Cominciò
un altro viaggio.
Luigi lasciò la sua casa di Fucecchio nel tardo
mattino di un giorno di maggio trascinando i suoi bagagli verso l'R4
bianca, il suo vanto. Erano poche le cose di cui andava fiero - era
così riservato che le celava persino a sé stesso - ma la sua
macchina bianca con gli adesivi di Jim Morrison e del sole che ride
con la scritta " Atomkraft? Nein Danke!" era, per Luigi, un
sicuro motivo d'orgoglio. Amava quei complicati finestrini e quel
buffo gancio che funzionava da cambio, apprezzava quel curioso
effetto "barca a vela" nelle curve. Inoltre era stato il
primo acquisto non sponsorizzato dai genitori, dunque un territorio
interamente suo.
Sistemò
i bagagli - tendina e sacco a pelo compresi - in bauliera e partì.
Non
aveva voglia di fare la superstrada, motivo per cui si diresse, per
strade secondarie, verso Castelfiorentino, Certaldo, Siena.
Quella
strada gli dava la possibilità di soffermare lo sguardo sulle case
sparse nella campagna; preferiva quelle in cima ad una collina e su
di esse fantasticava progetti e modifiche. Una qualsiasi poteva
rappresentare la sintesi dei suoi desideri. Una qualsiasi: ci metteva
l'aia per far razzolare le galline, un ciliegio nel lato opposto
all'ingresso, un trattore - ma forse no, forse bastava la zappa e il
vanghetto - e qualche migliaio di metri di terra coltivabile, la sua
R4 parcheggiata all'ombra di un paio di lecci. E magari una decina di
cipressetti e un cane festoso che segnavano l'arrivo a casa.
Pensava
a quel mondo, ma poi gli passava, e pensava anche che non era tanto
sicuro di volerlo, quel mondo.
Non
era sicuro di niente.
Lambì
Siena, raggiunse la Chiantigiana e proseguì verso Sant'Angelo, dove
si trovava il suo amico Pietro. Pietro non si sarebbe stupito di
vederlo, pensò. Un pensiero rassicurante.
E
fu proprio così.
Quando
Luigi arrivò alla sua casa - sul versante est di una collina a due
passi da Sant' Angelo e Montalcino - Pietro stava armeggiando intorno
al trattore. Aveva la sigaretta in bocca e lo sguardo concentrato su
una candela. Si girò verso Luigi che stava spegnendo la macchina,
poi riportò l'attenzione sulla candela che stava grattando con una
spazzola d'acciaio. Luigi scese di macchina.
-
Problemi? –
Pietro
spostò più di lato la sigaretta e strizzò gli occhi.
-
Sì, cazzo. Ma qui basta puli' le 'andele. Te, invece..-
-
Già.-
-
Che giri?-
-
Giro, tanto per fa’.- Luigi tirò su le spalle.
-
Leti'ato con Serena?-
-
Sì. Ma 'un è solo quello.-
Pietro
cominciò ad avvitare le candele.
-
Rimani qua a dormi'? –
-
Sì. –
-
Metti il caffè sul fo'o che arrivo.-
Luigi
prese i bagagli, salì la rampa di scale esterna che conduceva ad un
portone stretto ed alto, uno di quelli con vetri opachi ed
inferriate. La porta era aperta, dava direttamente su una grande
stanza. Il lato destro era occupato da una cucina in muratura
rivestita di mattonelle bianche e blu.
Lo
stile rustico era interrotto bruscamente da una supertecnologica
lavastoviglie Miele, segno di un acquisto recente. Preparò la moka,
la mise sul fornello e si spostò davanti ad un finestrone sul lato
opposto alla porta. Si vedevano - alla luce del tramonto - due
colline lavorate a vigna, un recinto al cui interno stava pascolando
un cavallo maremmano e, in lontananza, un bosco. Parve, per un
istante, catturare un pensiero importante - il suo viso si illuminò
- ma gli sgusciò via, così rapidamente come era arrivato.
Sentì
il rumore del trattore, un paio di sgassate e nuovamente il silenzio.
