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giovedì 10 gennaio 2013

Progetti per una visita a mia moglie, di Romolo Bugaro



 Qui sotto c'è, secondo la mia modesta opinione, uno dei più bei racconti scritti in Italia da vent'anni a questa parte. Avrei voluto scriverlo io.



Romolo Bugaro
Progetti per una visita a mia moglie



La targhetta sul campanello sarà sempre la stessa, G. Ambrosi – F. Berti. Troverò strano non sia stata ancora tolta di mezzo. Come se negli ultimi tempi non fosse successo niente di particolare, alla fine. Suonerò al campanello di sotto e la luce del videocitofono si accenderà con un minuscolo clic, bianca e concentrata. Mi preparerò a dire qualcosa guardando verso la telecamera, ma non servirà. Il portone si aprirà quasi subito, senza che nessuno chieda chi è. Magari non capirò bene il motivo, ma quel silenzio mi sembrerà già un brutto inizio. Un piccolo torto. Una specie di sgambetto prima ancora di cominciare.
L’atrio del palazzo sarà esattamente come ricordo: ampio, elegante, con le mezze colonne in rilievo sui lati.
Darò unocchiata alle cassette della posta, scorgerò la cabina luminosa dellascensore sul fondo. Salendo verso il nostro piano, per un attimo mi verrà la tentazione di piantare tutto e scappare via. Basterebbe fermare lascensore, entrare di nuovo in macchina e ripartire. Potrei farlo, se davvero volessi. Ma sarà solo un impulso passeggero, semplice da superare. So come sono fatto: nel giro di cinque minuti sarei pentito di sicuro.
Lidea di quellappartamento in fondo al giroscale mi farà un certo effetto, dopo tanti mesi dassenza. Mia moglie sarà in piedi davanti alla porta, le mani infilate nelle tasche del golf. Non avrà nessuna espressione particolare, né farà latto di venirmi incontro. Piuttosto ci sarà un istante di incertezza, fra noi, che subito danneggerà i miei gesti. A quel punto le andrò vicino senza parlare, leggermente rigido sulle gambe. Dovrò cercare di calibrare bene ogni atto, camminare verso lei non troppo piano né troppo veloce. Finalmente, mia moglie tirerà fuori le mani di tasca e sarà la prima a parlare. «Ciao», dirà. «Sei molto puntuale».
Linterno non mi sembrerà cambiato granché rispetto a prima, e i mobili saranno rimasti più o meno gli stessi, e i quadri, e i tappeti, e le fioriere in ingresso. Probabilmente mi guarderò attorno con la sensazione di essere tornato in un paesaggio di puri ricordi, più che in un luogo reale. Magari mi verrà pure la voglia di dirglielo, per farle capire quanto mi sento distante da tutto, ormai, ma alla fine non aprirò bocca.
Lei mi farà accomodare in salotto e accenderà labat-jour che ci ha regalato sua madre. Poi socchiuderà la finestra che dà sul balcone, ma senza un motivo vero: come proseguisse nei gesti per ostentare la propria confidenza con lambiente, portare subito anche le cose dalla sua parte. Alla fine siederà su una delle poltroncine vicino allo stereo, accavallerà la gambe e non chiederà se voglio qualcosa da bere, o una sigaretta, magari. Non farà nessun tentativo per rompere il ghiaccio con qualche frase di circostanza. Si limiterà a sfilare gli occhiali dal viso, prima di cominciare a dire la sua.
Sì, non avrà nessuna intenzione di farmi perdere tempo, verrà subito al punto. Spiegherà che la settimana precedente ha compilato una lista segnando tutti i mobili che mi deve restituire. Sarà solo un promemoria non definitivo, comunque, e se qualcosa non dovesse andar bene lei sarà disponibilissima a discuterne subito. Spiegherà daver aspettato inutilmente mi facessi vivo per riprendere quel che avevo lasciato lì in casa, ma siccome non è successo, ha deciso di anticiparmi. Determinate questioni non possono restare in sospeso allinfinito, su questo sarò daccordo anchio, sosterrà. «Molto meglio affrontarle subito, certe seccature», dirà. «Per il bene di entrambi».
