Pagine

lunedì 19 settembre 2011

San Pellegrino in Alpe, sette mesi dopo. Il sequel



Per uno come me, cresciuto sulla riva di uno scoglio e alle pendici del monte Massoncello, avere l'opportunità di arrivare con le mie gambe a San Pellegrino in Alpe è una grande gioia. Opportunità, ho scritto. Infatti ci avevo provato a febbraio scorso, ma a due tornanti dall'arrivo ero sceso di bicicletta, percorrendo gli ultimi metri a piedi. Oggi è il 30 agosto e ci riprovo, non prima di essermi esercitato a staccare più volte e il più rapidamente possibile gli scarpini dagli attacchi dei pedali; infatti una delle mie paure è quella di non farcela più e non poter sganciare i pedali in un tratto ripido, con il rischio di cadere. Stavolta parto dalla stazione di Castelnuovo con la bici in carbonio e con un rapporto non proprio tenerissimo: il 39x27, ma è il più pedalabile di cui posso disporre. La giornata è ideale: venti gradi, poco vento, sole, e niente traffico, essendo un giorno feriale. Non ho scuse, insomma. Tutta la salita si può dire un preludio agli ultimi due chilometri e mezzo, un preludio fatto di salita ripida ma non impossibile. Gli unici rumori percepibili sono il mormorio del vento tra gli alberi, il canto degli uccelli, il mio respiro.
Eccolo. Il cartello preannuncia la pendenza al 18%. Mi alzo sui pedali, il mio affanno cresce a dismisura. Supero il primo muro lungo circa cinquecento metri, la salita si addolcisce lievemente e mi illude che la parte dura sia ormai finita; eppure dovrei ricordarmi la sofferenza della volta precedente, non dovrebbe essere una sorpresa. Un'altra illusione è, dopo poco, causata dal fatto che alzo gli occhi e vedo delle case: l'inganno e la speranza sono la convinzione che quelle case siano l'ingresso di San Pellegrino. Due tre tornanti e raggiungo le case, ma San Pellegrino è molto più su, e ricomincia un altro muro senza tornanti. E' durissima. Provavo una fatica simile quando facevo i 5000 e 10000 metri su pista in atletica leggera. Ma avevo diciotto anni, ora ne ho cinquanta e mi vengono in mente quei trafiletti di cronaca a pagina ventisette, taglio basso: muore ciclista cinquantenne stroncato da infarto, insomma, robe così. Devo ancora andare a fare l'ecg sotto sforzo, mi viene in mente adesso, è un po' tardi. Continuo a salire appesantito da questi pensieri cupi e dall'acido lattico in quantità industriale nelle gambe, ed ecco l'ultimissimo tratto che va fisso al 22%. E' terribile, anche perchè l'inganno finale è dato dai  quattro cinque tornanti in cui la pendenza non cambia minimamente, come se fossero dei finti tornanti. Sembra di vedere un festone di carnevale: se lo tieni da un capo, e tiri dallo spago in basso, si dipana uno zig zag di carta estremo, simile a quelle curve. Una fatica inumana, un rantolo, e il pensiero dominante di tenere duro. Nemmeno quando vedo l'ultimissimo tratto prima della piazza mi illudo di avercela fatta.
Invece sì. Ce l'ho fatta.
Con le pulsazioni a mille, il cuore che mi esce dalla gabbia toracica, un affanno degno di un enfisema scendo dalla bici soddisfatto di essere sceso non prima di essermi trovato davanti al bar della piazza. Una gioia un po' infantile, ma che ci volete fare? Ad una certa età si torna bambini. E la crostata di mirtilli - come quella di Nonna Papera - che mangio al bar mi sembra una degna ricompensa.


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Posto che io sono una pigra senza misura, leggere le tue storie, anche ad una come me, fa venire voglia di prendere una bicicletta fosse solo per vivere l'intensità delle avventure che racconti... Che dire?Incantata,come sempre!

Tonilamalfa ha detto...

Mi confondi, cara Anonima, per le tue belle parole. Encantado, un caro saluto!
Toni

Flory(nda) da Roma ha detto...

Lungi da me l'idea di confonderti.
Sono parole sincere.