Il silenzio è sempre presente nei discorsi, se non altro perché se non c'è silenzio non si può parlare. In ogni caso, l'esperienza di prendere la parola viene vissuta come l'emergere sopra un rumore di fondo. Se ci si concentra su un suono, i rumori di fondo svaniscono. Il silenzio è un concetto relativo, perché di rumori ce ne sono quasi sempre. E' relativo anche in un luogo come la montagna: i rumori piccoli ci fanno sentire meglio il silenzio intorno a noi. Di notte in casa i piccoli rumori si notano di più.
Il silenzio è una componente fondamentale della narrazione come un non detto, essenziale in tutte quelle narrazioni che abbiano al centro un mistero, un giallo per esempio(sostenuto dalla "reticenza" dell'autore); il non detto è importante anche in una narrazione di fatti e niente viene detto su ciò che pensano i personaggi(esclusivamente narrazione di fatti), oppure in narrazioni in cui si sa tutto ciò che avviene nella mente del personaggio, ma paranoico e quindi dubitiamo - non appena ce ne accorgiamo - di ciò che lui pensa e racconta. Un esempio di quest'ultimo caso è il bellissimo romanzo di Volponi: "Memoriale"(tascabile Einaudi), una storia in cui c'è un operaio di una fabbrica, che i medici con scuse qualsiasi tengono lontano dalla fabbrica, per lui importante perché contadino(rappresenta per lui una specie di promozione sociale). Ma in parte le cose vanno come dice lui, in parte no, quindi diventa tutto confuso per il lettore.
Altri tipi di silenzio nella letteratura sono rappresentati dal silenzio della scrittura in versi: ad ogni riga della poesia corrisponde un pezzo di rigo che è bianco. Nei libri - di qualsiasi genere - le parole sono circondate da un bianco, che serve a dare consistenza e leggibilità al testo. Nei libricini Bur i vuoti sono piccoli, in altri, tipo i vocabolari, i vuoti sono importanti per trovare le parole. Vi dico una storia di un libro: un personaggio legge la bibbia e arriva in fondo, ci sono due pagine bianche; il personaggio pensa: che cosa dicono, che cosa raccontano? E’ possibile che venga taciuto all'improvviso un qualcosa?
Il tema del silenzio può sembrare paradossale perché scrivere significa rompere un silenzio ma può essere un buon modo per entrarci in modo un po' meno convenzionale. Ci può meglio rendere i limiti dell'espressione scritta o verbale.
Ora vi faccio sentire una musica di Brian Eno, musicista di rock progressivo, produttore degli u2. Il brano in questione è Neroli,[non ho trovato in rete altro che i primi 30 secondi NdR] una musica per pensare o pensante. Eno è l'inventore della "ambient music", utile per "arredare" gli spazi ma anche alcuni momenti della vita. Durante il pezzo si sono percepiti di più i rumori del traffico, i vetri che vibrano, i nostri rumori, il respiro, i colpi di tosse; l'esatto opposto della musica da supermercato, la cosiddetta "muzak". In alcuni ristoranti cinesi gira un solo pezzo musicale che ha la funzione di non far sentire i piccoli rumori. Ci sono studi di Schaffer che ha scoperto che i costruttori di grandi grattacieli, dopo aver fatto una serie di sforzi per ridurre i rumori degli ascensori che cigolano, e i rumori prodotti dal vento, hanno introdotto delle piccole dosi di rumore bianco, indistinto, hanno reso meno silenziosi gli ascensori, meno silenziosi i condizionatori, perché un minimo di rumore "aiuta" gli inquilini(hanno rilevato che gli abitanti dei grattacieli si sentivano a disagio).
C'è un altro silenzio che viene generato da una musica di questo tipo, c'è l'attesa di un qualcosa che dovrebbe succedere ma che non avverrà. Quest'attesa è una sorta di paradosso preromanzesco: nei veri romanzi qualcosa deve succedere(un omicidio o qualcos'altro). Nel novecento c'è un tentativo di ribellarsi a questo(La recherche di Proust, Ulisse di Joyce, Moby Dick - per certi versi - di Melville, Giacobbe di Thomas Mann, L'uomo senza qualità di Musil) romanzi talvolta inaffrontabili dal lettore, in attesa di un qualcosa che non avviene mai.
