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sabato 18 febbraio 2012

L'appuntamento

 

Quella mattina non era come tutte le altre, no.
Abbigliamento elegante -un completo blu, gonna a tubo fin sotto al ginocchio, giacca con scollo piuttosto equilibrato, scarpe decolletè con tacchi a spillo, ma ci era abituata-, capelli acconciati il giorno prima dal parrucchiere -ne era risultato un morbido caschetto castano chiaro con striature bionde, vagamente accennate-, insomma era pronta per l'appuntamento, quell'Appuntamento, e si risolse ad uscire di casa.
Non sapeva se era bene che facesse colazione, ma un vago senso di debolezza, nello scendere le scale, la convinse a prendere una spremuta d'arancia al bar dietro l'angolo.
Quella debolezza era anche legata alla necessità di dover attraversare la città con la macchina, doversi immergere nel caos multicolore strombazzante, roboante di un'umanità frenetica che non poteva, in quel momento, comprenderla nè accoglierla.
Si sentiva, in effetti, inadeguata, soprattutto negli spostamenti, lei che aveva vissuto a lungo nella quieta e molle provincia, e non aveva sviluppato le capacità del grintoso animale cittadino.
Un esemplare di tale specie, solamente pensando a Piazza Gioberti, avrebbe visualizzato in tempo zero, in un display mentale, un percorso con annesse le possibili varianti in caso di improvvisi ingorghi, lei no..lei appoggiava sul sedile a fianco una stropicciata cartina, aveva ormai un lustro, che fingeva di consultare prima della partenza, una sorta di scaramanzia, ma anche il segno distintivo di forestiera: lei, per dirla breve, non era, o meglio non si sentiva, del posto, e seguiva, finchè le sarebbe stato possibile, il flusso migratorio dei grandi viali, nient'altro.
Mentre guidava avvertì un sudorino freddo che le imperlava le tempie, cercò di scacciare i pensieri inquietanti ascoltando un cd, ma non le fu di grosso aiuto, la sua testa produceva pensieri più potenti dei decibel emessi dallo stereo; forse era meglio rimandare, pensò, non ne aveva il coraggio...e poi che sarebbe successo nei giorni seguenti?
Anche se aveva avuto delle rassicurazioni in merito, si tormentava un angolo del labbro inferiore affondandovi i suoi incisivi chiarissimi, traslucenti che scandagliavano la superficie nella sistematica ricerca di una pellicina.
Anche le ascelle sudavano -e questo la preoccupava un po' di più, ma confidava nei miracoli promessi dal deodorante-, insomma il suo corpo procedeva verso una direzione non desiderata, forse anche la sua auto, e la mente cercava di mettere un po' di calma a quel guazzabuglio di pensieri e secrezioni, cercando di imporre, su tutto il resto, il messaggio: "Nessun problema, non c'è motivo di agitarsi."
Ma perchè inviare a se stessa quelle raccomandazioni se non ce n'era alcun motivo?
E tutto ricominciava da capo.
Come la mattina di ogni esame che aveva sostenuto all'università, la solita tremarella, il solito senso di vuoto viscerale..ma in questo caso non avrebbe dovuto sostenere alcun esame...beh, sarebbe potuto cominciare da qui il suo training autogeno: niente esami, nossignore,avrebbe semplicemente dovuto abbandonarsi agli eventi!
Intanto si avvicinava alla meta, prima-seconda-terza, freno-prima, un altro semaforo rosso, un altro ostacolo, un possibile ripensamento e sarebbe potuta tornare sui suoi passi.
Si guardò allo specchietto, si ravviò i capelli con gesto carico di premura e controllò la discreta presenza del lucidalabbra...verde, indugiò un attimo e l'impietoso clacson della macchina dietro di lei la costrinse ad una rapida decisione: ingranò la prima e continuò a dirigersi verso la meta prefissata.
Un suono, delle note -non era lo stereo nè un altro clacson- la fecero sobbalzare:"La cavalcata delle valchirie" tuonò imperiosa, era la sua suoneria del cellulare, seconda-prima, rallentamento, il tempo di mettere l'auricolare, altro clacson -non le riusciva creare un incavo testa-collo e continuare la guida- mentre la melodia incalzava, si schiarì la voce ed infine emise un modulato e convincente:
"Sì, pronto?"
"E' la signora Giulia?"
"Sì, chi parla?"
"Buongiorno signora, sono Letizia, l'assistente del dottor Beretta, le volevo ricordare l'appuntamento di stamani, tra mezz'ora.."
Fu un attimo, ma le balenò in mente l'idea di poter inventare una scusa per non andare, ultimo appello:
"Hmm...sono...già per strada, Letizia, non ci sono problemi..."
"Bene, signora, a tra poco,allora..."
 Fine chiamata.
 Tutto come prima, anzi, ora più che mai la vicenda assumeva un andamento irreversibile, e la definitiva esclusione dell'ultimo straccio di dubbio la fece piombare nella irrazionale e incontrollata paura di ciò che sarebbe successo di lì a poco, si sentiva sola.
 Al telefono, la sera prima, aveva declinato l'offerta della sua mamma:
"Ti accompagno domattina, se vuoi.."
 Era un tono di voce preconfezionato, una specie di risponditore automatico, e lo tradusse nella sua mente in: "Prenderò un permesso, anche se, lo sai, nella scuola non si può, ma l'affetto materno prima di tutto.."