-
M'hai portato 'ulo - disse Pietro spalancando la porta - è
partito..-
-
L'ho sentito.-
-
Ma 'un ne pole più, sarebbe l'ora di ri'omprallo..-
-
Eh.. Soldi ce n'hai? –
-
Mi'a tanti. Anzi, punti. Magari lo prendo 'r prossim'anno. A rate.-
Luigi
sentì il caffè uscire - pensò al fatto che da piccolo ne imitava
il borbottio - spense il fornello e si spostò sulla parete opposta;
aprì una vetrina e la scrutò.
-
'Ndove l'hai messo lo zucchero?-
-
Ah, è qua sotto.. - Pietro aprì uno sportello stretto a destra dei
fuochi - è arrivata la mi' mamma l'artra settimana e ha messo a
posto. Ora 'un si trova più un cazzo.-
Si
guardarono l'un l'altro e risero.
Pietro
riattaccò: - E Serena? Cazzo è successo stavolta? –
-
Te la faccio breve, Pietro. E' finita.- Luigi lesse incredulità
nello sguardo di Pietro. - Davvero.-
-
Ma che dici? –
-
E' così.-
-
'Un c'è verso..-
-
No, 'un c'è verso perché è una stronza, se'ondo me. Ora però 'un
ho voglia di..-
-
D'accordo.- Tagliò corto Pietro, mostrando le palme delle mani.
Luigi
versò il caffè nelle tazze che aveva appoggiato sul tavolo in mezzo
alla stanza. Ne uscì un po' di fuori.
-
Cazzo.-
-
Fa niente, vai - Pietro fece un sospiro - dicevo del caffè..
Luigi
vagò nella stanza con la tazza in mano fino ad appoggiarsi col
sedere al muro accanto alla finestra, Pietro stava seduto al tavolo
con lo sguardo basso.
-
E il dottorato?-
-
Niente da fare; è passato il paraculato del Franchi avanti a me. A
settembre esce il concorso per le superiori. Magari lo provo. E te?
Com'è?-
-
Boh, son qua rintanato. Con un casino di lavoro daffa'. Ogni tanto
passa 'uarcuno. E' venuta Silvia un mese fa. Ma poi vanno via tutte.-
- Eccerto, che speri? Sei 'n culo ar mondo. Hai mandato via curriculum?-
-
Sì. Banfi, Antinori, Biondi Santi e altri. E' difficile 'e mi
rispondano, ma poi - in caso - che faccio con questa roba? - Allargò
le mani nella stanza.
-
Vabbeh, di migliorie n'hai fatte. La rivendi.-
-
Luigi. Qui c'è la liquidazione della mi' mamma. E ho preso anche un
mutuo. Mi sto facendo un gran mazzo, ma se arriva una bella
grandinata - fo per di' - sono fottuto. Artro 'e migliorie.-
-
E se 'un arriva? –
-
E se 'un arriva - sorrise - e se va bene fino a settembre, poi si va
in cantina. E magari gli vo' ner culo all'Antinori e a tutti gli
artri.-
-
Bene - Luigi portò la sua tazzina nel lavello.
-
Però - riprese Pietro accarezzandosi il mento con la barbetta
incolta - ci dev'esse' dell'artro in questo mondo.-
-
Che voi di'? –
-
Boh. 'Un lo so nemmeno io.. Senti 'n po', voi rimane' un paio di
settimane a rama' le viti? –
-
'Un so come si fa..-
-
'Un ci vo' la scienza. Te lo fo vedere domattina. Poi ti pago.
-
Vai in culo, Pietro.-
Scoppiarono
di nuovo a ridere.
-
Ti darò un po' di vino, allora. –
-
Eh, quello sì.-
Pietro
guardò l'orologio.
-
Sono le sei. Sistemati la roba in camera che poi si prepara cena. Ho
i pici cor sugo e di se'ondo si pole fa' una frittata d'asparagi.-
----------------------------------
Dopo cena Pietro disse: -Aspetta 'n po'- Uscì dalla porta di casa
con una torcia in mano e tornò dopo alcuni minuti con un fagotto. Lo
aprì sulla tovaglia spargendo un mucchietto d'erba.