Musil scrisse L'uomo senza qualità I. Poi L'uomo senza qualità II ("le stesse cose ritornano"), L'uomo senza qualità III con capitoli disomogenei("verso il regno millenario" un periodo fuori dalla storia, con dio in terra, dove non avviene nulla, indicazione di non tempo). Poi morì con la testa incastrata nel cestello della lavatrice senza riuscire a organizzare e concludere il terzo libro.
La recherche funziona quasi allo stesso modo. Volumi infiniti, finché - quasi sempre - va a finire che l'autore muore. I Guermantes - terzo libro, il migliore - racconta di un tè per duecento pagine, e di altre duecento pagine una cena; poi il barone di Charleuse dà segnali all'autore omosessuale che riceve i segnali, si mette a fare il gallo, venti pagine conclusive quasi esilaranti.
Facendo un paragone in campo musicale, Beethoven è romanzesco. Presenta il primo tema, poi il secondo tema, i due temi entrano in conflitto, dialogano a tratti, si rincorrono, risolvono il conflitto: il tutto procede con tutta una serie di regole molto precise,è una specie di grande macchina. Poi nel novecento si prendono due direzioni: una, quella di Mahler, che ti crea una sinfonia di due ore e mezzo, dove ci mette dentro la musica del postino, il coro per bambini, ecc. Mahler produce macchine come le opere artistiche di Tingeli, delle macchine enormi che non servono a niente. Visivamente si può associare all'immagine del fiume in piena, un procedimento di accumulo dei materiali più disparati.
Altra direzione: compositori che fanno musiche piccole che fanno melodie corte, come Webern . Melodie corte, sfuggenti, dove non si riesce mai a prevedere che cosa dovrà succedere.
Tutto il contrario dell'album del matrimonio, una delle "narrazioni" più prevedibili; il fotografo attraverso il montaggio, sveltisce e dà un ritmo al racconto "matrimonio". Il montaggio genera un'attesa, dà la previsione della scena successiva. Adesso accade una cosa, si pensa, e nell'album del matrimonio accade. Le attese danno forma al tempo.
Se raccontiamo la nostra vita, dobbiamo selezionare gli eventi, dobbiamo raccontare in modo adeguato. Questo è ciò che rende godibile una narrazione e la fa diventare rumorosa, come se generasse attenzione intorno ad un evento.
John Cage ideò ed eseguì nel 1952 un brano (musicale?) dal nome "4'33". Il musicista in realtà non suonava nulla. Muoveva la panchetta, si sedeva, girava pagina dello spartito, lo sistemava meglio sul leggio del pianoforte, e così via, finché non erano finiti i quattro minuti e trentatré secondi; andava verso un'azione che non avveniva mai. Nella prima esecuzione ci fu un lancio di verdure. Nella seconda esecuzione ci fu un fulmine che squarciò il vetro di una finestra della sala(i maligni dissero che era la vendetta di Dio), in molti scapparono, lui richiuse con calma il piano e se ne andò. Nel 1977 Cage si presentò con un'opera in Italia "empty words". Tirò fuori dei foglietti e cominciò a biascicare parole - in modo incomprensibile - che erano l'ultimo capitolo dell'Ulisse di Joyce. Durò più di due ore, l'auditorio fece un putiferio incredibile, ma alla fine lui disse che era venuto proprio bene. E' stato alla la direzione musicale degli Area con Stratos, per qualche tempo ha collaborato anche con Finardi.
Le musiche di Eno hanno un potere dirompente come evidenziatrici di silenzio. Il silenzio - inafferrabile di per sè -comincia ad esistere quando c'è un confronto con un suono amico o un suono che cerca di sopraffare il silenzio, come il rumore bianco - si potrebbe visualizzare come una specie di muro - simile al rumore che sentiamo quando la radio non è sintonizzata su una stazione radio ben precisa, tutte le frequenze sonore si sovrappongono e si contrappongono in modo netto al silenzio. In certa pazzesca musica di film americano spesso si sente un centinaio di musicisti che suonano insieme, viene quasi un frastuono, come nel film "Uragano".
