Oggi, primo luglio 2011, mi sono alzato alle sei e venticinque. Il fatto è che ieri sera, mentre aspettavo la mia zuppa di pesce, stavo guardando con un po' di disagio la strada ancora da percorrere, ed ero giunto alla conclusione che se non avessi forzato la mano sul chilometraggio odierno, non sarei giunto per domani, il due di luglio, a Santiago. E così ho programmato un tappone da centocinquanta chilometri infarcito di continui saliscendi, una decisione che ricorda quella presa da Fantozzi che vuole rimediare al tempo perso per un imprevisto mattutino manifestando l'intenzione di prendere l'autobus al volo.
Il padrone dell'albergo mi accompagna al garage dove tenevo la bici, il tempo di caricare i mei simpatici venti chili di bagaglio, e alle sette sono già in partenza. Luarca, cittadina godereccia affacciata su un porticciolo variopinto, è ancora silenziosa ed impastata di sonno, così come il suo mare.
La N-634 costeggia nel primo tratto l'oceano, che appare e scompare di continuo, quasi giocasse a nascondino. C'è un vento fresco, sole, e il nastro di asfalto che si srotola sotto la bici.
Ogni tanto, quando provo sensazioni di viaggio nettamente positive, mi dimentico di essere un'accozzaglia di cellule e penso di essere solo movimento, inconsapevole del mio respiro, delle gambe che stanno pedalando, del mio sguardo costantemente fisso sulla strada. Mi capita più frequentemente la mattina presto, col silenzio, le ombre lunghe, e quando mi capita avverto gratitudine nei confronti del mondo intero. Proprio come ora.
La strada raggiunge Castropol, l'estrema propaggine della Cantabria, e piega verso sud costeggiando il fiume Ribambo. Decido di piegare a sud per evitare l'attraversamento del fiume dal ponte per Ribadeo, un ponte estremamente trafficato, imponente, che si vede da decine di chilometri di distanza. A Castropol scendo per una stradina che mi dà indicazioni per la oficina de turismo, dove chiedo una cartina e mi faccio timbrare con il sello la mia credencial. L'oficina si affaccia sull'enorme estuario del Ribambo. C'è bassa marea, e dei bambini lanciano sassi nell'acqua. Complice la fanghiglia e le alghe, i sassi affondano lentamente, e questo non lascia dubbi ai bambini su chi abbia tirato il sasso più lontano.
Mi spingo a sud, dicevo. Questo è il primo netto cambiamento di direzione del mio viaggio, ed inoltre abbandono l'oceano.
Quasi a voler sottolineare questo allontanamento, cala improvvisamente il vento. Percorro la riva del fiume fino a Vegadeo, dove c'è l'altra opportunità di attraversamento con un ponte più dimesso e sgangherato. Ora sono in Galizia.
Da qui, prendo una stradina solitaria: questa attraversa la gobba di un alto che congiunge la valle dove mi trovo con quella in cui si dipana la Nacional 634. Raggiungo con una salita pedalabile a pendenza costante il punto più alto a 450 metri, e c'è una chiesetta immersa nel bosco. Da un palo vicino due fili zeppi di bandierine raggiungono le estremità del tetto della chiesa. Forse un passato matrimonio, forse la festa di un santo.
Discesa a capofitto, e raggiungo, all'altezza di Lourenzà, l'altra valle e la N-634. Prima di Mondonedo la strada ricomincia a salire. Sale costantemente, con un traffico imponente. Troppo traffico, ci sono anche molti camiones. La strada sale costantemente con pendenze medie del 10 per cento. Questo è uno dei tratti più brutti che mi tocca fare.
Mi prende anche un po' di paura.
Nessun camion o auto mi passa particolarmente vicino, per fortuna, anche se il rombo dei motori e l'emissione dei gas di scarico in salita è insopportabile, ma la paura dipende dalla possibilità che mi possa distrarre per un attimo e deviare verso il centro strada, dal fatto che i miei nervi mollino, che le mie mani non reggano più saldamente il manubrio. Raggiungo l'Alto do fiouco, a quasi settecento metri, dove sulla sinistra vedo un imponente parco eolico, con annesso il sordo rumore delle pale. Poi discesa con altrettanta paura, sempre per il traffico, per fortuna più breve in quanto più veloce.
In questi tratti, invece, mi domando perché mi sia imbattuto in rischi del genere.
Il voler finire l'intero tragitto in una settimana è una delle possibili risposte, che non mi ha dato l'opportunità, oggi, di seguire stradine più tranquille, dove passa l'itinerario ufficiale del camino del Norte.
In altre occasioni, nei miei viaggi, ho preferito, come adesso, cercare di percorrere lunghi chilometraggi per nutrirmi di più panorami possibili, a discapito di un percorso più cadenzato e intervallato da maggiori esperienze di relazioni umane. Insomma, a posteriori penso che questo tratto di nacional lo avrei dovuto evitare.
Per fortuna, come dopo un brutto sogno, la strada addolcisce e il traffico cala bruscamente. Sono le sei, in altre tre ore e mezzo raggiungo prima Villalba, poi Baamonde. Baamonde è un paesino minuscolo, con un crocevia, quattro case, una chiesa. Ho il rammarico di non aver dormito al bellissimo albergue del peregrino, qui - mi dice il gestore che mi saluta in strada - mi avrebbero accolto anche se sono quasi le dieci. Invece avevo già prenotato telefonicamente in un albergo a ridosso di una stazione di servizio, una specie di autogrill. Ma, tutto sommato, non mi va male: la signora, che gestisce anche il ristorante, è molto gentile, e il suo baccalà alla galiziana è fantastico, e la camera piccola ma pulita ed accogliente. Il tutto immerso in una Galizia di bosco, una Galizia fiera del suo incomprensibile dialetto, delle sue tradizioni, delle sue musiche. Una Galizia inzuppata da frequenti piogge, invasa da peregrinos che vogliono raggiungere Santiago. Oggi ho preso l'autobus al volo, e la possibilità di raggiungere domani la cattedrale di Santiago diventa più concreta.
Buen Camino
2 commenti:
Nil est dictu facilius
Beh, sì, è un po' complicato prendere un autobus al volo. Più facile raccontarlo. Ma ogni tanto ce la possiamo fare, magari dopo aver letto di qualcuno che l'ha fatto. Un caro saluto
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