Ho vinto!
Un sincero grazie alla giuria di qualità ed al pubblico presente nella bella caffetteria delle Oblate.
E' come se il 18 marzo avessi strappato alla vita dei brandelli di felicità, e l'eco di fondo di questa sensazione non si è ancora esaurita.
E così quest'anno ho un buon pretesto per andare al salone del libro di Torino: la lettura del mio racconto.
Appuntamento, dunque, al 12 maggio.
Qui i dettagli della serata, qui sotto il mio racconto:
La nuotata
C’era ancora la questione della nuotata. La nuotata verso la boa, intendo, prima che andassimo via dal mare. Anche la scorsa estate avevamo nuotato diverse volte fino alla boa, ci teneva tanto, io ero anche segretamente orgoglioso di questa sua richiesta. “Ok,” dico io, “mettiti le pinne e la maschera”. Elena sprizza gioia e corre verso l’ombrellone. Io mi immergo fino al costume, e aspetto. Lei non chiede mai più di una volta, non pretende, sta in un angolo e attende. E così arriva anche il momento della nuotata. In mattinata c’era stata l’uscita in pattino. Elena ha undici anni, è magra e minuta per la sua età, sorride. “Babbo, sono pronta”, mi dice con la voce resa nasale dalla maschera.
Ci buttiamo. Un brivido per l’acqua fredda, cominciamo a nuotare.
Abbiamo il vento di maestrale alle spalle, la boa è a circa trecento metri. Prendo il respiro girandomi a sinistra, così guardo Elena. Ci fermiamo un attimo. “Tutto bene?” “Sì”, risponde, togliendosi l’acqua dalla maschera. Riprendiamo. La boa sembra più corta, è inclinata dal vento, ma è sempre più vicina; Elena produce un sacco di bolle, che la carezzano sulla pancia, come un delfino che gioca con le onde. Siamo ormai a qualche metro, la sagoma della boa vista da sott’acqua mi inquieta sempre un po’.
Facciamo le ultime bracciate con la testa sopra. Afferriamo quasi all’unisono la boa, ci riposiamo.
Elena respira rumorosamente.
“Babbo, ho l’asma”, e mi sorride mentre vedo il suo torace che produce dilatazioni anomale. Cazzo, penso, perché non me l’hai detto prima. Ma penso anche che dirglielo non servirebbe a nient’altro che agitarla. Lei sorride, perché pensa di essere indistruttibile quando è con il suo babbo. Lo pensavo anch’io del mio. Lo scorso anno provò l’umiliazione di una settimana in ospedale con la polmonite e l’asma, ma non teme niente. Invece io ho paura, ma devo sorridere.
“Cerca di riposarti bene. Aggrappati con tutte e due le mani alla
boa e stai distesa a pancia in su”. Elena si distende e guarda il cielo.
Io mi guardo intorno. Non c’è una barca nei paraggi, sono le cinque passate. Il vento contrario non farebbe sentire le mie grida verso la riva, ed Elena si agiterebbe oltremodo.
“Quella nuvola sembra un barboncino,” mi dice, “e quell’altra sembra un uomo con i capelli a cespuglio”.
“Come i miei?”
“No, babbo, quello ne ha molti di più, è un grosso cespuglio.”
“Comunque i suoi sono più bianchi dei miei.”
“Babbo: è tutto bianco.” Ride. Rido.
“Riposati, Elena.”
“Sì. Fra poco possiamo anche andare.”
“Riposati bene, Elena.”
Temo il momento in cui Elena si staccherà dalla boa. Temo il punto di mezzo del tragitto, il punto troppo lontano da tutto.
“Come stai?”, tradisco un’inquietudine, lei se ne accorge.
“Sto meglio.”
“Senti. Il modo più riposante di nuotare è andare a dorso, e visto che hai le pinne, non dovrai nemmeno muovere le braccia.”
“Ma così non vedo dove vado.”
“Te lo indico io, Elena. Ti starò sempre accanto.”
“Va bene.”
“Dimmi quando sei più riposata e si va”.
Passano un paio di minuti. “Il cane si è trasformato.”
“Che?”
“Il barboncino della nuvola. Ora sta su due zampe, e le orecchie sono come spostate, forse il vento.”
“Già.”
“Sono pronta, babbo.”
Elena si stacca, comincia a nuotare a dorso, ma con le mani unite al corpo. Dopo un po’ si ferma.
“Come stai?”
“Bene, babbo.”
Le do un bacio sulla guancia fredda e morbida, le massaggio il torace. Riprendiamo a nuotare, Elena devia un po’, le sto accanto perché possa prendere la giusta direzione. Non posso far niente per lei, solo la direzione, solo quella. Guardo il fondale, è ancora troppo profondo. Mi guarda e sorride. Io mi sento un idiota, non l’ho protetta a sufficienza. Procediamo. Lentamente, ma procediamo.
Gli ombrelloni e le sdraio color argento sono alla stessa distanza della boa. In condizioni normali sarebbe un bel panorama: la serialità geometrica degli ombrelloni, i pini dietro la spiaggia, le colline e i monti ancora più in là. Elena si gira verso di me, sorride. Ma come fa? Procediamo. Il maestrale si è rinforzato, ma forse è suggestione su cui soffia la mia paura. Procediamo. La sabbia del fondale è più vicina, provo a stare a candela per vedere se tocco.
Niente da fare. Ma non manca molto. No. Riprovo. No. Calmo, dài, manca poco.
Riprovo. Sì. Tocco sulle punte, nuotiamo ancora per qualche metro. Tocco il fondale con tutta la pianta. Prendo Elena per una mano, l’avvicino a me e l’abbraccio, la stringo. Senza di lei non avrebbe senso. Niente.
“Che fai babbo? Come stringi…”
“Scusa. Come stai?”
“Te l’ho già detto: bene, meglio di prima.” Ha un po’ di affanno,
ma niente rumori tipo rantoli o fischi. “Non nuotiamo più?”
“Sì, nuotiamo fino a riva.”
“È stata una bella nuotata, babbo. Una bella avventura.”
“Sì, Elena. Una bella avventura.”
La boa è un punto giallo, all’orizzonte.
4 commenti:
'tacci tua, detto con affetto e alcuna sorpresa: la qualità della tua scrittura la conoscevo da tempo. Bravo Toni !
Complimenti. Ciao.
Grazie! Ciao, a rileggerti.
...bravo, però mi è salita un'ansia dallo stomaco che non vedevo l'ora di leggere il lieto fine...meno male che ti avevo sentito cinque minuti prima per telefono...Magia della scrittura!!!
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