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martedì 30 ottobre 2012

La mia maratona di Lucca. Il mio ritorno

Anni fa, in occasione di un capodanno, proclamai: "Da domani non metterò più zucchero nel caffè." Così feci, e così continuo a fare.
Durante lo scorso capodanno, prima pensai e poi dissi: "Quest'anno voglio correre la maratona."
Di sicuro, tener fede alla prima intenzione è stato più facile rispetto alla seconda. Ci pensavo ieri, sotto la pioggia battente, con le mani intirizzite dal freddo, quando mi mancavano quattro infiniti chilometri alla fine della maratona. Fino a quel momento avevo avuto diversi momenti di difficoltà - un dolore al tendine sinistro, il muro psicologico dei trenta chilometri, la stringa sciolta che non sono riuscito più a legare a dieci chilometri dalla fine, un accenno di crampi ai polpacci - ma niente in confronto a quegli ultimi chilometri sulle mura di Lucca. Avevo una gran voglia di mettermi a camminare, di piantarla lì. Di porre fine a quella infinita fatica.
E ci ho anche pensato – che non mettere zucchero nel caffè sia più facile che correre una maratona -durante tutto quest'anno, perché l'intenzione di correre una maratona richiede preparazione, regolarità, programmazione. Richiede, a monte della maratona, un dispendio di tempo ed energie da cui non si può prescindere, soprattutto a 51 anni.
Da capodanno fino ad ora, ho cercato di correre almeno tre volte alla settimana, pensando a quel lontano San Silvestro di 33 anni fa in cui, a soli 18 anni corsi a Roma la maratona, piazzandomi al decimo posto assoluto, lasciandomi dietro 9990 persone. Temevo che sarebbe stata l'unica maratona della mia vita. Dopo trentatré anni, però, gli obiettivi e la visione del mondo cambiano, nonché, soprattutto, il vigore fisico.  Bisogna mettere da parte il cronometro, essere concreti e realistici, un po' disincantati – anche nella vita – e più indulgenti con sé stessi e i propri sbagli, altrimenti il paragone diventa impietoso. 
In realtà in questi dieci mesi non ho fatto una scrupolosa programmazione, soprattutto se guardo i pochissimi allenamenti qualitativi: una sola seduta di ripetute( un 7x1000 in pista), 5 sedute di salite, una quindicina di allenamenti con variazioni di ritmo. Ho perlopiù corso e pensato. Grazie alle mie gambe che si muovevano, che appoggiavano un piede dopo l'altro, che sfruttavano la fase di volo e si occupavano del successivo atterraggio, grazie ai miei polmoni che succhiavano aria per scambiarla con anidride carbonica, al mio sudore che abbassava la temperatura interna, alle mie braccia che oscillavano avanti e indietro per dare il miglior equilibrio possibile; grazie a tutto questo ed altro ancora contenuto nel mio complicato e misterioso corpo di essere umano, ho avuto la possibilità di pensare e di godere delle mie emozioni, di pensare e sentire correndo. Spesso ho avuto la possibilità di correre con la bellezza che mi scorreva accanto: nella macchia mediterranea tra Piombino e Populonia, nella pineta di San Vincenzo, nel lungomare del promontorio di Milazzo, nel parco Sempione di Milano, su per la salita del monte Morello a Firenze, sulle mura di Lucca. Quasi sempre all'alba, prima che il mondo ricominci a far chiasso.
E' stato un anno difficile, purtroppo, per un grosso problema che non posso e non voglio spiegare qui, che per fortuna si sta pian piano risolvendo; le nubi grigie, dopo diverse terribili tempeste, si stanno dileguando, e si intravedono all'orizzonte sprazzi di cielo pulito. In quest'anno difficile, gli allenamenti, soprattutto quelli intrisi di bellezza, sono stati per me preziosi, per pensare e decidere. E per godere del qui e dell'ora.
Poiché mi piace caricare di senso tutto ciò che faccio, anche se – parafrasando Vasco Rossi – un senso non ce l'ha, mi piace pensare che la pioggia torrenziale ed il freddo pungente di ieri abbiano potuto esaltare il fascino di epopea e leggenda che la maratona esercita con un consenso pressoché planetario. Il mio ritorno alla maratona, dunque, si è caricato di un valore aggiunto provocato dagli agenti metereologici – pioggia, freddo, vento – che trasformano la corsa in un viaggio omerico, con una partenza, un allontanamento, delle difficoltà da superare, e un ritorno entro le mura arborate della città antica. 
Una maratona è infinita. Potrei pensare alla corsa di ieri ogni sera per un mese intero, ed ogni volta rievocare gli odori, i passi, il respiro, i dolori alle gambe, le pozzanghere, le musiche, gli automobilisti incazzati, le persone che ti applaudivano e ti incoraggiavano lungo il percorso, i compagni di corsa...ogni volta, dicevo, sempre in modi e sfaccettature diverse. Occorre affrontare l'infinito di una maratona con concentrazione, calma: occorre la testa ed il cuore.
Negli ultimi quattro chilometri stavo perdendo la testa. Cercavo di farmi forza pensando al successivo cartello, quello dei trentotto, trentanove chilometri, fino al cartello dell'ultimo chilometro. Prima della gara pensavo che, una volta arrivato sulle mura di Lucca, mi sarei sentito al sicuro, invece mi ero sbagliato. Negli ultimi quattro chilometri, a costo di risultare spudoratamente cliché, le sole cose che mi hanno fatto progredire sono stati i pensieri positivi: i bellissimi dieci mesi di allenamenti finalizzati a questa esperienza, la faccia di mio padre, i miei figli, le note del Bolero di Ravel,. Un crescendo, fino alla gioia degli ultimi duecento metri, in cui ho avuto la forza e la voglia di allungare il passo e di godermi alcuni scorci di Lucca con gli occhi stupiti che può avere un turista giapponese, fermando la mia corsa dopo tre ore e ventinove minuti. In compagnia dell'amico Carlo, che ha ripercorso gli ultimi metri con me, con cui avevo condiviso una buona parte della strada. Con il mio amico Arturo, che mi attendeva all'arrivo, invisibile artefice della foto qui sotto.
Happiness is real only when shared, sostiene Chris Mc Candless in Into The Wild, e così stasera ho voluto condividere un pezzetto della mia felicità con chi mi sta leggendo.






5 commenti:

C. ha detto...

Sono fiero di aver potuto condividere con te questa mia prima esperienza da emerodromo. Ci sono persone con cui vale la pena anche di soffrire un po' .

Ma in fondo correre una maratona non è una sofferenza.
Alle ragazze dello stand delle macchine del caffè, davanti al ristoro finale, che mi hanno chiesto incredule ."Ma chi ve lo fa fare?" non ho potuto che rispondere: "A voi, chi ve lo fa fare, noi siamo qui a divertirci!".
"Ma il nostro è lavoro" ed io : "Appunto!"

Bartolomeo Di Monaco ha detto...

Bravo Toni. Anche maratoneta!
Bart

Tonilamalfa ha detto...

@ Carlo: Sì, una bella avventura condivisa ha un valore aggiunto, spero che ce ne possano essere delle altre
@ Bart: ciao Bart, che piacere rileggerti! grazie di essere passato di qua, spero un giorno di poter passare a trovarti nella tua bella casa

Paolo ha detto...

Post bellissimo - pieno di vita e bella scrittura.

Tonilamalfa ha detto...

Grazie tante, Paolo, anche per essere passato di qui