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lunedì 2 luglio 2012

Mi sento sul far della sera


La sera è la logica conclusione di una giornata. Si abbassano i toni forti e accesi, inizia una tregua. Si stempera la calura estiva, dal suono esuberante delle cicale si passa alla nenia dei grilli, dalla totale assenza di ombre alle lucciole, da un sole infuocato ad una luna fredda e quasi piena che mette un po' di timore. Mi sento sul far della sera, stasera. Un po' triste e dimesso, con la tv accesa su radio capital che trasmette nostalgicamente "It's my life"dei Talk Talk. Ho paura che le stagioni più interessanti della vita siano già passate, senza che me ne accorgessi in modo da cogliere più opportunità possibili. Posso, sì, ringraziare il cielo di essere sano, di poter correre la mattina, di avere due splendidi figli che mi vogliono bene, soprattutto. Ma non ho il pudore di negarlo: temo il momento in cui arriverà la disfatta sul piano fisico. E non è solo questo. Gli amori, la stagione degli amori, degli anni di sole infuocato si tramutano pian piano in un freddo crepuscolo. E se dovessi utopicamente scegliere, sceglierei senza ipocrisia trent'anni fa. "La stagione dell'amore viene e va", sentenzia Battiato, e concordo con lui sul fatto che "i desideri non invecchiano con l'età". Ma con il passar del tempo un certo tipo di desiderio è patetico, o ridicolo. E cambia tutto, certo, ma spesso in peggio. Ti devi accontentare. Vieni a sapere di un tuo amico che se ne è andato, o di un altro che ha avuto un TIA, o di quell'altro che se la caverà, anche se deve fare la chemio. Quando corro la mattina, finché potrà durare, è uno dei migliori momenti. Nessuno per la strada, ed è vero che ho tanto sonno - chissà quanti bei sogni mi sto perdendo - ma avverto tutto il mio corpo che si muove in una direzione, e per diverse decine di minuti posso permettermi di pensare al niente. E anche se sono sopraffatto dalla tristezza, anche questo è un raro bel momento. Sto scrivendo, e mi piace. Le mie mani stanno appoggiate sulla tastiera, e rincorro con i tasti la barra lampeggiante sul monitor, senza acchiapparla mai. Scrivo, dunque incido nell'aria con volute di vocali e consonanti il fatto ancor banale che esisto. E mi sorprendo anche del fatto che dopo aver premuto "pubblica" qualche sparuto lettore possa avvertire una infinitesima porzione dell'infinita tristezza che mi ha colto stasera. Ho voglia di piangere, e forse lo farò.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Tony, mi viene in mente una citazione - vera ma non consolatoria - di Pavese. "Sei invecchia quando ci si rende conto che dire un dolore lascia il tempo che trova". Sai, io, al contrario di te, spero passi in fretta il 'mio tempo' così da girarmi indietro e dire: diavolo, da quanto tempo. La poesia di Kavafis io l'amo. Grazie quindi.

Tonilamalfa ha detto...

Beh, io i grandi dolori li sento ancora come cicatrici, o come ferite aperte; non sarò ancora vecchio, seguendo il criterio di Pavese?
Graze per le tue osservazioni, Barbara

C. ha detto...

"...Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

Delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge."

Io credo che invecchiare sia il modo con cui l'essere umano giustifica la propria debolezza, la propria pigrizia o il suo giustificato desiderio di riposo nella morte.
Quanto e come invecchiare sta a noi sceglierlo e ne ho vivi esempi ogni giorno.
Personalmente e per la nostra squadra l'obiettivo e "...fino a 100"
un abbraccio.