Ha senso, a questo punto, farsi una domanda: che cosa c'entra tutto questo con la scrittura? Tutto questo è una direzione di ricerca più ardua, è il tentativo di vivere la scrittura come momento silenzioso, di valorizzare le pause e gli spazi bianchi che essa contiene.
Prendiamo, per esempio "L'infinito" di Leopardi. Lui guarda la siepe, lo schermo che gli impedisce di vedere. E si immagina interminati spazi di là da quella. Il vento che ode stormire tra le piante gli dà la possibilità di comparare gli spazi, e il silenzio. In questa "smisuratezza" il suono produce una possibilità di comparazione.
Ci sono due possibilità di sentire la musica: o come sfondo, o come ascolto consapevole.
Esistono musiche dedicate a determinati ambienti: la musica per aeroporti - hall sterminate, soffitti altissimi, vetrate enormi - a cui si è prestato anche Brian Eno . Ci sono musiche per clientele specifiche, spesso non qualitativamente eccelse, come "radiorinascente". Mc Donald seleziona un disco che si ascolta per un mese di seguito.
Mimmo Palladino ha fatto "I dormienti" . Nella "Tube"(la metropolitana di Londra) c'è una sala antica rotonda che ha dodici accessi. Paladino ci aveva messo i dormienti (l'esposizione è durata sei mesi), statue adagiate su assi di legno poggiate sul ghiaino, e per terra c'erano minacciosi coccodrilli che parevano raggiungere questi dormienti dai vari accessi; Eno aveva elaborato una musica in cui dodici diverse sorgenti sonore - ciascuna in due altoparlanti - facevano sentire una melodia ricorrente, ripetitiva, ma leggermente diversa e sfasata nel tempo rispetto alle altre, e spostandosi di poco si aveva una percezione leggermente diversa dei suoni. Si stava a guardare le persone che dormono mentre fuori dai condotti ci sono i coccodrilli. Io sono stato in questo luogo per quattro ore. Si avverte questa minaccia, questa musica che non progredisce mai. Dentro tutti si muovono in un silenzio mai visto altrove, con il ghiaino che fa un lieve rumore. Le persone stanno lì per un tempo lungo, tempo medio dieci minuti, proprio per vedere cosa possa accadere, poi vedono che non accade mai niente e se ne vanno.
Il senso di minaccia è una citatissima battuta di Carver: la presenza di un senso di minaccia dà interesse al racconto, ma questa minaccia non si concretizza. L'ultimo racconto di "Vuoi star zitta per favore?" è la storia di due che devono sposarsi e vanno a vedere una casa, lei contenta lui dubbioso. Si intuisce che c'è qualcosa che non va, anche se volenterosamente si sforzano di essere la coppia perfetta, poi tornano a casa e l'ultima frase:" e lui si girava e si rigirava nel letto pensando al suo futuro" non rivela il senso di minaccia. Fermandosi prima, Carver compie un gesto di pietà: non vi porto fino in fondo tutto il meccanismo romanzesco, perché non ho voglia di innescarlo e do ai due la possibilità di non precipitare dentro alla crisi; non metto questi qua in un destino meccanico. Si potrebbero interpretare questi finali di Carver una profonda "passione per il silenzio" e "passione per la macchina", per i piccoli rumori che esaltano altri rumori; Carver con questi piccoli rumori fa sentire e può anche rendere intollerabile la versione romanzesca. A me[Giulio Mozzi] il romanzo non sta antipatico, ma ormai la totalità dei romanzi di intrattenimento hanno quel meccanismo; sono letteralmente spaventato quando vedo un film basato sui meccanismi narrativi completamente esibiti quarant'anni fa o uguali ai meccanismi ottocenteschi. Perché? Perché non si riesce ad andare oltre?
