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mercoledì 11 marzo 2009

L'ascensione del primo agosto

"A che piano?"
"Sesto"
Il signor Giuseppe Forti preme il numero 4 ed il numero 6. Le porte si chiudono, la luce del giorno scompare. Gira lo sguardo - solo un attimo - verso la signora Maria Consoli e infine ruota il corpo verso le porte metalliche. Immobile. Anche la signora Maria Consoli guarda l'uscita, con le braccia convergenti in basso, unite a mo' di preghiera con le mani intrecciate. Un suo piede balletta impercettibilmente.
Nella pulsantiera le luci passano dall'1 al 2 al 3, poi si spegne il 3 e non si accende il quattro. L'ascensore si ferma, sospeso nel nulla. Il signor Forti rivolge lo sguardo interrogativo verso la signora Consoli. La signora ricambia lo sguardo interrogativo, il piede non balletta più.
"Si è bloccato. Siamo bloccati." Dice la signora.
Il signor Forti preme con decisione il pulsante di allarme. Ancora. Ancora. Silenzio.
La signora poggia un sacchetto di plastica per terra, tiene la borsa beige di pelle tra le mani, la apre e prende il telefono, lo guarda. "Non c'è campo."
Il signor Forti tira fuori da una tasca dei pantaloni il telefono, lo guarda.
"No, niente linea." Si sbottona l'ultimo bottone del colletto della camicia. Preme ancora il campanello a lungo. Batte sulle porte metalliche. "Aiuto! C'è nessuno?"
"E' il primo agosto, è sabato. Tutti gli uffici sono chiusi. Temo che non ci sia nessuno nel palazzo." Dice la signora Consoli con un filo di voce.
"Siamo nel 2009, non siamo nel dopoguerra, accidenti. Queste suonerie dovrebbero collegarle con delle centrali. L'ho visto in altri ascensori. E ora?"
"Non so." dice la signora, e intanto appoggia anche la borsa in terra. Incrocia le braccia. "Fa caldo."
"Sì." dice il signor Forti. Rivolge il suo sguardo verso la signora. " Qualcuno potrebbe venire a cercarla?"
"No. Vivo sola. Mio...il mio ex marito vive a Genova. Lo sento solo una volta al mese. E lei?"
"Io? Cosa?"
"Qualcuno potrebbe venire a cercarla?"
"No. Mia moglie è andata al mare con i miei figli. Torneranno lunedì mattina. Io sono consulente del lavoro, devo organizzare le buste paga, sono indietro, sa."
"Capisco. Ma non si aspetterebbe una chiamata oggi dal mare?"
"Non...la verità è che io e mia moglie siamo in rotta, in casa ci parliamo solo in modo formale. E non ci telefoniamo. E... e i miei figli hanno 15 e 17 anni, hanno altro a cui pensare, piuttosto che telefonare al papà."
"Mi spiace. Per lei e sua moglie, intendo."
"E' la vita. Ma lei. Che viene a fare qua di sabato?"
"Sono una pubblicitaria, ho una riunione lunedì mattina con i clienti committenti ed il mio capo, sto organizzando una presentazione per il lancio pubblicitario di un...di un lassativo. E poi non sono nello spirito di gite fuori porta. Tanto più che andando al mare, scusi sa, è una specie di nevrosi, è come se...mi avvicinassi al mio ex-marito, e non ne ho voglia, francamente."
"Capisco." il signor Forti si attacca di nuovo al pulsante, lo preme a fondo per un lungo tempo. Poi lo preme ritmicamente con brevi intervalli, infine appoggia un orecchio sulla porta.
“Comunque” riprende la signora “stasera verso le sette passerà il mio capo. Per ritirare il file powerpoint, cambiare una, due parole dalle didascalie e dire che “siamo una grande squadra”."
“Beh, menomale,” dice il signor Forti “menomale che passerà il suo capo, intendo. Non per il fatto che si prende il merito del suo lavoro.”
