Tanti anni fa lavorai per qualche anno come dentista nel carcere di Prato. Mi ricordo, di quel periodo, il clangore delle serrature che si aprivano e si chiudevano al mio passaggio, fino a raggiungere l'infermeria. Mi ricordo i carcerati, per quanto ben disposti a ricevere delle cure, con il viso stanco e l'inquietudine che trapelava dalle loro espressioni, il senso di vuoto che trascinavano con sé di giornate indeterminate nel tempo e nello spazio, il sabato e la domenica uguali agli altri giorni, e la cella, il refettorio, il cortile, l'infermeria, gli alti muri, sempre gli stessi luoghi. Da pochi giorni il senso di straniamento che vivo, e che probabilmente vivono tutti gli italiani, ha lo stesso sapore dei miei ricordi di quel periodo. Il mio appartamento, che sto conoscendo nei suoi più reconditi angoli e che non pulisco a sufficienza, il giardino, l'inferriata del giardino, che in questi giorni possono evocare gli spazi consentiti e invalicabili della nostra esistenza.
Fuori c'è un nemico invisibile, che è già leggenda, a giudicare dalle fantastiche narrazioni che si leggono sui vari social network a proposito dei suoi eroici punti di forza: si propaga a molti metri di distanza, resiste per nove giorni sull'asfalto, permane per giorni sugli abiti, si propaga troppo velocemente e sfugge di mano - come in Jurassic Park - a laboratori cinesi, francesi, americani, russi, in variegati concorsi di colpa, compresa la responsabilità del povero - si fa per dire - Bill Gates.
Molti improvvisati strateghi hanno la loro ricetta per sconfiggerlo: la vitamina C, la candeggina diluita da bere, l'attività fisica, la curcuma, la papaya, il kiwi.
E comunque Nostradamus, presenza ubiquitaria nelle catastrofi di ogni tipo, l'aveva predetto.
Il nemico invisibile ha provocato la pandemia, tuttora in corso, su cui inevitabilmente la letteratura e il cinema si sbizzarriranno, ma intanto molte persone muoiono, c'è poco da scherzare, e il mezzo più efficace per sconfiggerlo è quello di non prenderlo, visto che per ora non ci sono cure molto efficaci, al di là del nostro sistema immunitario. Un po' come i russi fecero con Napoleone: scappare, fargli terra bruciata intorno, non fornirgli nessun supporto logistico perché, come nel film L'esorcista che agitò i miei sonni di quattordicenne, il virus ha bisogno di possedere un corpo, di penetrare nelle cellule umane e di propagarsi. Ecco perché dobbiamo essere asociali, stronzi e diffidenti, si spera solo per qualche settimana, anche se c'è chi ci riesce con una naturalezza invidiabile, dato il periodo.
Fuori, dicevo, ammesso che non sia già dentro di me, c'è il nemico invisibile, che oggi ho cercato di evitare durante il coraggioso gesto da espletare ogniqualvolta il contenuto del frigorifero assomigli vagamente alla particella di acqua Lete: la spesa al supermercato.
Arrivato al parcheggio, una fila ordinata e lunga come la esse del supermercato mi dà il benvenuto. La attraverso e scendo con la macchina nel parcheggio sotterraneo, mi preparo. Mi detergo le mani, infilo i guanti, la doppia mascherina, e inizio il delicato intervento. Estrazione del carrello, risalita in ascensore lindo e vuoto e profumato come mai l'ho visto in tutta la mia vita, e percorrenza a ritroso della fila di umani mascherati che mi guardano torvi e incazzati, nel timore che io possa fare delle manovre scorrette per imbucarmi a metà fila. La fila comincia da fuori, in direzione est a 300 metri dal supermercato, non puoi sbagliarti, ogni metro e mezzo c'è un essere umano e un carrello. La fila a scorrimento lento è regolata da un vigilante che elimina gli esseri superflui: una persona per carrello, gli altri aspettino in macchina, ci hanno provato, è andata male. Il bello è che mi pare che quattro giorni fa ci fosse la stessa coppia che ha tentato di entrare insieme, ma con lo stesso risultato di oggi. L'esperienza che non insegna.
Durante lo scorrimento lento, devi stare molto attento agli spostamenti: il tipo avanti a me mi ha guardato male quando mi sono avvicinato entro i due metri, area di rispetto, nonostante fossimo ancora all'aria aperta.
Dentro il supermercato, la diffidenza regna giustamente sovrana: ogni volta che un articolo attira il mio interesse e c'è una persona nei dintorni, questa svicola rapidamente, o arretra fino all'inizio della corsia, perché per sopravvivere, ai tempi del coronavirus, devi considerare tutti come potenzialmente appestati . A un certo punto ho visto una signora che ho riconosciuto, nonostante il burka, l'ho salutata e abbiamo iniziato una surreale conversazione a distanza ai tempi del coronavirus(come va? eh come vuoi che vada? speriamo finisca presto, e che fai in questi giorni, peccato che sia bel tempo... eh? ah già! non si può uscire, ah ah, ma lo sai che tizio sta male, ma davvero, l'avevo visto sulle mura, oh...) che abbiamo dovuto troncare sul nascere, visto che un vigilante è passato due volte avanti e indietro colpevolizzandoci del fatto che non si possono creare assembramenti pericolosi davanti ai carciofini e al tonno.
Prima di rientrare in macchina, tolgo la mia maschera e i guanti, e ritorno nei panni di Clark Kent. Missione compiuta, o almeno credo, spero, sì: io speriamo che me la cavo.