Con i romanzi fino ad una certa epoca si fa ridere, dopo si scopre che può far piangere, e vai con "Pamela", "Piccole donne" e "L'incompreso". Dopo un po' di tempo il romanzo comincia a deformarsi(extralungo), poi si verifica un'involuzione ed una sostanziale rinuncia al romanzo: il romanzetto da 170 pagine - tipo Pavese o Cassola - dove non esiste più l'intreccio romanzesco, non può starci dentro. "I fratelli Karamazov" ha - nell'edizione che ho io - 1208 pagine, e quello è un romanzo fatto come si deve.
Tornando al silenzio e al suono come esaltatore di silenzi o di rumori impercettibili: tra poco andremo a fare un esperimento al luna park, un luogo adatto o per film di pianto con luna park chiuso o per film di paura con luna park aperto e deserto con frastuono pazzesco. Ogni qual volta percepiamo una figura percepiamo uno sfondo. Tendiamo a privilegiare la cosa rispetto allo sfondo. Oltre ad avere primo piano e secondo piano(sfondo) - capita anche con la musica - c'è il campo; sono io stesso in una situazione medesima al primo e secondo piano, tutto l'ambiente in cui questi piani coesistono è il campo. Per qualsiasi cosa che sentiamo-vediamo-tocchiamo-saggiamo, noi abbiamo un punto di vista mobile, abbiamo un nostro personale approccio alla cosa(ho capito com'è fatto e mi faccio un'immagine mentale) e a partire da quel momento(dell'immagine mentale) cessiamo di rapportarci con l'oggetto. Motivo per cui succede di fare sbagli quando sovrapponiamo l'immagine mentale all'oggetto.
Esercizio: provare a eliminare i rumori principali e cogliere i più sottili suoni, seguirli e provare a sperimentare un modo non normale di percepire un luogo. Quest'attenzione può essere un modo per sentire quanti suoni è composto quel luogo. Ci vediamo in biblioteca tra quarantacinque minuti, buon luna park.
"Un uomo pesa 120 kg" è una frase soddisfacente, mentre i suoni non appartengono alle parole scritte, ci sono parole aggiustate tipo "pipistrello" che è l'aggiustamento di vespertillus(animale che si muove quando fa buio).
Forse questo dei rumori è un problema insolubile, ma bisogna almeno pensarci su.
Calvino si esercita a far parlare un personaggio unicellulare attorno al quale non c'è ancora niente, e in cui non riesce a nominare niente.
La musica può produrre uno spazio.
Fripp si è recato nel salotto di Brian Eno, Fripp ha suonato a lungo e Eno ha registrato tutto. Poi ha cominciato a lavorare rimescolando e sovrapponendo. Ne è venuto fuori un pezzo discretamente lungo. Vi invito ad ascoltarlo come un suono che produce uno spazio, uno spazio che costruisce profondità, indefinito come altezza. Si ha la sensazione di essere immersi nell'acqua, come essere legati ad una cima gettata da una barca che ha dei limiti spaziali, ma che non si muove secondo schemi precisi.
"Lux eterna" di Righetti in "2001 odissea nello spazio", è cantata da un coro di voci maschili, che serve a trasportare il protagonista in una dimensione onirica con limiti vaghi dello spazio e del tempo.
Quando ascoltiamo stiamo attenti agli eventi, mentre non siamo attenti allo sfondo. Il suono continuo può essere affiancato ad un silenzio continuo.
Prendiamo il Petrarca: "chiare, fresche e dolci acque" è onomatopeico, un rumore leggero.
Un altro suono si trova più giù: "con sospir' mi rimembra"
In "aere sacro, sereno" ho un'aria immobile
Non c'è più nessun suono.
Alla quarta strofa piovono fiori ma anche qui senza nessun suono.
C'è una smaterializzazione di Laura che viene prodotta attraverso il silenzio, un profondissimo silenzio.
Il movimento attraverso acqua-albero-terra non mostra Laura
Il silenzio rappresenta la musica celeste prodotta dal movimento dei sette pianeti, secondo una ipotesi; secondo un'altra è il rumore bianco dell'esperienza, nel quale si mescolano tutti i colori, che quindi diventa indistinto. E' indescrivibile il suono dove ci stanno dentro tutti i suoni. Ci si sposta sempre tra un perfettamente indistinto, la musica celeste, il corrispettivo di una folla che parla a bassa voce(il huhaha de la marmaglie) e il silenzio assoluto.
