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lunedì 15 luglio 2013

La ruota della fortuna


La ruota della fortuna

Mi infilai, con un po' di fastidio per la scomoda posizione a gambe larghe sul bidet e per la frizione che avvertivo, il tampax.
Proprio quella sera dovevano venirmi, accidenti.. influivano negativamente sul mio umore.
Mi soffermai per un attimo con lo sguardo su quell'esile cordicella che usciva da lì: in caso di emergenza mi ci sarei aggrappata, e forse sarei potuta scendere, anche se "ogni abuso sarebbe stato punito"..
Passai al completamento della vestizione, che implica sempre delle scelte e le scelte implicano sempre sofferenza.
Le gonne corte espongono  al desiderio maschile - era ciò che volevo? -, i jeans danno un'aria adolescenziale -e quella sera non era proprio il caso-, un tailleur conferisce un aspetto da tardona.
Terminai infine lo studio anatomico davanti allo specchio, non molto convinta per la scelta della giacca rossa, che sapeva un po' troppo di hostess o di accompagnatrice, ma che si avvitava perfettamente sui miei fianchi; decisi di tenerla, così come la gonna corta.
Ero perplessa, ma molto determinata a uscire.
Tentai di spolverare qualcosa di impalpabile: un sedimento di imbarazzo e paura.
Mi sedetti per un attimo, passai lentamente le mani sui collant, quasi a cercare di volermi bene, e uscii di casa.
Lo specchio dell'ascensore mi confermò un aspetto troppo rigido, dovevo smussare i miei angoli e quelli della mia visione del mondo.
Il garage sotterraneo esaltava il rumore metallico dei miei tacchi e accresceva il mio senso di disagio e solitudine, non c'era anima viva.
Tenevo ben salda la mia borsetta - non avevo che pochi spiccioli e il telefono, ma avevo lo stesso paura-, dopodiché la aprii e tirai fuori le chiavi della macchina.
Prima di partire di nuovo a guardarmi allo specchietto retrovisore: un ritocco ai capelli, nel contempo cercai di riordinare le idee, ma invano.
Agii comunque secondo copione, mi diressi verso il centro, e forse mi stavo allontanando dal mio; tuttavia nei viali, nell'aria rinfrescante della sera - smog compreso - mi stavo rilassando.
Arrivai sotto casa di Elena, stava scendendo. Un delicato profumo si diffuse nella macchina. E la sua voce argentina contribuì ad una mia buona disposizione d’animo.
-Cavolo Barbara, che bella che sei stasera!-
- Maddai ..solo stasera?-
Qualche risatina, qualche smanceria e partimmo.
Le diedi un'occhiata furtiva e sorrisi - me ne sorpresi, ero proprio io che sorridevo dicendo: -Convinta, allora?-
-Certo, e tu?-
...
- Mmm.. sì. E' necessario, e forse sarà anche bello.
"Speriamo" pensai, attraversata da ondate di dubbio.
Ormai da tempo non nutrivo più le speranze di risentire il bello, di provare un'esperienza appagante, emozionante, bella in una parola, appunto.. Sentivo il dolore del distacco, avvertivo il vuoto, la mancanza, sentivo quella sera di un anno fa. Sentivo il prima.
Prima di quel campanello.
 Alla porta c'era un carabiniere.
-La signora Contucci?-
-Sì? Cosa..-
-..Senta, dovrebbe venire con me, è per suo marito..-
-Gli è successo qualcosa?-
A distanza di tempo ripensai a come fosse stata idiota quella domanda: un maresciallo con l'aria imbarazzata, alle nove di sera, a casa mia, si era anche levato il cappello.. certo che gli era successo qualcosa, in particolare gli era mancata l'aria, così come era mancata l'aria alla ruota di un tir, salto di corsia e di lì passava Mauro, fine.
Ma per quanto idiota potesse essere, era la domanda della speranza legata ad un filo, dell'illusione che a me cose del genere non potessero accadere, mai. Mai.
Arrivammo alla villa.
Si sentiva la musica da fuori, c'era gente che fumava e qualche coppia in disparte.
Sorrisi che si sprecavano a destra e sinistra.
