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lunedì 9 aprile 2012

Su


Quando ti si presenta davanti un muro, devi provare a volare, anche se hai paura di non farcela. Un po' come la storia del calabrone, che - date le leggi della fisica, il peso del suo corpo, le sue ali relativamente piccole - non può volare; per fortuna il calabrone non lo sa, e vola.

Giovedì 29 marzo, ore 10,45, parto dalla stazione di Castelnuovo Garfagnana alla volta di San Pellegrino in Alpe. E' una giornata stupenda: sole, aria pulita e silenzio. Da 270 metri di altitudine si va su, su, su, fino ai 1620 metri tra le antenne e gli aquiloni in soli diciassette chilometri. Appena partito, riconosco tutti i segni della primavera: il polline dei pioppi che mi solletica il naso, la fioritura dei mandorli, il sole che mi scalda con forza. C'è il silenzio, nonostante il viaggio. La bici da corsa su asfalto è il viaggio più silenzioso che esista. Della mountain-bike disturbano i tacchelli delle ruote, dell'auto e della moto il motore, della corsa o passeggiata a piedi il tonfo delle scarpe che prendono contatto con il suolo. Invece della bici da corsa, per giunta in salita, dunque a minima velocità, non senti niente. Nessun rumore. E se per lungo tempo non passano macchine, puoi pian piano immergerti nel silenzio delle profondità del mare, invece che salire a quote di montagna. Del resto altus in latino significa profondo e alto, non fa differenza. Una esperienza meditativa, ma in movimento. Lento, per giunta. Uno slow-motion, insomma. Sì, ti puoi permettere di guardare il mondo come in un vecchio film super8 privo di sonoro, aggiungendo al rimpianto di immagini dai colori saturi la gioia di viverle, in questo caso, al presente.
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Ecco il paesino di Chiozza, ai novecento metri di altezza. Le poche casette sono affacciate sulla strada, il contatto con il mondo in caso di neve. In alcune porte ci sono le chiavi appese all'esterno, tutti i camini accesi. Un signore anziano seduto fuori con la sedia un po' in pendenza mi saluta. Finito il paese gli alberi riprendono il sopravvento, chiazze di neve sui prati. Se a dieci chilometri da qui ci sono diciotto gradi, la neve pare un miracolo. Aumenta il senso di spaesamento per il sottoscritto cresciuto ai bordi di uno scoglio.
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Anche la fatica sale, lo sforzo deve essere dosato al minimo indispensabile, anche la pendenza sale. Tutto sale. Percorro altri tre chilometri, poi una discesa paradossale di quattrocento metri, un inganno dell'altimetria: se da una parte mi fa tirare il fiato, dall'altra il mio corpo si illude che il peggio sia passato. Un piccolo falsopiano, e poi il muro. Ora devo provare a volare.
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Il cartello del 18% mi dà il benvenuto, sollevando la testa vedo delle case a strapiombo, molto più in alto di me: non sarà lì che dovrò arrivare, ma è già sufficiente per incutermi timore. Alla prima rampa, il cuore in gola. Mi alzo sui pedali per dare un po' di energia alla pedalata, poi mi riabbasso stando un po' più in avanti per la paura di impennare. La paura di fermarmi, oltre alla delusione, è alimentata dalla eventuale urgenza di staccare lo scarpino da un pedale e poggiare rapidamente il piede per non cadere. 
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Dopo la prima rampa, la pendenza scende lievemente e mi permette, dosando al minimo la pedalata, di ridurre l'affanno. Ora si ricomincia, fatica bestiale, la strada sale sul crinale del monte, una lama di coltello senza tornanti con punte oltre il venti per cento. Sono alle case che vedevo da sotto, e vedo quelle di San Pellegrino.
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Prima del paese due tornanti, uno non cambia niente, l'altro dà un breve respiro, poi ultimo rettilineo durissimo, curva e finalmente la piazzetta del minuscolo paese di undici abitanti. Una felicità infantile prende il sopravvento, come quando a giocare a nascondino sei l'ultimo a uscire allo scoperto e riesci a urlare "liberi tutti". Manca ancora un chilometro per il passo, ma le pendenze si dimezzano e mi posso immergere nuovamente nel panorama, un capriolo in mezzo agli alberi è un'ulteriore sorpresa.
Adesso
sono
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In cima, a 1620 metri, in un punto esposto a tutti i venti dell'appennino, avverto qualcosa di grande ma di effimero, una felicità che riesco a trattenere  con le unghie, i cui brandelli mi accompagneranno per tutto il ritorno. 



2 commenti:

C. ha detto...

Caro Antonio

Mi fa piacere averti come amico e compagno di corse.
Anche nella foga dello sforzo ci è fatto obbligo di restare gentiluomini.
La bicicletta è fatta per gente dura ma sui pedali si spinge soprattutto con il "cuore".
Carlo

Tonilamalfa ha detto...

Sono molto contento di avere conosciuto te, Carlo, e Tommaso nel recente passato. Spero che condivideremo un bel po' di strada insieme, metaforicamente parlando e non. Grazie