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giovedì 29 ottobre 2009

Viaggio in Scozia 4 - L'isola di Skye, ovvero un naufragio nella bellezza





Da ragazzo disegnavo spirali. Grandissime. Con anse che tornavano improvvisamente indietro, descrivevano percorsi tortuosi e rettilinei, e protuberanze, e budelli, e diverticoli, e villi e onde. Occupavano un foglio intero, il tempo di una spiegazione di una storia detta male e senza amore, che si trattasse del congresso di Vienna o dell'età giolittiana; tanto quell'anno sarebbe uscita filosofia - e non storia - come materia d'esame, questo era ciò che tutti pensavano. E io lì a percorrere chilometri di penna, lontano dalla classe, libero di esplorare il foglio come desideravo. C'erano solo un paio di regole da rispettare. La prima: non dovevo toccare o incrociare il tratto di penna già creato, e - regola numero due - ad un certo momento dovevo tornare indietro, ripercorrere la lunga strada per ricercare il punto di partenza e chiudere il percorso, creando una zona interna e una zona esterna al disegno. A quel punto mi concentravo verso un qualsiasi punto nella zona centrale del disegno, e - se il disegno era ben fatto - mi trovavo nell'impossibilità di capire se ciò che stavo vedendo era una zona interna o esterna, bianca o nera. Per saperlo dovevo idealmente percorrere un labirinto che mi avrebbe condotto all'uscita, fuori del disegno, o mi avrebbe per sempre imprigionato dentro questa elaborata spirale. Insomma, mi piaceva confondermi, perdere il senso di orientamento, scoprire con gran difficoltà se mi trovavo a contatto con l'uscita o dentro una massa filamentosa(che in seguito, se la spiegazione dell'insegnante si fosse dilungata, sarebbe stata riempita di penna bic). Ho provato questo stesso confondimento mercoledì dieci giugno 2009 nell'isola di Skye. Davanti a me vedevo strisce di terra e acqua. E io mi trovavo nell'impossibilità di sapere se quell'acqua fosse lago o fiordo, se quella terra fosse Skye o un'isola antistante, se stessi andando verso ovest o est(in quel momento non c'era sole). Mi sentivo piacevolmente alla deriva della strada che curvava improvvisamente a gomito, che mi faceva andare in senso opposto rispetto alla direzione prevalente del viaggio. E intorno a me colline, avvallamenti del terreno, monti e crepacci tappezzati di mille tonalità di verde che andavano a morire nel blu turchese di quell'acqua gelida. Desideravo perdermi, più di quanto lo fossi in quel momento a duemilacinquecento chilometri da casa mia. E a più riprese, quel mercoledì dieci giugno stavo annegando nella bellezza.
Ho dormito a Broadford, il primo paese che trovi nell'isola di Skye venendo dal ponte che collega alla terraferma. Stamani un pensiero positivo mi accoglie uscendo dal bed and breakfast: niente borsoni, solo uno zainetto da legare alla bici, visto che stasera tornerò a dormire qui. Il vento, un vento fresco e intenso mi accompagna fin dalle prime pedalate. L'isola di Skye è un avamposto dell'Europa del nord; se guardi il mappamondo ti accorgi che dall'America a lì non c'è nient'altro che il fresco dell'Oceano(che a quella latitudine, la stessa del Labrador e di San Pietroburgo, la Scozia è miracolata dalla corrente del golfo); l'aria dell'Oceano è quello stesso vento che rende inaffidabile qualsiasi previsione metereologica: pioggia, sole, caldo, freddo, nuvole a tutta velocità, una specie di giostra. Mi fermo ad un supermercato a fare scorta di acqua e kit-kat.
Dopo pochi minuti di bici, le case sono finite e la strada piega all'interno, insinuandosi in una gola circondata di bosco. Il verde prevalente è lo smeraldo, qui e adesso. Salgo, scendo, ritorno a costeggiare il mare sulla mia sinistra. Vedo Scalpay, un'isola collinare e boscosa molto vicina alla riva - pare quasi di poterci andare a nuoto - che con Skye contribuisce a creare uno stretto braccio di mare. La strada segue adesso fedelmente il profilo tortuoso della costa.
