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mercoledì 31 agosto 2011

El camino del Norte 5: quanta pioggia può contenere il cielo cantabrico?







28 giugno, mattina. Un bel risveglio con  la finestra aperta, il sottofondo di onde placide e uccelli marini. Dalla terrazza vedo una donna con un vestito bianco svolazzante che passeggia sulla riva dell'Oceano, una specie di fantasma. Dopo il recupero della bici e dei vestiti e scarpe bagnate della sera prima nel locale delle caldaie dell'albergo, dopo una colazione da qualche migliaio di calorie, carico i bagagli e faccio un giretto nel paese che ha un centro storico - castello compreso - tutto addossato al mare, sembra quasi che ci si voglia tuffare. Poi mi dirigo verso la N 634 che mi terrà compagnia per tutto il giorno. L'immissione nella nacional è - e ti pareva - molto più in alto del paese con dei tornanti stile Stelvio. Con asfalto viscido e macchine che mi sfrecciano accanto un po' troppo vicino. Beh, potrebbe piovere, direbbe il fido servitore Igor del dottor Frankestein. E infatti. Comincia a piovere, continua a piovere, e quando sei tutto bagnato nonostante guanti, K-way in goretex, cappello, dopo un po' ti rassegni e vai avanti. Sperando che l'acqua nel cielo ad un certo punto possa finire. Quanta acqua può contenere il cielo della Cantabria? L'acqua mi arriva di sotto, di sopra e di fianco, il sinistro. So che se oggi non arriverò alla meta programmata, difficilmente potrò arrivare a Santiago con la sola forza delle mie gambe entro sabato. E' solo questo pensiero che mi fa andare avanti. Un pensiero forse un po' infantile: arrivare a Santiago. Questo imperativo categorico viene trasmesso dall'encefalo ai miei nervi motori delle gambe e delle braccia, trasdotto in flessioni e estensioni muscolari, trasmesso sui pedali, catena, moltiplica, rocchetto, ruota posteriore, movimento, avvicinamento a Santiago. Non  riesco a procedere organicamente nella narrazione di questa giornata: i ricordi di questa giornata sono  pesantemente condizionati dalla pioggia. Una pioggia come quella narrata da Forrest Gump in Vietnam: fine, pesante, con vento, senza vento, con temporale, con il sole, senza sole, con o senza foschia, nebbia. Eppure riesco a percepire la bellezza di una marea dove, in mezzo ad una duna, vedo una decina di ragazzi in muta con la tavola da surf che guardano costantemente il mare in attesa di buone onde; vedo per l'ennesima volta un'aquila, e l'emozione è forte quando la vedo vicina mentre spicca il volo; vedo l'erba che degrada dolcemente - chissà se continua anche sott'acqua? - sulla riva di una insenatura del mare; vedo strisce di fiume confondersi in mare, una barca a vela che procede placida verso il grande estuario(come il finale del film "Lampi sull'acqua. Nick's movie" di Wim Wenders). 
La pioggia stinge i contorni e i bordi e i colori: alberi e dune che circondano uno stagno al di là di una staccionata assomigliano ad un acquarello più che ad una immagine reale.
A metà percorso mi cambio nella toilette di un bar mettendomi indumenti asciutti, una nuova giacca a vento ed è un sollievo. Pedalo fino alle dieci e mezzo di sera, arrivo dopo 128 chilometri a San Vicente de la Barquera: il suo centro storico ha strade con acciottolato risalente al medioevo, una bella chiesa. Nella parte bassa, più turistica, sul bordo di un estuario attraversato da un lungo ponte risalente al xv secolo, c'è il mio albergo. Ho fame, sonno, freddo, sono stanco e contento. 
Buen camino

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