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mercoledì 30 settembre 2009

Viaggio in Scozia 2 - Coast to coast





In partenza. Quella vera, intendo. Quella sulla bici, in Scozia. Sono a Inverness, che bagna il fiume Ness, emissario del celeberrimo lago. Tra sistemare i bagagli, montare la bici e fare colazione parte un sacco di tempo, e finalmente alle dieci e quaranta di lunedì otto giugno sono in sella. Rotta a nord-ovest. Non piove e ci sono quindici gradi, è una buona notizia, soprattutto se penso al tempo infame del giorno precedente: pioggia, vento, freddo(anche se non è detto che non ritorni, ovviamente). Menomale che ieri viaggiavo in autobus, anche se questo "menomale" potrebbe essere detto dalla volpe che non arriva all'uva. Prima di portarvi idealmente in giro sulla canna della mia bicicletta, ricapitolo brevemente ciò che è successo tra il sabato e la domenica: parto da Pisa, arrivo a East Midlands in ritardo. Mamma, ho perso l'aereo per Inverness; prendo due bus che mi fanno attraversare una buona parte della Gran Bretagna nel suo asse lungo, circa ottocento chilometri in direzione nord, arrivando a Inverness. Del viaggio in autobus mi è rimasto un impasto di sensazioni: grande stanchezza, alternanza di sonno e veglia, un'infinità di colline, l'attraversamento silenzioso di Edimburgo all'alba, gli enormi tergicristalli che si muovono in sincronia con i battiti del cuore, la grande varietà di gente che sale e scende dall'autobus: studenti che ricominciano la settimana a Edimburgo, lavoratori pendolari della settimana che lavorano in grandi centri urbani a centinaia di miglia da casa, pochi turisti, alcune donne sole con la borsetta sulle ginocchia. La maggior parte di questi passeggeri rimane in silenzio, e chi ha compagnia può appoggiare la testa su quella del passeggero accanto; è anche interessante osservare la lenta processione mattutina verso il bagno situato in fondo all'autobus. Tutti questi visi mi ricordano che qui, soprattutto nelle grandi città, la multirazzialità è un problema superato. E' così bello osservare la diversità tra visi, capelli, corpi, abbigliamento, cogliendo l'occasione di poterli guardare in uno stato di abbandono, un cocktail di sonno e stanchezza. Ognuno di noi è così diverso, eppure in fondo ognuno di noi cerca più o meno le solite cose nella vita, mi viene da pensare un po' banalmente.
Arrivo ad Inverness all'una di domenica dopo quasi un giorno di viaggio. Piove. Non voglio complicazioni oggi, desidero un comodo letto di albergo. Trasporto il mio borsone e gli zaini in una pensilina, chiamo un taxi perché non ho voglia di mettermi adesso a montare la bici. Raggiungo un bell'albergo, per oggi mi merito qualche comodità in più. L'albergo è dotato di piscina interna. Dopo aver portato i bagagli in camera - borsone della bici compreso, ip ip urrà per l'ascensore capiente - mi precipito in piscina e faccio lentamente a nuoto avanti e indietro per mezz'ora fino a raggiungere un profondo rilassamento. Poi salgo in camera, vorrei uscire subito per mangiare, ma mi stendo un attimo sul letto e riapro gli occhi dopo tre ore. Esco. La pioggia ha lasciato il posto ad un forte vento. L'albergo è in centro, Inverness è molto carino. Ci sono alcune case nel corso principale risalenti al quattordicesimo secolo, poi un castello arroccato sulla sommità di una collina, purtroppo contiguo ad una orrenda costruzione, forse un palazzo delle poste, che ricorda l'architettura dei paesi dell'est pre-1989.
Mi fermo in un ristorante dal design moderno dove mangio una bistecca ed insalata, faccio una passeggiata. Ho ancora fame, mi fermo nell'immancabile mac donald a prendere filetto di pesce. Poi mi viene sete e mi fiondo a bere una guinness in un locale pieno di giovani che non sanno ancora come butta la domenica sera. Quando torno sono le dieci meno un quarto, e il sole - ora visibile all'orizzonte - sembra inchiodato nel cielo: tra tramonto e luce crepuscolare si arriva quasi alle undici.
Mi metto a scrivere in albergo questi appunti di viaggio, e finalmente dormo in un letto, riuscendo - sono uno specialista in questo - a fare tardi. Tardi come la mattina successiva, quando - lo stavo raccontando prima di perdermi in queste digressioni - è cominciato il mio viaggio vero, quello in bici.
Dunque: sono le dieci e quaranta di lunedì otto giugno, e comincio il mio viaggio in cui dovrò costantamente tenere la sinistra. Il vento c'è anche stamani, spira trasversale alla strada. Il paese muore all'improvviso, costeggio per i primi chilometri il mare-fiordo che sembra lago o fiume, e il confondimento è una bella sensazione. Ritornano le nuvole, e come la strada si discosta dall'acqua cominciano colline tappezzate di boschi; la strada piega a gomito verso nord, non si allontana tanto dalla costa, e dopo una trentina di chilometri piega verso ovest, verso le Highlands. Se prima mi pareva di attraversare posti deserti, adesso la sensazione è ancora più forte. Non si vede traccia umana, a parte qualche raro cartello stradale. Una cornacchia mangia un cadavere di un animale, anche se arrivo a un metro e mezzo di distanza non le faccio alcuna paura e così la cornacchia continua tranquillamente il suo pasto.
Le pendenze non sono forti, e intorno non c'è altro che pascoli con pecore alternati a boschi. Nonostante sia giugno, in vetta ai monti che ti sovrastano a destra e sinistra della strada si vedono delle placche di ghiaccio e neve.
Silenzio.

