduzioni, amplessi, orge, senza che ci si sfiori con un dito, quasi senza alzare gli occhi.

Una vibrazione lussuriosa muove continuamente Cloe, la più casta delle città. Se gli uomini e donne cominciassero a vivere i loro effimeri sogni, ogni fantasma diventerebbe una persona con cui cominciare una storia d'inseguimenti, di finzioni, di malintesi, d'urti, di oppressioni, e la giostra delle fantasie si fermerebbe.
Il grande Calvino ipotizza e costruisce sotto i nostri occhi una città che possiamo vedere oggi in qualsiasi parte del mondo, anche sotto casa. Gente che non parla, che si evita, che non si saluta. Non si tocca. Un'assenza di contatto tra uomini che sottende alla perfezione dell'istante precedente il contatto stesso, senza che questo poi avvenga. Tutta questa umanità multiforme e variopinta che, nel timore di rovinare tutto, nel terrore di arrestare la giostra delle fantasie, non fa il primo passo, e resta nel mondo dei rimpianti. Oggi la situazione è analoga, come risultato, ma non come premessa; c'è diffidenza, in questa città, e non desiderio; paura, e non vibrazione lussuriosa per ciò che potrebbe essere e non è. Per paura, in questa città invisibile - svuotata di uomini, donne, bambini, auto, biciclette, aquiloni - di un male invisibile che potrebbe essere in noi o in chi ci sta davanti, un male che si propaga con la parola, una carezza, un abbraccio.
Oggi ho fatto la passeggiatina intorno alla mia casa, rigorosamente entro i duecento metri, e vorrei tanto sporcarmi le mani, e abbracciare tutte quelle persone che stanno dietro le finestre. Fare un girotondo, correre, suonare in una band, fare la balena che spruzza in mare, stringere le mani, andare in bicicletta, su, su, su, tra le antenne e gli aquiloni. 

2 commenti:

Bandini ha detto...

Ho letto d'un fiato tutti i tuoi post sui tempi del coronavirus. Penso a come sarà rileggere queste (e altre) righe tra 3, 5, 10 anni. A come la racconteremo a nipoti e pronipoti. Questa è la nostra guerra mondiale. Mi sforzo di vederne i lati positivi: ci stiamo riscoprendo tutti ugualmente fragili, e fratelli in questa fragilità, come le foglie di Ungaretti. Stiamo imparando che siamo tutti collegati, che tutti in realtà da sempre ci contagiamo, gli uni gli altri, nel bene e nel male. Che non esistiamo da soli, ma solo in quanto comunità, in quanto umanità.
C'è una frase di un libro di John Fante che porto con me dalla prima volta che l'ho letta, e dice così: "Intuii il coraggio dell'umanità e fui contento di farne parte" (da Chiedi alla polvere"). Oggi più che mai è così.

Cletus ha detto...

Borges. La paura e la libertà dell'immaginazione. Il conflitto fra l'uno e l'altra che, anche in tempi "normali" attanaglia tanti. Che in questo modo si precludono possibili storie, possibili sviluppi. Preferendo un'orizzonte arido di esperienza-sorpresa al coraggio di esporsi. Tant'è.