 Pensò al fatto che sua madre non aveva assistito nemmeno alla sua tesi di laurea, era successo in pieno anno scolastico -se almeno ti fossi laureata durante la sessione estiva, gioia mia-, tanto lei era in gamba, se la sarebbe cavata benissimo da sola, dunque, pensò, quell'appuntamento non valeva certo una tesi e così rispose ciò che l'altra sperava di sentire:
 "No, grazie mamma, non ti preoccupare."
 E nemmeno lei, Giulia, lo avrebbe desiderato, in fin dei conti.
 Infine arrivò.
 Trovò un parcheggio a due isolati di distanza, o tre, non aveva ancora ben memorizzato il posto, nonostante non fosse la prima volta che andava lì.
 Effettuò un rapido check-list: chiavi, occhiali, borsetta, ok, poteva dunque avviarsi.
 La spremuta non aveva sortito alcun effetto, camminava con le gambe molli e la testa vuota, una parvenza di ultimi passi verso il patibolo, i suoi tacchi producevano un rumore secco, quasi metallico, esaltato da un'eco che ricordava vagamente uno scacciapensieri; si specchiava di tanto in tanto nelle vetrine sotto i portici e poteva constatare il contrasto stridente tra quel corpo solare, comunicativo e il senso di paura e disagio e inadeguatezza che occupavano la sua mente.
 Ripensò al dolore delle settimane scorse, all'insanabile frattura, al distacco.
 Suonò il campanello al portone di un palazzo condominiale dall'ingresso imponente, con annesso set di piante finte e portiere vero ma semincosciente, riverso sulla pagina di un quotidiano, una rampa di scale e si trovò davanti allo studio: non fece in tempo a toccare il battente della porta che questa si aprì, e dietro di lei Letizia, con sorriso finto come le piante ma rassicurante che la accolse:
"Buongiorno signora, si accomodi, il dottore la sta attendendo nel suo ufficio privato."
 Pochi passi ancora in un elegante corridoio costellato da stampe di angioletti con sguardo in su inframezzate da attestati professionali, e un'altra porta si aprì.
E si richiuse dietro di lei.
"Buongiorno signora, come sta?"
"Buongiorno dottore, un po' agitata, ma sto bene..."
"Beh, l'agitazione è comprensibile, ma le chiedo un po' di... fiducia...tra poco..."
Il dottore cercava di non essere banale, ma forse fiducia non era il termine esatto che avrebbe voluto esprimere, gli venne così, si schiarì la voce.
Giulia lo guardò smarrita per alcuni secondi, con quel completo bianco pareva continuare la serie degli angioletti, il silenzio di quello studio le parve accogliente e al tempo stesso imbarazzante, i suoi nodi si stavano sciogliendo, la paura si era sgretolata, lasciando al suo posto uno scenario del tutto nuovo.
Il dottore pareva sorpreso quanto lei, e balbettò:
"Signora,è molto elegante..e bella..ma mi scusi non vorrei che..."
Giulia non parve far caso alle giustificazioni, il suo sorriso illuminò la stanza, gli tese la mano, lui la strinse: in breve fu travolta  da un'onda anomala di effusioni, sospiri, era confusa e sorpresa -ma in quel momento non più di tanto- e si adagiò come meglio poteva nel divanetto a due posti, appoggiò la testa su un bracciolo, e si abbandonò dolcemente agli eventi: naufragò senza dibattersi, agevolò la costante discesa del suo corpo in profondità, in quel fluido di passione..
 Tre quarti d'ora dopo, stava ripensando con piacere a quegli eventi mentre Paolo, il dottor Paolo Beretta, le aveva appena praticato l'anestesia locale -non aveva sentito niente- e con tono professionale e composto, di fronte a Letizia e ad un'altra assistente, le riassumeva le varie fasi dell'intervento:
"Le farò un lembo...perforerò l'osso utilizzando delle frese di calibro crescente...inserirò una vite in titanio di 13 mm di lunghezza..suturerò il lembo con dei punti.."
Non sentì niente, quell'amplesso furtivo e travolgente occupava a tutto campo la mente e i sensi di Giulia, e riuscì a smussare  il taglio del bisturi, ad assorbire le vibrazioni del trapano, a lubrificare le spire dell'impianto che veniva introdotto in lei..
Si trovarono nuovamente nel privato, tutto uguale a prima, a parte il corpo estraneo che lui le aveva introdotto e un certo imbarazzo:
"E' andato tutto bene, vedrà, tra alcuni mesi...seguirò tutte le fasi successive, ovviamente... potremo rimpiazzare il molare che aveva perduto, stia tranquilla, signora...mmm...Giulia, non so cosa mi sia successo prima, ma ormai ti vedo da diverso tempo, sì come paziente intendo e ..tu mi piaci tanto, anzi, vorrei rivederti, se ti va ovviamente..."
"Non si pr..non c'è problema, Paolo, è stato molto strano, stranissimo, ma mi andava di farlo, e...ti telefonerò,ma...qui -e toccò con la mano la guancia, ancora insensibile- che succederà?"
 "Niente di particolare,oggi potrai avere qualche goccia di sangue in bocca, domani sarai leggermemte gonfia, tutto qua, e un po' di dolore per qualche giorno".
Le profezie del dottore nel descrivere gli eventi fondamentali che sarebbero accaduti furono esatte, ma non altrettanto per i tempi previsti: un'emorragia da impianto,sì, si sarebbe verificata in lei, ma solo una settimana più tardi, il gonfiore arrivò qualche mese dopo, e il dolore subentrò ancora più tardi, ma lasciò rapidamente il posto ad una grande, incontenibile gioia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La vita apparentemente lasciata scivolare dalla penna di uno scrittore è vita che freme ed accelera la chiusura del racconto per poter nascere.
:-)