Sabato due luglio 2011, ore sette.
Oggi gran parte delle cose che faccio sono definitive. Mettono un punto alla storia. L'ultima volta, di questo viaggio, che monto i bagagli sulla bici, che faccio una colazione abbondante, che mi trovo in queste strade abbigliato in modo bizzarro, e così via. Perfino i gesti routinari, come quello di cambiare riquadro della cartina piazzata sulla borsa davanti al manubrio, assumono un carattere solenne, che si aggiugono alla solennità di un arrivo, al raggiungimento di un obiettivo.
Mi accoglie, in strada, una nebbia feroce, una di quelle nebbie che non ti fanno pensare a nient'altro che al metro successivo da percorrere, e che ti fanno rimandare la contemplazione del panorama al momento in cui il sole avrà la meglio. Controllo più volte il fanalino posteriore - è vitale - e mi metto la giacca a vento arancione, la più sgargiante che ho. Per fortuna è deserto tutto intorno. Baamonde è un villaggetto immerso in un bosco, uno dei tanti, della Galizia. A fronte di questa mancanza di visibilità, di questo silenzio ovattato dall'umidità, i miei pensieri prendono percorsi tortuosi, di quelli che arrivano al lunedì, che si soffermano su come sarà diversa la mia giornata, inzuppata di lavoro, orari, famiglia. Tutto ciò che sto vivendo adesso, che in questo preciso istante assume un'importanza vitale - le ruote gonfie, gli zaini ben legati, la catena ben oliata, la soluzione salina, l'acqua in borraccia - si ridurrà ad una parentesi, sempre più insignificante via via che trascorreranno i giorni a casa, avidi di priorità del tutto diverse.
Dopo un paio d'ore in solitudine, ecco il sole, improvviso, senza una soluzione di continuo. I boschi assumono un aspetto più rassicurante, sembra quasi che gli alberi della foresta oscura di qualche minuto prima se ne siano andati in un posto lontano, in barba alle loro inamovibili radici.
Attraverso, di tanto in tanto, piccoli villaggi di cui mi resta solo il nome: Gutiriz, Teixeiro, Correidoiras, Torneiros. La strada, costantemente in altopiano sui 400 metri con continui salisccendi, lambisce case isolate vicine a pascoli. In una di queste c'è una bambina bionda con in mano un pupazzo, seduta sulla soglia di ingresso, che mi scruta mentre passo. Lei ha i boschi e la pace, ma non ha relazioni con altri bambini. Quanto tempo passa su quello scalino? Che farà d'inverno con il maltempo e la notte precoce? Quanti chilometri dovrà percorrere ogni giorno con il pulmino per raggiungere la scuola? Se ne andrà un giorno o rimarrà ringraziando il giorno in cui è nata qui?
Ecco Arzua. Qui mi ricongiungo al cammino ufficiale che ho percorso nel 2007 , e tutto cambia. Pellegrini a piedi, in bici, a tratti è un brulichio frenetico. Si respira aria di Santiago, a soli 40 chilometri da qui, anche se chi va a piedi potrrà arrivare a Santiago solo dopodomani, o nella più rosea delle previsioni domani sera. L'aria qui è calda, qualche pellegrino a torso nudo, alcuni con fasciature ad un ginocchio, altri con passo incerto. Altri venti chilometri, quasi due ore con una sosta a base di cocacola e bocadillos, e raggiungo la periferia di Santiago, la zona dell'aeroporto. Qui c'è un flusso biblico di persone. E' un continuo scambio di "Buen camino" e "Ugualmente", esattamente come quattro anni fa.
Via via che ci si avvicina, si avverte un gradiente di concentrazione in crescendo di emozione, attesa, stanchezza. Il monte Gozo è l'ultima asperità consistente, con degli strappi che arrivano al venti per cento su sterrato. Le antenne della televisione, un bizzarro piedestallo trapezoidale che sormonta una croce, una recinzione metallica tappezzata di centinaia di croci fatte di aghi di pino, sono dei flash che preludono alla vista sulla città. Sì, si vede anche la cattedrale. Discesa a capofitto, di tanto in tanto si avvertono urla di pellegrini festanti in odore di arrivo. Una viabilità trafficata a cui non ero più abituato, pellegrini dappertutto, suonatori, saltimbanchi, funamboli nelle piazze del centro storico.
Eccola. La cattedrale.
Scene di giubilo, zaini e biciclette sparsi in ogni angolo. La gioia dell'arrivo. Devo assaporare ogni espressione di chi mi sta intorno, concentrarmi sui suoni, e contemporaneamente su me stesso.
Rimango qualche minuto sdraiato supino nella piazza, ogni cosa mi dà gioia: l'azzurro, le urla degli arrivi, una chitarra, la campana delle cinque e mezzo.
Mi rialzo, vado a farmi timbrare la credencial, a ritirare la Compostela. C'è una fila ordinata lungo le scale di un austero palazzo, dopo una ventina di minuti mi viene consegnata la pergamena. Alle sei entro in cattedrale per la messa; la composizione dei pellegrini richiama al mondo intero, di ogni razza e pelle e religione. Nonostante siano molti anni che non frequento più una chiesa, decido di partecipare alla comunione, e mentre sto inginocchiato mi prende una commozione che mi fa traboccare gli occhi, sebbene chiusi, di lacrime.
E qui c'è il punto.
La fine di un viaggio che divide un prima da un poi, e con essa la fine di questa storia che mi pone un interrogativo. Che cosa racconterò domani? Avrò ancora qualcosa da raccontare, qualcosa di significativo degno di essere scritto e letto, a chi passa di qui?
Buen camino.
Buen camino a tutti voi
Buen camino, davvero.
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