Sono davanti al murale. I corpi divisi, straziati, deformati. Quel toro dal ghigno beffardo. Il Gernika a Gernika. Avevo visto l'originale a Madrid, ma è qui che dovrebbe stare. Qui, dove nel 1937 si è aperta la nuova esaltante era dei bombardamenti "civili". Molti uomini erano al fronte; dei morti la maggior parte erano donne, bambini, vecchi, e il 45% del territorio del paese è andato distrutto. Ma la quercia, il simbolo per secoli del parlamento basco, è rimasta integra. Gernika è immersa tra boschi e colline, ieri per arrivare qui in bici ho attraversato almeno venti chilometri di impressionante solitudine, nemmeno un casolare o un ricovero per animali. Le urla di questa gente sono rimaste qui, a Gernika. Ma l'opera di Picasso, e la riproduzione in questo murale riprende la eco di quelle urla e le amplifica nel modo più efficace possibile. Qui, alle sette e mezzo del mattino del 27 giugno 2011 arrivano, sì, anche a me quelle urla assordanti.
Riprendo il viaggio dopo aver caricato i bagagli e la colazione. Fa molto caldo. Attraverso altri boschi in avvicinamento a Bilbao, e borghi minuscoli. Alla periferia di uno di questi borghi riesco a fotografare un'aquila, a me abbastanza vicina. Sempre su e giù, su e giù. Pian piano la strada si fa più ampia, le case più frequenti, il caldo sempre più torrido: sono alla periferia di Bilbao. Tutto fa pensare che nel giro di un'ora al massimo io possa raggiungere il Museo Guggenheim, ma non è così. No, perché quest'anno per questo viaggio mi sono affidato, oltre che alle consuete mappe stradali, anche ad un navigatore Garmin adattabile con supporto al manubrio, dotato di opzione di viaggio per la bici. Questa fantastica opzione ti permette di evitare caselli autostradali, viadotti, gallerie, e tutto questo va bene. Ma talvolta, forse per farti evitare la monotonia del viaggio, ti fa abbandonare una strada tranquilla, per esempio la BI-631 che porta a Bilbao, e ti fa imbocccare una stradina ad una corsia che arriva alla sommità di una altura di 400 metri, il monte Avril, forse calcolando il tragitto più breve possibile, sì , ma facendoti imprecare su tratti di salita superiori al 20% con i tuoii 25 chili di bagaglio che non puoi gettar via come delle zavorre da una mongolfiera. E con 41 gradi. Risultato: scendo e spingo. E spengo quella malora di navigatore. Arrivato in cima, posso giusto bearmi dello splendido panorama sulla città solcata dal fiume Nervion per poi, colto dalla gratitudine nei confronti dell'universo, indulgere in un altro tentativo di essere guidato dal Garmin. Discesa a capofitto, e all'improvviso la voce femminile dell'aggeggio che mi invita a girare a sinistra. Dopo un breve tratto, vedo un segnale: strada a vicolo chiuso. Torno indietro, riprendo la strada principale, e a questo punto spengo il navigatore definitivamente. Cerco di andare a naso, in fondo lo vedo il Guggenheim, anche se dall'alto e da qualche chilometro di distanza. Finisco la discesa, entro in una orribile periferia, nessuna indicazione, se non quelle dell'autovia , dove per poco non entro. Tutte le strade che successivamente percorrerò portano all'autovia o ad una specie di tangenziale chiusa allle biciclette. Sono destinato ad allontanarmi dal museo e a imboccare dei ripidi raccordi che portano a strade insensate. Tutto questo mi costerà quindici chilometri in più e un'ora di ritardo rispetto alle previsioni. Il fiume Nervion - mai nome fu più azzeccato - mi accompagnerà per raggiungere il museo Guggenheim passando per svatiati chilometri in mezzo a capannoni fatiscenti e fabbriche abbandonate. Finalmente raggiungo il museo, chiuso il lunedì. Come i parrucchieri. Mi sdraio sfinito in un po' di ombra davanti all'ingresso deserto. Ogni tanto arriva qualche turista che mi chiede speranzoso a che ora aprirà il museo. Lo mando via deluso come me. Comunque la struttura architettonica concepita da Gehry è entusiasmante, la percorro in tutto il suo perimetro e poi riparto. Verso ovest, come sempre. Attraverso alcuni centri abitati del tutto insignificanti, e intanto si alza un vento pazzesco, arrivano dei nuvoloni come quelli del finale del film "A serious man" dei fratelli Cohen. Mi inquietano un po'. Giusto il tempo di mettere le sacche impermeabili agli zaini e di indossare un k-way, e viene giù il cielo. Un diluvio. Continuo a pedalare in mezzo a lampi e fulmini. Percorro trenta chilometri sotto la pioggia, poi in una salita il vento quasi mi sbatacchia per terra; trovo riparo in un autogrill. Dentro lo shop c'è una tipa dietro un vetro antiproiettile che nemmeno saluta. Sono le sette e mezzo di sera, devo cercare un posto per dormire. Dalla cartina vedo come ubicazione più vicina Castro Urdiales, chiedo alla tipa quanto è distante. La tipa ha un'aria allampanata, fuma e tossisce in continuazione. Otto chilometri e mezzo, risponde senza nemmeno guardarmi. Aspetto che spiova, mangio due snack simil-kit-kat e uno yogurt. Passano venti minuti e non spiove, ma il vento è meno insistente. Riparto. Mi attendono dei simpatici tornanti in una salita con dislivello di duecentocinquanta metri e qualche scorcio panoramico sul mare con bagliori di tramonto, che non ho il tempo di apprezzare, vista la pioggia. Discesa finale, e arrivo a Castro Urdiales. Cerco un albergo con vista mare, lo trovo, e ho una finestra sull' oceano. Prima di mangiare trovo il tempo per scendere in spiaggia. Terrò la finestra aperta tutta la notte, voglio sentire le onde, l'odore del mare, i gabbiani. Staccarsi dal mare è una follia.
Buen camino
2 commenti:
Dai parto il 15 settembre e manca ancora la parte migliore. Datti da fare non posso partire senza sapere come è andata. Complimenti
Ciao Piluk, grazie! Sono in vacanza fino al 29 agosto con connessione saltuaria, ma al mio ritorno farò il possibile per soddisfare la tua richiesta. Hasta luego
Posta un commento