Poi l'emozione di un'aquila che tramite una corrente ascensionale si avvita nel blu cobalto, uno sprazzo di cielo rubato alle nuvole che vanno di fretta. Le Highlands che avevo come idea-concetto sono davanti a me. Comincia a piovere. Drive carefully è il segnale di arrivo in un centro abitato, Garve, dove trovo solo case a destra e sinistra della strada, nemmeno un pub, sono costretto a nutrirmi di Kit-kat e acqua. In prossimità della stazione ferroviaria di Garve faccio conoscenza con Andrew, scozzese ma residente vicino a Londra, anche lui in bicicletta, che sta consultando gli orari per proseguire in treno, direzione Inverness. ora piove con maggiore insistenza, ci salutiamo. Per trenta chilometri non trovo nemmeno una casa, solo boschi. Incrocio di rado qualche macchina, la strada va a saliscendi, ma niente di terribile. Un capriolo sul ciglio della strada, pare che si riposi, ma ha gli occhi aperti, mi guarda? No. E' morto, probabilmente investito da un'auto. Mi fermo a guardarlo. L'agonia dev'essere stata brutta, con gli occhi rimasti aperti, un fermo immagine fino alla dissolvenza; ma poi quale agonia può essere piacevole? Raggiungo Achnasheen, tre case tre di numero. Speravo di trovarvi un B & B o un albergo, niente. Mi fermo in una sala da tè, prendo un caffé lungo e due fette di torta di mele, come lo sceriffo amico della signora in giallo. Il proprietario mi chiede qual è il periodo migliore per visitare la Toscana. Aprile-maggio, settembre-ottobre, rispondo, e gli do qualche dritta su Lucca, Pisa, Firenze. Sono costretto a proseguire, mi manca ancora un letto per stanotte. La stretta valle costeggia il fiume Carron, che più tardi si tramuterà in lago e poi fiordo. Sul limitare di un bosco, a qualche centinaio di metri da me, vedo alcuni cervi che pascolano tranquillamente. Ora discesa a capofitto, strada stretta a una sola carreggiata, fino a raggiungere alle otto di sera, dopo 106 chilometri, un paesino sulla riva nord del lago. Il paese, Lochcarron, è davvero carino, casette variopinte, giardini molto curati, e una vista mozzafiato sul lago e sul monte della riva opposta. Trovo un accogliente B & B, doccia, e riprendo la bici per raggiungere un ristorante a bordo lago. Rientro in camera - riscaldamento acceso, ci sono 11-12 gradi fuori - alle undici, è ancora giorno, anche se il cielo coperto non consente di godere del tramonto.
Sono un po' stanco, ma penso con soddisfazione di essere partito stamani dal Mar del Nord, di aver attraversato le Highlands, per finire sul bordo dell'Oceano.
Un piccolo coast to coast, insomma.
A domani
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2 commenti:

Unknown ha detto...

Salve Toni, la nuvoletta di Fantozzi che gravita sulla mia connessione adsl in questi giorni, ricorda tanto le sventure di un tale che si dilettava ad installare macchine virtuali. Piacevole il tuo diario di bordo. Pensavo stanotte che in viaggio ci si ritrova con se stessi, ed è spontaneo, quasi naturale, affidare alla carta l’impeto delle emozioni, dei pensieri che nascono come funghi tra una collina ed un paesaggio.
Son curioso di sapere dove hai trascorso il mio compleanno ( il 13 di giugno… ).
Quindi rimarrò in ascolto, in attesa dei prossimi episodi.
See you soon.

p.s.: occhio al nuovo film di Tarantino...

Unknown ha detto...

Ciao Federico, grazie del tuo commento. In effetti dopo un po' che viaggi, soprattutto da solo, ti spogli di un sacco di cose inutili, una specie di indumenti che getti via strada facendo, e pian piano ti avvicini alla tua essenza. Non è sempre piacevole: dopo otto ore in silenzio su una bici, con una cornice come questi paesaggi scozzesi, hai la sensazione di viaggiare in compagnia di uno sconosciuto con cui non sai esattamente come comportarti. Ma a volte è bellissimo.

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