Entrammo in un salotto, dove Stefano, il padrone di casa, ci accolse.
- Macchesplendidefanciulle...buonaseeera, venite!-
Mi stava venendo da vomitare, mi sentivo un non-senso vivente, ero fuori luogo.
Mi stupii di come avessi potuto credere che tutto questo fosse per me necessario.
Passai qualche minuto a sgranocchiare noccioline, nel complesso fu il momento più intenso della festa.
Poi trascorsi un po' di tempo a guardare il giardino.
Elena era felicemente abbarbicata con un rappresentante, un venditore fino al midollo, convinto fino in fondo, uno di quelli che raggiungono il budget e che passano la serata a convincerti su qualsiasi cosa.
Invece che di persona, preferii interromperla con il cellulare, non avrei visto fili di saliva, almeno.
- Senti Elena, io andrei, tu te lo trovi un passaggio?
- Ma come, vai già via?-
- Sì, non mi sento tanto.. allora lo trovi?-
- Certo, certo.. buonanotte Barbara.-
Ero fuggita, ma che importa? Avvertii qualcosa di buono, non capitava da un bel pezzo. Non volevo tornare subito a casa. Guardavo di sbieco le luci della città che si allontanavano, mentre a poco a poco la luna piena riempiva e colorava di sogno la mia notte.
Un sogno, quella notte. All'improvviso un rumore, la macchina se ne stava andando per i fatti suoi, attraversai la mezzeria della strada e percorsi con terrore un centinaio di metri contromano.
A fatica la tenni in strada, ce la feci a fermarmi sul ciglio.
Ansimavo con le mani incollate sul volante.
Una ruota bucata, era di nuovo mancata l'aria, ma stavolta il mio di soffio non se ne era andato. Stavo sentendomi in colpa anche per quello, oltre che per aver litigato con lui quel giorno: sopravvivevo, resistevo.
Tirai fuori dal cruscotto il libretto di istruzioni, e andai al capitolo "sostituzione di una ruota".
Uscii, la luna era ancora lì.
Si fermò una macchina.
- Ha bisogno, signora?-
- Direi di.. sì, se mi potesse aiutare, ho una gomma a terra..
Scese un uomo, vestito piuttosto elegante, uno sguardo rassicurante, e anche se le circostanze non erano delle migliori, sentivo di potermi fidare. Anzi, mi sentii addirittura sollevata.
Aveva un gran senso pratico, era gentile, tutto ciò di cui avevo bisogno nel cuore della notte con una ruota da cambiare. Inoltre non credo, visti i suoi sforzi, che ce l'avrei fatta a svitare quei bulloni.
- Lei era alla festa di Stefano, vero? –
-..Sì, ma come.. c'era anche lei?- Altra domanda idiota, pensai, mordicchiandomi il labbro.
- Sì, e come vede l'ho notata, viceversa lei non mi ha visto; quindi ero un soprammobile come tanti..-
Una risata, poi un po' di imbarazzo. Tentai di giustificarmi, ora lo vedevo bene.
- Con tutta quella gente, ci vuole fortuna per notare qualcuno..-
- Che pizza, eh?-
- Scusi?-
- La festa, intendo..-
- Ah, sì.. proprio una pizza!- risposi sollevata. Sorrise, e poi anch'io, aveva un sorriso contagioso.
Intanto stava stringendo l'ultimo bullone, e di lì a poco avrei dovuto stringergli la mano.
Riguardai la luna, era proprio bella: quel tondo mi fece pensare a qualcosa.. percepii una specie di uovo che stavo covando dentro di me, fatto di ricordi, emozioni, dolori, gioie; compresi che quell'uovo avrebbe potuto essere gettato nell'acqua bollente per rafforzarne il guscio e tenermi tutto dentro, compresa la rassicurante immagine che mi stavo costruendo oppure.. oppure ciò che stavo covando potesse distruggerlo, quel guscio, e farne uscire un festoso pulcino, indifeso ma straordinariamente vitale. La luna pareva dirmi qualcosa in proposito.
- Bene, è tutto a posto..-
Un altro pensiero venne a galla: "Non può essere un caso che tu sia qui.."
- Senta.. senti, non potresti accompagnarmi per un pezzo?-
Il suo sorriso si allargò.
Ripartimmo in carovana, ci fermammo ad una piazzola.
-Lasciala tu, Michele, ho voglia di guidare stanotte.-
Direzione mare.
Il mare è vita.

