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venerdì 4 novembre 2011

Terraferma, di Crialese

Quando esco dal cinema con la consapevolezza di aver visto un buon film, ho la sensazione che nel periodo a seguire la mia vita sia più lunga. 
E' una sensazione effimera, ma non importa. L'importante è che le immagini a seguire del dopofilm mi appaiano più vivide, e altrettanto importante è il fatto che io riesca a dare più senso a ciò che sto vivendo e facendo. Durante il ritorno a casa, reduce dal buon film, ho avuto ai miei lati le montagne, nella completa oscurità violata esclusivamente dai fasci luminosi dei fari della mia auto. Queste montagne mi rassicuravano, mi davano un senso di protezione, così come durante il film le immagini notturne del mare, un mare buio e misterioso, mi facevano star bene. 
Il mare è la causa dell'isolamento di Lampedusa, nel bene e nel male. Il mare è il fluido nel quale scorrono i pesci, le barche, gli immigrati, gli innamorati. 
Il vecchio è il capo che sottostà alle regole del mare e non a quelle più fluttuanti dell'uomo. 
Il giovane ascolta e rispetta il vecchio, ma lo fa con insofferenza. 
Il giovane si muove a tentoni, non ha punti fermi - come in un mare - e ondeggia da una posizione vicina al vecchio ad un'altra più qualunquista. 
Ci sono due donne, una bianca e una nera, che parlano poco, ma che si capiscono alla perfezione. Una ha il marito morto, l'altra ce l'ha lontano - praticamente la stessa cosa - su una terraferma quasi irraggiungibile che sa di America o di Atlantide, nonostante sia Torino.
Gli immigrati cercano Lampedusa, ma non è nemmeno rappresentata sul mappamondo, troppo piccola ed insignificante. Un mondo fluido, questo, delimitato costantemente dall'acqua. 
I turisti non hanno punti fermi, rappresentano l'oca giuliva della situazione, sono agli antipodi del vecchio, e non capiscono, anzi, fingono di non vedere o sentire l'ansia e le urla degli immigrati, sono troppo impegnati a non guastare la loro settimana di vacanza. 
Non capisce nemmeno il solerte comandante della guardia di finanza, troppo impegnato a far rispettare le regole in una cosa molto più grande di lui. 
La nascita, e la morte, entrambi questi aspetti fondamentali dell'esistenza - la creazione e la cancellazione di essa - gravano sulle storie di questi immigrati, e sui cortocircuiti che generano con gli abitanti dell'isola.
Un finale aperto, che continua a farmi pensare, anche in presenza, lungo il mio tragitto, della silhouette di questi monti per me estremamente rassicuranti.
Se io stessi in Africa e non avessi da dare da mangiare alla mia famiglia, farei esattamente come loro: cercherei una soluzione disperata di fronte ad una certezza quasi matematica di morte, lo farei soprattutto per i miei figli. 
Se io fossi un vecchio pescatore, cercherei di far rispettare il codice non scritto del mare. 
Se io fossi un giovane, cercherei a tentoni una via, forse quella del nonno, oppure cercherei l'amore in una di queste inconsapevoli turiste. 
Se io fossi una donna dell'isola, continuerei ad aspettare un uomo e a scrutare il mare, oppure cercherei altri lidi, forse più insignificanti ma meno ruvidi ed aspri. 
Una terraferma, insomma.

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