Sabato 13 giugno 2009, mattina.
Ieri sera, mentre cercavo su Internet un albergo, pensavo ad oggi. Al ritorno ad Itaca, insomma. Bisogna cambiarsi d'abito, ma c'è ancora oggi. Pensavo al fatto che mi trovavo in un posto che ha una densità abitativa di gran lunga inferiore alle zone interne del grossetano o della Barbagia in Sardegna. Con questi pensieri stavo girando a vuoto, non stavo andando da nessuna parte, complice la stanchezza, ma avevo la sensazione di essere vicino ad una intuizione profonda ed importante, come in un sogno vivido. Ero in un pub in cui uomini e - poche - donne si ritrovano alla sera da sempre per suonare e cantare le ballate di sempre. Le stesse di tutte le sere.
Pensavo al mio risveglio, il risveglio di oggi già inzuppato di casa, di partenza dell'indomani, di città, di aereo, di auto, di albe assonnate, di galli stonati, di agenda, di planning, di scrittura quotidiana come quella che sto facendo adesso, di lavoro, di abbracci, di nuove partenze, di un'Itaca che guarda, di un'Itaca che ho e che a tratti mi pare di non avere. Itaca ti sfugge all'improvviso: è un'anguilla che tieni tra le mani, apparentemente quieta, che improvvisamente guizza e salta nell'acqua, forse la riprenderai, forse no. Puoi improvvisamente ritrovarla, puoi improvvisamente perderla.
E' una giornata piovigginosa. Stacco i lucchetti della bici appoggiata ad una panchina, sono immerso nella campagna e devo legare gli zaini. Sento i moscerini di questi posti, i midge, che si adagiano su tutte le mie parti esposte: viso, mani, soprattutto le gambe e cominciano a pungermi. Mi dò qualche manata su gambe, cosce, e viso, saltello qua e là come se stessi facendo una danza jodel, e la frenesia mi fa tardare l'operazione di legatura degli zaini, impiego qualche minuto prima di partire. Risultato: dal segno dei calzini fino a quello dei pantaloncini mi resteranno sulla pelle per due settimane centinaia di urticanti punti rossi.
I moscerini non mi danno tregua, sento il mio corpo bruciare, parto a spron battuto, imbocco verso la mia destra la discesa, destinazione Glasgow. La strada si insinua attraverso boschi fitti, il cielo è di colore plumbeo. Discesa, salita, le pendenze sono lievi. Dopo qualche chilometro vedo un lago non molto esteso che corre parallelo alla strada, non ci avevo fatto caso sulla cartina, è una lieta sorpresa: l'acqua è immobile e il monte che si trova sulla riva lontana si riflette specularmente nell'acqua. Non trovo alcuna casa lungo questo tratto, c'è solo il profilo di un monte che, per una buona ora di pedalata, mi fa compagnia alla mia sinistra, la strada si trova in una specie di fondovalle. Arrivo ad un distributore in prossimità di un bivio, leggo le alternative e non riconosco i nomi - Perth a destra e Killin a sinistra - rispetto alla mia destinazione. Non capisco. Mi fermo al distributore e consulto più attentamente la cartina. Non voglio credere all'evidenza dei fatti, come quando scopri - che so - il colesterolo alto nonostante il tuo stato di benessere. Ho sbagliato strada, alla grande. Che pollo. Invece di andare verso sud, da Crianlarich sono andato verso est. Per diciassette chilometri. I moscerini non mi hanno dato il tempo di ragionare - debole attenuante - e dal B&B immettendomi sulla strada asfaltata ho preso la direzione opposta a quella che avrei dovuto percorrere. Mi mangio un kitkat, faccio la pipì, respiro a fondo e cerco una strada di raccordo tra dove sono ora e dove dovrei essere, una specie di scorciatoia. Non c'è. "Tornate indietro quando potete" è l'unica cosa sensata da fare. Consulto l'orologio. Non arriverò mai a Glasgow per la sera.
Entro dentro il bar del distributore. Chiedo: Sì, mi dicono che c'è la linea ferroviaria a Crianlarich che va a Glasgow. La mia meta è improvvisamente cambiata: la stazione di Crianlarich, si torna al punto di partenza, come nel gioco dell'oca quando capiti sul 58. Dopo altri diciassette chilometri passo davanti al B&B e ai moscerini. Sì, cari moscerini, mi mancavate e sono tornato a salutarvi. Proseguo verso il crocevia, il nodo nevralgico del paese, giro a sinistra, verso sud e mi fermo alla stazione. Sono le due e un quarto, il treno per Glasgow è passato da mezz'ora, il prossimo passerà alle cinque e mezzo. Mi girano le scatole. Prendo un tè nel bar della stazione, mi calmo e decido di proseguire verso sud, fino alla fermata successiva, ad Ardlui, almeno faccio altri dieci chilometri di bosco, e così arrivo all'inizio del Loch Lomond, l'inizio del parco nazionale. Questo ultimo tratto di bici è caratterizzato dal fatto che la strada è scavata in fondovalle e accompagnata, a destra e sinistra, costantemente da monti. Mi fermo a fare qualche foto alle mucche con il lungo pelo fluente color mogano, caratteristiche della Scozia. Poi arrivo alla stazione deserta di Ardlui, comincia a piovere forte, questo mi consola un po'. Pensarmi 35 chilometri più avanti, immerso nel parco nazionale in una splendida giornata di sole sarebbe stato insopportabile. Alle 17,47 arriva il trenino a gasolio, e si scioglie l'ultima grossa incognita della giornata: c'è posto per la mia bici, il treno ne può contenere fino al numero massimo di quattro, la mia è la terza. Mi sistemo sui sedili, mi gusto la lunga riva del Loch Lomond, dopodiché - siamo quasi a Glasgow - assisto all'aumento progressivo delle case, strade, auto, un po' mestamente.
E' tempo di tornare.
La città, Glasgow, è il mezzo del ritorno, ma la mente si sofferma sui giorni precedenti, sui 525 chilometri percorsi in mezzo alla natura, davanti a gole solcate da strade che si perdono all'infinito, con monti tappezzati per intero da verdi di mille sfumature, o a fiordi così stretti da confonderti - fiume, lago, mare - sotto un cielo blu cobalto e centinaia di nuvole che si rincorrono, con il vento che ti accarezza.
E' tempo di tornare. Con una scorta di gioia, grato alla vita, a quella presente.
(Toni La Malfa)
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