E' impensabile pensare oggi platonicamente che ci sia un luogo dove stanno le idee.
Ci si muove tra idea ed esperienza, tra questi due estremi. Si prende il rumore bianco e si filtra. Quando, in altre parole, rompiamo il silenzio e parliamo, rompiamo il rumore bianco e cerchiamo di mettere dei filtri all'esperienza. Ogni parola, con il nominare, è un rompere il silenzio.
Il silenzio non è uno stato naturale, ci sono una serie di lavori per ripristinarlo artificialmente. Anche in cima ad un monte c'è tutta una serie di condizioni artificiali per arrivarvi. In posti poco antropizzati ci sono una serie di rumori che comunque esistono. Il rumore degli insetti può essere noiosissimo. A Pantelleria ho trovato tutta una serie di rumori. C'è il silenzio della desertificazione naturale. Anche un bosco silenzioso è una condizione artificiale, spesso dovuta all'eliminazione delle specie animali prodotte dall'uomo.
C'è un'idea utopica di silenzio nei boschi, in realtà i ramagli del bosco spostati dal nostro cammino, gli insetti che ronzano, il volo e i versi degli uccelli, animali più grossi che si spostano tra gli alberi, sono continuamente presenti.
Ora faremo un esperimento con una poesia senza pretese che ho composto per l'occasione. [primo foglio con tante righe lunghe quanto le parole che cancellano, eccetto la prima parola "amore" che è visibile]la parola amore apre un campo enorme, la parola sloggia[ nel secondo foglio si vede l'ultima parola in chiaro della terza ed ultima strofa "sloggia"] limita un po' il campo e dà una deviazione di percorso, è più aggressiva. La rottura del silenzio, l'emergere delle parole in un testo criptato è la creazione di una apertura e pian piano - con l'arrivo delle parole successive - comincia a restringersi, è una specie di imbuto. Rompere il silenzio, progredire in questo imbuto significa applicare dei filtri al rumore bianco. Io agisco con un filtro.
"Amore" o "sloggia" sono entrambi dei termini ampi(sloggia molto meno di amore, in realtà) e paiono dare informazioni grosse, ma sono di per sé vaghe, e l'imbuto rimane largo."sembra"[parola presente nel terzo foglio, all'inizio della terza strofa] veicola poche informazioni e quindi dà una strada. Quarto foglio, ultima frase della seconda strofa : "Conservi tu le tracce?" dà una prevedibilità delle due corte parole immediatamente seguenti che sono ancora non visibili: "Io no." Le parole più importanti sono quelle meno indovinabili. Tanto più inserisco parole meno prevedibili, tanto più spiazzo, ma tanto più indico una strada.
Al quinto foglio distribuito da Giulio, appare tutta la poesia:
Amore, a quali giorni
si attacca il tuo ricordo,
il gioco del ritorno
di un tempo che mai dorme?
Del giorno che è comune
a me e a te, che uno
di due destini fece,
conservi tu le tracce?
Io no. Mi sembra un sasso
di fiume, tondo e liscio,
il mio cervello, oggi:
e l'ansia sta, e non sloggia.
"Sloggia"era stato da molti interpretato come una seconda persona singolare dell'imperativo, quindi più brusco e violento di come in realtà viene usato.
Il termine "Amore" utilizzato in senso vezzeggiativo, per rivolgersi ad una persona, perde un po' del grande significato ideale che molti si erano immaginati per questa poesia(come il famoso attacco dantesco "amor che a nullo amato amar perdona...").
Il modo di declamare è l'impaginazione vocale, una serie di segni che organizzano il testo.
Quando leggiamo il testo in versi, in prima lettura non ci poniamo il problema degli "a capo". Il fatto che ci siano termini scritti in maniera diversa, più o meno evidenti, può dare un aiuto per il modo di declamare una poesia.
Come ha fatto Mallarmè in "Un colpo di dadi non abolirà mai il destino". La stessa persona ha fatto forme aperte e chiuse. Per comporre forme libere, bisogna aver studiato molto bene quelle chiuse, compresi gli endecasillabi.
