Domenica 26 giugno 2011, ore sei. L'albergue del pellegrino di Irun ha tutti i suoi occupanti già svegli, alle prese con gli zaini da riordinare e con la fila per l'unico bagno presente nell'appartamento. La signora che gestisce l'albergue ha messo due moka da sei sul fuoco, e un gradevole odore di caffé si è diffuso in tutte le camere; ancora più gradevole è vedere l'apparecchiatura del tavolo con fette biscottate, marmellate e biscottini. Gratis. Prima di partire lascio un'offerta e prendo una conchiglia, la concha, simbolo del camino, che lego ad uno zaino. Mangio, saluto, ringrazio, e monto gli zaini sulla bici. Poi mi viene in mente che le ruote non sono gonfie al massimo. Il risultato di questa intuizione mi porterà ad un'ora di ritardo sulla partenza. La pompa più bella che avevo acquistato ieri a Decathlon - carbonio, ultraleggera, ultraveloce nel gonfiaggio, ultracostosa - ha la guarnizione in gomma che perde, e invece di gonfiare mi ha messo a terra entrambe le ruote. La seconda pompa è ok, ma era predisposta per le valvole delle camere d'aria più voluminose, e mi ci vuole un po' per capire come ridurre il calibro dello sfiato della pompa. Si fanno le otto e venti, un po' di nervosismo da controllare, ma si parte, finalmente. Tramite stradine periferiche arrivo ad una zona di fabbricati industriali deserti, è domenica. Un continuo saliscendi, credo che i bookmakers in Spagna pagherebbero tranquillamente venti a uno chiunque scommettesse di trovare un ininterrotto chilometro di pianura s.l.m.; dopo un'ora arrivo sulle pendici di un colle, lo Jaizkibel che sale sui 350 metri e lambisce l'oceano, che intravedo di tanto in tanto sotto di me. Ora c'è un attraversamento di bosco inframezzato da capannoni, e da piccolissimi centri abitati, che pian piano si ingrandiscono fino a raggiungere San Sebastian. In uno di questi c'è una chiesa barocca, di una pietra gialla calcarea del tutto simile a quella che possiamo vedere a Lecce, e sugli scalini ci sono i resti di una festa di matrimonio. Invece del riso, petali di rose. Dopo una lunga discesa raggiungo San Sebastian, mi imbatto in una ordinata periferia di viali alberati e brutti palazzoni, il mio tempo a disposizione non mi consente una deviazione verso il centro. Una gara ciclistica mi impedisce di puntare in direzione Bilbao, alla fine decido di percorrere un chilometro sul marciapiede per non suscitare le ire del solerte servizio d'ordine. Cominciano le pendici del Monte Igueldo. Inizio a risalire con gran lentezza, complice anche il caldo che raggiunge - per me inaspettatamente, dopo aver letto e sentito in questi giorni pistolotti e sermoni vari sulla freschezza del clima basco rispetto all'entroterra spagnolo - i quarantuno gradi. Mi sorpassa un ciclista che rallenta e mi chiede(è più o meno ciò che riesco a sentire): "Aundi vaci?". Improvvisamente la Calabria mi pare più vicina al popolo basco di quanto non lo sia ai romani. "Santiago!" "Oh! muy guapo! Buen camino!" Il ciclista mi sorride e se ne va, lasciandomi un po' di buonumore. Una volta risalito ai 400 metri, comincia una gradevole sequenza di baie a picco sul mare, che sconfinano nel bosco. Tutto questo per quindici chilometri, fino a raggiungere Orio, un bel paesino che si affaccia sull'estuario di un fiume. Sono le sette, è tardi, e dopo l'ennesima coca-cola della giornata, decido che sia meglio fare qualche chilometro in più seguendo la costa, piuttosto che piegare verso Markina, nell'entroterra, come dovrebbe essere il cammino ufficiale per Santiago. Anche qui la strada sale e scende di continuo, ma perlomeno mi gusto un po' di oceano e non devo risalire a 500 metri di altitudine. Menomale che il sole qui tramonta alle dieci e mezza. Attraverserò Zumaia, Deba, Ondarroa, Leketio, tutti paesini che si affacciano sull'oceano, e la pietra, lo scoglio, abbozzi di isolette giocano con il mare, a disegnare pettini, spirali, cocuzzoli di roccia, calette, insomma una varietà di paesaggio marino davvero speciale. A Leketio si sale decisamente e si piega verso l'interno, verso Gernika, la destinazione di stasera. Sono le otto e mezzo, percorrerò altri venti chilometri di bosco, di solitudine e silenzi, in una luce smorzata di un tramonto che non finisce mai, raggiungendo Gernika prima delle dieci, un tempo che ritengo utile per alloggiare nell'albergue del pellegrino. Mi sbaglio: non accettano più pellegrini oltre le otto di sera. Mi lascio prendere dallo scoramento, ma la fame mi spinge a chiedere informazioni per un alloggio. Mi indicano l'hostal de Guernika, in centro. Lo raggiungo, suono. Non risponde nessuno. C'è un numero di telefono sul campanello. La signora che risponde, mi dice che devo raggiungere il ristorante Guernika per prendere le chiavi. Chiedo informazioni, due signori anziani mi mandano un chilometro più in là. Dopo altre richieste di informazioni, scopro che il ristorante era situato a venti metri dall'Hostal, dove mi trovavo prima. Non mi so decidere se sono più stanco o affamato, comunque entro in camera alle 22,30, faccio una doccia superrapida nel timore di trovare le cucine chiuse dei locali. Mangio alle undici una cena abbondante a base di zuppa di pesce, calamari ripieni e gamberoni al guazzetto. A mezzanotte sono di nuovo in camera, mi accorgo di essere l'unico essere umano nell'hostal, percorrendo un inquietante corridoio di parquet di legno scuro, stile shining. Se vedessi arrivare il bambino sul triciclo dal fondo del corridoio, mi addormenterei davanti a lui. Anche la paura si stanca.
Ho percorso centotrentun chilometri, e sono un po' stanchino.
Buen camino
Ho percorso centotrentun chilometri, e sono un po' stanchino.
Buen camino