-
Così ci si rilassa un po'.-
-
'Ndove l'hai presa?-
-
Ho la mi' 'ortivazione personale sotto un tunnel di rovi. 'Un si vede
nemmeno dall'eli'ottero.-
-
Perché, passano gli eli'otteri per controlla'?-
-
Boh. Ma 'somma 'un si vede.-
Pietro
rollò la canna, la accese e la passò a Luigi.
-
La senti 'om'è?- disse Pietro con un'aria beata.
Dopo
un ping-pong di mezz'ora intercalato da frasi smozzicate e risolini,
Pietro disse:
-
Vorrei anda' alle Svalbard.-
-
Che?-
-
Ti fo vede', vieni.-
Andarono
in camera di Pietro e si avvicinarono alla scrivania, dove c'era un
mappamondo. Pietro indicò dei puntolini vicino al perno superiore
che sorreggeva la sfera.
-
Le Svalbard. Sono delle isole all'altezza dell'80° parallelo.
C'arriva una nave rompighiaccio dalla Norvegia. Durante 'r viaggio -
e che viaggio - si vedono foche, balene, orche. E sulle isole ci so'
tempeste di neve, un casino di freddo. La natura incazzata..-
-
E che cazzo ci fai laggiù?-
-
Boh. Ci so' delle miniere. Magari trovo lavoro 'n cucina. Poi leggo,
scrivo, passeggio..-
-
Passeggi a 30-40 sotto zero?-
-
Massì. Quando 'r tempo è bono, ho letto che passeggiano anche lì.
Poi si torna 'n casa. E si parla. E si guarda fori. La grande notte
polare e poi - finita la notte - il sole che s'inchioda ner cielo,
l'alba infinita. O il tramonto..-
-
Bisogna averci un casino di sordi per anda' lì. No?-
- Nove milioni e cinquecentomila lire solo 'r viaggio andata e ritorno.-
-
Eh. Appunto. Diciannove milioni sono un casino di sordi. Ma poi se si fa ir viaggio di sola andata, son nove e mezzo in due.-
- 'Un mi di' che voi veni' anche te.-
-
O vengo io o la topa della Corti. Scegli.-
-
Meglio te, altrimenti col freddo che fa, 'un faccio altro che tromba' e
'un esco mai.-
Risero,
risero, risero. Pareva che non dovessero più smettere. O che non
volessero. Forse avevano anche paura di smettere. Ma infine le
risate si smorzarono e Pietro disse solennemente:
-
Ci vorrei davvero anda', Luigi. Mi sono rotto ir cazzo.-
-
Ma di 'osa 'n parti'olare? –
-
Di tutto, 'un lo vedi? Io faccio finta di fa' 'r mulino bianco: la
casetta, ir mangiare biologico, la vigna. Ho fatto l'università, poi
ir master di du' anni in enologia, e sono qui. Se le 'ose vanno bene
tra dieci anni ho finito di paga' debiti. Oppure vendo e gio'o a fa'
'r piccolo enologo da uno di quegli stronzoli.
E'
così. E intanto Paola - te la ri'ordi no? coi su' 'amicioni lunghi e
le su' idee sulla 'omune agri'ola - m'ha mollato e se n'è
andata cor figliolo der Pieretti, l'industriale. E beve “soft
drinks” alle festicciole tra amici tutta 'ngioiellata come un
arbero di Natale. E te? Voi fa' ir ricercatore, ir professore. E poi
t'inculano. Te e la tu' R4. Ma che si diceva dieci anni fa io e te?
Eh?
Stronzate, si diceva.-
-
Boia 'ome sei incazzato.-
-
Luigi, 'un ho più voglia. La vita se ne va e noi siamo qui a spera';
a spera' cosa? Di raccatta' gl'avanzi..-
-
Comunque sei bello quando t'incazzi.-
-
Cazzo dici?-
Luigi
gli prese la mano e lo baciò sulla bocca.
-
No, Luigi, io 'un..- gli si smorzarono le parole, poi abbracciò
forte Luigi.
Nessuno
dei due voleva mollare, così rimasero abbracciati per un tempo
lunghissimo.
In
piedi, davanti a quel mappamondo, davanti a quelle cazzo di Svalbard.
Con
gli occhi chiusi.