"La biblioteca di babele" di Borges contiene tutti i libri possibili, tutte le combinazioni di lettere e spazi, costruiti casualmente e anche casualmente i grandi testi della letteratura scritti e ancora da scrivere. Se un testo è scritto da un computer non è detto che sia brutto perché è stato scritto da una macchina, non ci possono essere pregiudizi perché è stato scritto da una macchina, io ho solo il testo scritto e posso dare esclusivamente dei giudizi sul testo, quindi poco importa - per quella lettura - sapere le intenzioni dell'autore.
Non appena le parole escono dalla routine diventano problematiche, perché non si riesce a dare un senso. Possiamo mettere la parola "sasso" e non c'è scampo, mentre la parola "amore" può assumere molti significati.
Le parole possono essere polisemantiche, avere cioè un'ampia gamma di toni, le parole univoche sono pochissime.
Le parole sono comunque governabili e traducibili, in questo caso i vuoti sono difficilmente governabili e traducibili. I vuoti da tradurre danno un grosso problema interpretativo, anche ai fini della dizione della poesia.
Esperimento di riorganizzazione della poesia "L'infinito" di Leopardi. Tutti i partecipanti si sono cimentati.
Esempio di riorganizzazione
Sempre caro
mi fu
colle
e questa
s i e p e
che da tanta parte dell'ultimo
o r i z z o n t e
il guardo esclude.
Ma
sedendo e mirando,
interminati spazi di là da quella,
e sovrumani
silenzi,
e profondissima
quiete
io nel pensier mi fingo;
ove per poco il cor non si spaura.
E come il
vento
odo stormir tra queste piante,
io quello infinito
silenzio
a questa voce vo comparando:
e mi sovvien
l'eterno,
e le morte
stagioni
e la presente e viva,
e il
suon
di lei.
Così tra questa
immensità
s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo
m a r.
[Il sonetto tende a realizzarsi, è un discorso breve. E' possibile dimostrare che l'organizzazione del sonetto si può ricondurre a 4-5 modelli ben definiti. Leopardi non ha mai scritto un sonetto.
Gli a capo non cambiano la forma del verso, ma cambiano l'organizzazione logica della poesia.
Viviani poeta introduce in una sua poesia: "sedendo e stirando"]
Commento di Giulio sull'esperimento fatto:
nelle scomposizioni della poesia "Infinito” si è cercato di puntare su singoli membri del testo, in particolare i sostantivi.
Tutti quelli che hanno fatto quest'operazione hanno isolato le parole con un vuoto intorno.
Un'altra direzione è stata la sintetizzazione riducendo il testo a meno parole cercando di acchiappare il nocciolo di una questione. Difficile per una poesia come questa, comunque produce l'effetto di passare ad una pagina in cui ci sono poche parole e tanto bianco intorno.
I testi di Ungaretti che sono scarni meritano la pagina bianca tutta intorno.
I testi aperti di Mallarmè – tipo "La fontana" - devono essere liberati da note e numerazioni per essere apprezzati.
Le poesie minime di Ungaretti sono la prova dell'esistenza in vita di un desiderio di spazi.
E dovrebbero essere lette con lentezza, con la stessa durata che la lettura di una pagina di prosa richiederebbe.
I libri di poesie dovrebbero essere letti dall'inizio alla fine - non saltabeccando - per capire l'organizzazione degli spazi concepita dall'autore per ciò che concerne quella ben precisa produzione di poesie.
C'è una sorta di immaginazione spaziale per organizzare un libro che dovrebbe essere rispettata dal lettore.
Umberto Eco ne "Il nome della rosa" ha cercato - a suo dire - di dare le prime quaranta pagine più noiose possibile nel tentativo di selezionare lettori "tosti".
In “L’Allegria", Ungaretti è arrivato all'ultima edizione del libro con molti tagli, un testo più bello ed efficace dei precedenti.
Mi interessava svegliare l'attenzione rispetto al vuoto che circonda ogni singola parola.
Se il tema interessa, potreste leggere: "Riscoprire il silenzio", una raccolta di saggi curata da Nicoletta Polla-Mattiot sul silenzio, Ed. Baldini e Castoldi.
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