martedì 9 luglio 2013

Relazioni

"Cara Lidia,
stamani ero appena uscito di casa con la macchina, e - come spesso succede - volevo telefonarti.
Le solite operazioni: tiro fuori il telefono di tasca, lo appoggio sul sedile lato passeggero e cerco di posizionare l'auricolare. Ma come sempre, mi occorre rallentare o addirittura fermarmi sul ciglio della strada per dipanare il filo. Se non lo facessi, diventerebbe una matassa inestricabile nel giro di pochi giorni. E' stato in quel momento che ho pensato: anche per le relazioni è così. Ci vuole una frequentazione assidua, forse addirittura giornaliera per far sì che nel giro di breve tempo non si abbia a che fare con un groviglio incomprensibile di roba. Occorre capire, occorre capirsi l'un l'altra, Lidia. Invece ci si abitua a non capire. Un nodino qua, uno là, che vuoi che sia? Ci si abitua ai nodi; si ripassano frettolosamente con le dita, quasi che non ci siano, e ci si abitua, pian piano, ad ignorarli.

Ci si abitua ad un ritratto dell'altro sempre più evanescente e sbiadito, o grossolano,  e non c'è mai tempo per chiarire, per approfondire. Ci si abitua, Lidia, alla mancanza di un quadro dal muro, perfino alla perdita di una persona cara. E' un meccanismo protettivo, dicono, altrimenti sarebbe impossibile sopravvivere, per esempio, alla perdita di un figlio. Ci si abitua, Lidia. Volgendo lo sguardo alla parete si intravede solo la sagoma del quadro; può accadere che per un attimo tornino quei colori vividi, quel campo verde brillante, il contrappunto del giallo dei limoni, un cielo saturo di blu, quasi viola, e si accarezza la possibilità che tutto ritorni, anche tu. Ma è solo un attimo, la parete torna come prima, con quel rettangolo leggermente più chiaro.
Io ho sperato, Lidia. Vedo in te qualcosa di unico, qualcosa che non avevo mai visto prima d'ora. Al punto da essere disposto a mollare tutto per te. Ma dopo un'emozionante incertezza di qualche settimana, mi hai chiarito il tuo punto di vista.
Ineccepibile.

Ma fino ad allora avevo sperato, Lidia. Perché mi piaci. Mi piace il tuo modo di parlare, le tue pause, la tua risata contagiosa, mi piace quando pretendi un abbraccio. Mi piace la tua perenne stanchezza, al limite della malinconia. Il modo in cui descrivi la tua città, mi parli di un libro, un film. Perchè parlo bene con te (a patto di parlare  senza fretta). Perchè mi piaci come donna, e anche per la tua inconsapevole eleganza nei movimenti. Perchè sei eccitante, nuda al chiaro di luna. Perchè tutti questi perchè non li avevo mai visti riuniti in una donna sola.

Perchè ti voglio bene. Perchè sono innamorato di te.   
 
Abbiamo già toccato l'apice della parabola della nostra storia. Siamo volati molto in alto, credo anche tu, io di sicuro, anche perchè non credevo che avresti avuto dubbi su di me, non speravo di interessarti minimamente.
Non mi ritengo "degno di te". E invece per qualche meravigliosa settimana mi hai fatto vivere nella possibilità di costruire un legame forte, a prescindere dal mondo, dalle nostre vite, dalle enormi difficoltà che ci avrebbero atteso. E ti ringrazio per la tua incertezza.
"Se l'amore bussa, apri la porta del tuo cuore. Lascia che si manifesti nella passione di un'amante, nella perfezione del creato, nell'alito divino che eleva verso l'Eccelso." "...anche se le sue strade sono ardue e ripide... e quando vi parla credetegli..." "Non si può toccare l'alba se non si sono percorsi i sentieri della notte..."  Mi cibavo di Gibran nell'attesa, nella possibilità più o meno concreta di dover affrontare epici ostacoli, di dover fare del male a qualcun altro.
Non sapevamo, Lidia, se saremmo potuti andare sempre più in là, ora intuiamo benissimo che stiamo tornando a terra. Probabilmente sarà un atterraggio morbido, borghese, senza spiacevoli conseguenze. Bene così, no? Sto rientrando nei ranghi, Lidia.
Niente più riferimenti al sesso, né telefonate fuori orario. Niente frasi equivoche.
Saremo buoni amici, Lidia. Buoni. La senti l'approssimazione di questo aggettivo? Buoni, alla buona, buonismo, in fondo è buono quel tipo là.
Niente è più perfetto, è solo una fotocopia sbiadita, Lidia.
Saremo buoni amici, e visto ciò che rappresenti per me, questo è già molto, sono grato alla vita di averti incontrato, una specie di dono extra, tipo milionesimo cliente. Ma in queste ore la bellezza di questo dono è offuscata dall'improvvisa e dolorosa consapevolezza di ciò che avresti potuto rappresentare per me.
Buonanotte, amica mia.
Stefano."
 
Rilesse la lettera, l'appoggiò sulla scrivania, la stese sugli angoli e si alzò.
Volse lo sguardo fuori della finestra, stava per albeggiare.
Vide le colline, i limoni, il cielo viola che pareva incendiarsi in un angolo basso. Aprì la finestra, gli parve di sentire un profumo, una fragranza che non riusciva in quel momento a decifrare. Appoggiò i gomiti sul davanzale e chiuse gli occhi. Stette lì per un tempo indefinito, poi tornò dentro.
Prese la lettera, la portò in cucina e la bruciò sul lavello. La parete di colore giallo ocra si ravvivò per un attimo di bagliori rossastri.
Infine andò in camera, entrò nel letto. Strinse le braccia al petto e si addormentò.  

sabato 6 luglio 2013

Rondò

Sulla torre di Babele
regna grande confusione:
la plebaglia canta e balla,
beve vino a profusione,
fallo cerca la farfalla
sulla torre di Babele.

Che fantastica emozione
cavalcare a briglia sciolta
dell'amore la stagione
prima che ci venga tolta!

S'io vivessi un'altra volta
firmerei la petizione
 - spererei venisse accolta
con fantastica ovazione -
per twodotzero versione
della torre di Babele.