Primo luglio 2010.
Come mi sveglio, sento il ritorno che incombe. Immagino l'accoglienza del vocìo festante dei figli, il lavoro con il suo fardello di soddisfazioni e pensieri, il sole della Toscana che mi trafigge e mi culla al tempo stesso, alcune importanti decisioni che dovrò prendere. Tutto questo in dormiveglia, ancora sommerso dal piumone con il riscaldamento acceso, mentre osservo fuori della finestra un gruppo di alberi che mi saluta muovendo i rami. Ma ho ancora un giorno di bici, e poi il ritorno con tre aerei, anch'esso un'emozione.
Uscito dall'albergo, mi attende una discesa di qualche chilometro, arrivo al mare e devio a sinistra per costeggiare il lato ovest di un lungo fiordo che mi porterà fino a Olderfjord, a ottanta chilometri da qui; poi prenderò un autobus per Alta.
Il cielo è livido, si avverte la potenza di un clima estremo, che può cambiare da un momento all'altro. Le montagne si riversano ripide in mare, c'è giusto lo spazio per la strada e una striscia d'erba di qualche centinaio di metri. I ruscelli buttano in mare acqua di disgelo, alzando lo sguardo vedi ancora placche di neve. Eppure - come diavolo sia successo non si sa - c'è anche un gruppo di pini marittimi, i pini più a nord del mondo. Forse il mare che mitiga e colora le montagne dell'entroterra, i monti che irrigidiscono il mare di questo fiordo - qui non arriva la corrente del golfo - nei mesi invernali, una dialettica drammatica quanto affascinante.
Una spiaggia a un passo dalla strada. Guardo l'ora, non resisto. Scendo di bici, mi levo le scarpe e infilo i piedi nel mare. Ghiaccio, mi pare ghiaccio: i muscoli rattrappiscono e dolgono, eppure mi sforzo di passeggiare per qualche decina di metri pensando agli intrepidi che fanno il bagno nei mari e fiumi della Russia il giorno di capodanno.
Riprendo il cammino, percorro una deviazione di un'ora di bici per raggiungere una insenatura con formazioni basaltiche sulla riva del mare. La leggenda dice che siano dei Trolls, spiritelli dispettosi venuti dal mare che volevano distruggere i fiordi di queste parti, ma che fossero stati immobilizzati dalle forze della luce, la luce dell'alba.
Oggi la luce è cupa: ci sono nuvole insistenti, c'è un vento freddo che porta anche schizzi di mare, ma il panorama è superbo. Isolette, insenature, golfi, il tutto condito da bassa marea. Sullo sfondo, un altro fiordo. Delle casette con fiori e prati, persino sul tetto, in garage la immancabile motoslitta.
Ecco - lieta sorpresa - un'aquila di mare, il rapace più grande dell'Europa settentrionale, che volteggia sopra la mia testa. Mi fermo e osservo: dieci minuti di ghirigori nel cielo, fino a che non punta dritta su un dirupo, raggiunge casa sua.
E' tempo di tornare, mi dice.
Come mi sveglio, sento il ritorno che incombe. Immagino l'accoglienza del vocìo festante dei figli, il lavoro con il suo fardello di soddisfazioni e pensieri, il sole della Toscana che mi trafigge e mi culla al tempo stesso, alcune importanti decisioni che dovrò prendere. Tutto questo in dormiveglia, ancora sommerso dal piumone con il riscaldamento acceso, mentre osservo fuori della finestra un gruppo di alberi che mi saluta muovendo i rami. Ma ho ancora un giorno di bici, e poi il ritorno con tre aerei, anch'esso un'emozione.
Uscito dall'albergo, mi attende una discesa di qualche chilometro, arrivo al mare e devio a sinistra per costeggiare il lato ovest di un lungo fiordo che mi porterà fino a Olderfjord, a ottanta chilometri da qui; poi prenderò un autobus per Alta.
Il cielo è livido, si avverte la potenza di un clima estremo, che può cambiare da un momento all'altro. Le montagne si riversano ripide in mare, c'è giusto lo spazio per la strada e una striscia d'erba di qualche centinaio di metri. I ruscelli buttano in mare acqua di disgelo, alzando lo sguardo vedi ancora placche di neve. Eppure - come diavolo sia successo non si sa - c'è anche un gruppo di pini marittimi, i pini più a nord del mondo. Forse il mare che mitiga e colora le montagne dell'entroterra, i monti che irrigidiscono il mare di questo fiordo - qui non arriva la corrente del golfo - nei mesi invernali, una dialettica drammatica quanto affascinante.
Una spiaggia a un passo dalla strada. Guardo l'ora, non resisto. Scendo di bici, mi levo le scarpe e infilo i piedi nel mare. Ghiaccio, mi pare ghiaccio: i muscoli rattrappiscono e dolgono, eppure mi sforzo di passeggiare per qualche decina di metri pensando agli intrepidi che fanno il bagno nei mari e fiumi della Russia il giorno di capodanno.
Riprendo il cammino, percorro una deviazione di un'ora di bici per raggiungere una insenatura con formazioni basaltiche sulla riva del mare. La leggenda dice che siano dei Trolls, spiritelli dispettosi venuti dal mare che volevano distruggere i fiordi di queste parti, ma che fossero stati immobilizzati dalle forze della luce, la luce dell'alba.
Oggi la luce è cupa: ci sono nuvole insistenti, c'è un vento freddo che porta anche schizzi di mare, ma il panorama è superbo. Isolette, insenature, golfi, il tutto condito da bassa marea. Sullo sfondo, un altro fiordo. Delle casette con fiori e prati, persino sul tetto, in garage la immancabile motoslitta.
Ecco - lieta sorpresa - un'aquila di mare, il rapace più grande dell'Europa settentrionale, che volteggia sopra la mia testa. Mi fermo e osservo: dieci minuti di ghirigori nel cielo, fino a che non punta dritta su un dirupo, raggiunge casa sua.
E' tempo di tornare, mi dice.
1 commento:
Un posto magnifico!
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