“Per quello, ormai, ci sono abituata.” La signora Consoli aggrotta le sopracciglia. “Il fatto è che, di questi tempi, è difficile trovare un altro lavoro, un lavoro che ti possa gratificare, realizzare.”
"Già. Uff...Non c'è proprio nessuno. Niente." Si gratta la testa, poi si volge verso il grande specchio alle loro spalle. Intravede l'immagine riflessa del sedere ben tornito e delle gambe affilate di Maria. "Le dispiace se mi siedo per terra?"
"No, no. Faccia pure."
Il signor Forti si siede, appoggia la schiena su una parete accanto alle porte, è rivolto verso la gonna della signora Consoli. A trenta quaranta centimetri di distanza dal lembo inferiore della gonna blu
plissettata. Maria si allontana verso la parete opposta.
"Mi metto anch'io a sedere." Si accuccia, incrocia le gambe, tenendo le braccia sulle ginocchia, rivolta verso Giuseppe. Stanno uno davanti all'altra, come in una seduta di yoga. Lo guarda. E' magro, ha uno sguardo vivace e un bel viso.
Sbuffi di disappunto da ambo le parti.
Giuseppe, a sua volta, guarda Maria con una certa attenzione."Ma perché l'ha lasciata suo marito?"
"Una campagna di rottamazione." Sorride gelida. "Ha lasciato me quarantenne in cambio di una venticinquenne. E' ufficiale nell'esercito, è tornato dal Kosovo insieme a Kris."
"Mi spiace tanto. Non avete figli?"
"No."
Giuseppe si rialza, preme il pulsante di allarme, nessuna risposta, si rimette giù. Appoggia i gomiti sulle gambe, poi adagia la testa sulle mani disposte a coppe,. Sta guardando in basso.
"Io...credo che mia moglie si veda con un altro."
"Vuole separarsi?" chiede Maria a bruciapelo. Giuseppe è sorpreso.
"Chi? Io o lei?"
"Lei. Sì, insomma, tu." Maria punta l'indice tremante della mano destra in direzione di Giuseppe.
"E' complicato. Ci sto pensando. La casa è intestata a mia moglie, inoltre mi piacerebbe stare accanto ai figli. E poi non ho la coscienza pulita. Lo scorso anno mi vedevo con una, poi è finita; mia moglie non l'ha saputo. Ma questo non mi fa agire con decisione. E poi...e poi ho dei forti sospetti, non certezze. Uno pensa, uno spera che no, non è così. Ma in effetti per come vanno le cose tra noi, direi, sì, gliel'ho già detto che siamo in rotta."
"Sì, capisco. Si spera che non sia così. Ci si sente invincibili. Indispensabili. Ci si illude, a momenti, che certe cose, come anche le malattie gravi, capitino solo agli altri."
"E' proprio così. Sa che è proprio così come ha detto lei." sospira Giuseppe.
"E' quasi mezzogiorno." sospira Maria.
"Speriamo che capiti qualcuno prima di stasera. A proposito," si alza e si rassetta un po' i vestiti, poi allunga la mano verso Maria " mi chiamo Giuseppe. Piacere."
Lei accoglie la stretta di mano piegandosi un po' in avanti, senza alzarsi. "Viste le circostanze, direi che non è proprio un piacere" sorride "ma insomma, mi chiamo Maria."
Giuseppe si rimette a sedere." Menomale che non c'è il bue e l'asino, saremmo stati molto stretti qua."
Maria sta al gioco, rilancia: "Eh già. La capanna sarebbe un lusso, al confronto, questo è un monolocale uno per uno. Non abbiamo nemmeno la stella cometa. Ho solo uno Star della Motorola senza segnale."
Sorridono, un po' nervosi.
"E io" il sorriso le muore sul viso " io non ho nemmeno il bambino."
"Mi spiace tanto, Maria."