Ora si ripiega verso l'interno, ma ciò che vedo oltre la riva non è più un'isola, bensì l'altro lato di uno stretto fiordo, chiamato Loch Sligachan. Lo percorro tutto - intanto il vento si è disciolto per la protezione di isole e rientranze profonde - e mi arriva uno scenario indimenticabile. Il mare pare un lago, sbarrato da scogli e isole, l'erba di mille tonalità muore nell'acqua - anche le colline circostanti vi cascano dentro - e sullo sfondo opposto al mare vedo una catena montuosa, The Cuillins. Mi fermo a fare qualche foto, a mangiare cioccolato, a respirare.
Sono felice di essere qui.
Proseguo adesso in un paesaggio lunare, la strada sale e si insinua tra due monti. Piove ed esce il sole; quando esce il sole ti sembra che ci sia sempre stato, il blu è intenso e la disposizione delle nuvole in continuo cambiamento è un valore aggiunto al paesaggio. Nessun centro abitato. C'è un'alternanza tra prati, torbiere, qualche bosco per una ventina di chilometri - ne ho percorsi 40 da Broadford - fino a raggiungere Portree, fino a ritrovare il contatto con il mare. C'è una piazza con qualche bar, molti turisti, un corso che fa da spina dorsale del paese, fino ad un'altra piazza, e tutt'intorno molte casette con tetto in ardesia e giardino che si sviluppano su stradine tortuose; l'intero centro abitato è arroccato su una collina che si affaccia su un porto al riparo dai venti. E se non bastasse l'insenatura naturale, un'ulteriore protezione è data da un'isola - Raasay - distesa a cuscinetto tra l'isola di Skye e la Scozia. Mi fermo a mangiare un panino e una coca piuttosto in fretta, perché temo l'avvicinamento di una nuvola dal colore minaccioso e prendo una stradina, la B 885 che congiunge la parte est con la parte ovest dell'isola. La strada sale dolcemente attraversando un bosco. Dopo pochi minuti mi suona una macchina dietro di me: è la prima volta da quando sono in Scozia che qualcuno mi strombazza, sono un po' irritato, mi metto sull'estremo bordo sinistro(qui si tiene la sinistra) della stradina. Si affaccia un signore da un finestrino, è sorridente, mi fermo. Si ferma. "Hai perso questa", mi dice e mi mostra il lucchettone a spirale che mi era scivolato dallo zainetto. Ringrazio di cuore e saluto. Rifletto sull'accaduto: quel signore, incrociandomi, aveva visto cadere il lucchetto, si era fermato, aveva recuperato il lucchetto, invertito il senso di marcia e mi aveva raggiunto. Non so, per un attimo mi pare che certe cose avvengano solo qui.
Poco prima del valico della strada, vedo un'aquila a una ventina di metri da me che si alza in volo. Mi fermo imbambolato e seguo per qualche minuto i suoi avvitamenti a spirale sempre più alti; è diretta verso un vicino monte, provo invano a fotografarla. Ho la sensazione - piacevole, per niente inquietante - di essere solo come quell'aquila.
La discesa mi conduce al versante ovest dell'isola: altro mare, promontori, uno stretto fiordo - loch Harport - , sullo sfondo il sole e i suoi riflessi. La strada ora piega verso sud, e mi consente di vedere ed avvicinarmi a delle aguzze montagne intorno ai 1000 metri - piuttosto rare da queste parti - dai riflessi rossastri, The Cuillins. Percorro tutto il fiordo, la strada piega verso est fino a raggiungere, nel punto più stretto dell'isola, loch Sligachan, il fiordo che avevo attraversato stamattina. Qui il paesaggio è aspro, probabilmente i venti in questa parte dell'isola non consentono una fitta vegetazione. A tratti, in modo improvviso e inaspettato, vengo colto da emozioni intense. Sono le sette e mezzo di sera, ora comincia una pioggia insistente; dal cielo plumbeo si affaccia qua e là qualche chiazza di sole. La pioggia non mi dà alcun fastidio, sarà l'euforia della giornata, comunque ripercorro i venti chilometri che mi riportano a Broadford con un brio e una gioia infinita. Mi attende il B&B, una doccia, il ristorante con il tramonto alle dieci e mezzo passate.
Ritorna il sole, pare inchiodato nel cielo.
A domani
(Toni La Malfa)
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2 commenti:

Bartolomeo Di Monaco ha detto...

Invido questa tua capacità di viaggiare e raccontare.
Bart

Tonilamalfa ha detto...

Grazie Bart. Da parte mia, invidio la tua capacità di macinare libri su libri.
Un caro saluto