Innanzitutto, vorrà restituirmi i mobili dello studio: la credenza cinese, la scrivania in noce, la vecchia Frau anni Sessanta. Quei mobili vengono da casa mia, quindi è normale che io li riprenda. Avrà già controllato i cassetti della credenza, portato via le sue carte, e a quel punto i facchini potrebbero venire su anche lindomani e imballare ogni cosa. Non sarà neppure necessario che io torni lì a controllare il lavoro: lei avrà già preso un paio di giorni di vacanza, per occuparsi dei dettagli.
«Mi sono abituata a pensare e fare da sola», dirà. «Davvero, non c’è nessun bisogno che ti disturbi».
Per quanto riguarda il salotto, avrà già stabilito di lasciarmi la cassapanca nera e il divano di pelle quello grande, naturalmente tenendo per sé tavolo da pranzo, trumeau e vetrinette Ottocento. In realtà il tavolo è un regalo di matrimonio, quindi anche mio, ma dal suo punto di vista la divisione sarà equa così, perché il divano è praticamente nuovo, mentre le vetrinette, soltanto di restauratore, le costeranno non meno di due milioni. Ne avrà già parlato con il restauratore. Avrà lì il preventivo da farmi vedere.
Poi passerà alla questione dei quadri. Vorrà restituirmi anche quelli, ovvio. E le stampe in ingresso, e il Novatti, e i due paesaggi inglesi Ottocento. Materialmente non avrà ancora toccato nulla, i miei quadri li ritroverò al loro posto. Però un paio di settimane prima sarà stata in un negozio di Piazza Cavour e avrà acquistato una decina di poster, tanto per rimpiazzare ciò che porterò via. La conosco. So com’è fatta. «Non sarà la stessa cosa», dirà, «ma non mi andava lidea di ritrovarmi con i muri di casa a quel modo».
Cercherà di controllare le mie reazioni, a quel punto. Ma io mi sforzerò di non mostrarne nessuna. Starò lì, seduto sul divano ad ascoltarla parlare, nientaltro. Da qualche parte, giù in strada, si sentirà un traffico dauto, qualche ragazzetto in motocicletta che filando veloce farà vibrare per pochi secondi i vetri delle finestre.
Alla fine vorrà discutere con me di altri pochi particolari: la cucina, ad esempio. Secondo lei dovremo decidere insieme, perché non avrebbe senso dividerla. Daltra parte, un problema del genere verrà fuori anche per larmadio a muro della camera da letto e il resto di cose che non è comunque possibile dividere, o le cui misure non si adatterebbero a nessun altro ambiente. Lei sa benissimo che darmi indietro quattro mobili non equivarrà a restituirmi tutto ciò che in quella casa è anche mio, pagato in parte da me. Tuttavia, ho pur abitato sei anni là dentro senza pagare una sola lira di affitto, e questo entrerà in ogni caso a far parte del conto.
Non aggiungerà altro, sul punto. Tutto sarà già definito. Così, quando mi pregherà di portare con me la lista che ha preparato, di controllarla e di rifletterci, quando si alzerà dalla sua poltroncina rimettendo gli occhiali, saprò che la mia visita è da ritenersi conclusa. Semplicemente.
Io potrò solo andar via.
Poi, allultimo momento mi troverò fermo a metà ingresso con la sua inutile lista in mano lei che dice «Ti ringrazio di essere venuto, cerca di star bene, aspetto una tua telefonata entro il mese», e farò cenno di sì con la testa, dirò a bassa voce «Entro il mese, daccordo».
Un istante più tardi sarò già in pianerottolo, e lei farà un sorriso generico, un gesto qualsiasi di commiato, e probabilmente vorrà chiudere subito la porta, rintanarsi in fretta. Ma non potrà farlo, perché io resterò a guardarla da fuori, immobile sul giroscale. Lei allora mi squadrerà incredula, poi impercettibilmente guastata dansia, e nello stesso tempo si irrigidirà.
Si preparerà ad affrontarmi qualsiasi cosa io decida di fare.

1 commento:

C. ha detto...

Picchi troppo sullo stesso dente.