Maria ha occhi celesti, acquosi. Adesso sono colmi di lacrime che non esondano. Giuseppe guarda con grande partecipazione quei piccoli laghi celesti. Pian piano le lacrime tornano dentro, chissà dove diavolo vanno a finire. Maria prende un fazzolettino, si soffia il naso. Ora si schiarisce la voce. Come se volesse dire qualcosa. E in effetti, ha qualcosa da dire.
"Non è un piacere, no," riprende Maria" ma meglio con lei, Giuseppe, che da sola."
"Sì, ha ragione. E' molto meglio. Abbiamo anche delle cose in comune: siamo avanzi di famiglia, desiderosi di lavorare di sabato, uniti dalla sfortuna."
Si mettono a ridere, un po' più rilassati di prima.
"Vuoi un po' d'acqua?"
"Hai l'acqua?"
"Sì. E anche due banane, sarebbe stato il mio pranzo Non l'ho ancora aperta."
"Ah, grazie. Un sorso lo prendo. Solo un sorso, potrebbe essere preziosa."
Maria estrae dal sacchetto una bottiglia."Tieni."
Giuseppe prende la bottiglia. La apre. "Grazie. Comunque non ci metto la bocca. L'ho imparato facendo lo scout." Beve.
"Bene." Maria riprende la bottiglia e beve un sorso attaccata alla bottiglia. "Io non ci riesco."
Giuseppe la fissa, fa una pausa, poi azzarda: "Se berrò di nuovo, per me sarà un piacere."
"Cosa?"
"Pensare che hai toccato la bottiglia con le tue labbra."
"E ora?" Pensa Maria. "E ora che succede?" Giuseppe si sposta, si avvicina accanto a lei. Si avvicina con le sue labbra, Maria non si tira indietro, anzi, lo accoglie. "Questo succede", pensa.
Ora Giuseppe e Maria si tengono per mano, seduti. Guardano avanti, verso la parete in metallo. A destra lo specchio, a sinistra le porte.
"Il tuo ex-marito è un coglione."
"Grazie." sorride Maria.
"Sai, Maria. Non è vero che ho dei sospetti. Io sono sicuro che mia moglie mi tradisce. Una mattina si dimentica il telefono acceso a casa, non era mai successo prima. Comincia a squillare. Mi avvicino. Leggo sul display: xxx. Dopo un po' xxx smette di chiamare. A quel punto mi tremano le mani. Premo invio e leggo: "Chiamare XXX?" Premo invio. Suona. "Amore, perché non rispondevi?"
Interrompo la chiamata. Butto il telefono sul tavolo, come se scottasse. Lei poi la sera non mi chiede niente. Forse ha pensato ad un'"interferenza". Durante il giorno mi aveva telefonato, chiedendomi in modo evasivo a che ora fossi uscito. Subito dopo te, le ho risposto. Quindi lei non mi chiede niente di quella chiamata ricevuta dal tipo e registrata sul telefono, no. Io non le chiedo niente di quella voce. Quella voce mi è rimbalzata nel cervello, in testa, da una parte all'altra. Per giorni. E' passato un anno da quella voce. Ora lei va al mare con i figli, io preferisco lavorare."
Maria stringe fortissimo la mano a Giuseppe.
"E' meglio qui."
"Cosa?"
"Meglio qui, in questo ascensore. Meglio qui, con te, che compilare buste paga; meglio qui piuttosto che perfezionare il claim di un prodotto pubblicitario, di un lassativo." riprende Maria.
"Di un prodotto che fa cagare, insomma." risponde Giuseppe.
Ridono, ridono, ridono. Abbracciati. A destra lo specchio, a sinistra le porte. In attesa dell'ascensione.
"Saremo costretti a trascorrere anche il pomeriggio insieme. Credo."
"Credo anch'io, Maria. Spero che arrivino. Ma con calma."
Giuseppe e Maria si rannicchiano abbracciati, in diagonale nel pavimento dell'ascensore. Hanno lo sguardo rivolto verso lo specchio. Sono illuminati dalla luce della plafoniera. La frenesia - persino la paura, persino quella - è passata.
Si tengono stretti, si proteggono l'un l'altra, e sorridono.

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