Quella mattina non era come tutte le altre, no.
Abbigliamento
elegante -un completo blu, gonna a tubo fin sotto al ginocchio, giacca con
scollo piuttosto equilibrato, scarpe decolletè con tacchi a spillo, ma ci
era abituata-, capelli acconciati il giorno prima dal parrucchiere -ne
era risultato un morbido caschetto castano chiaro con striature
bionde, vagamente accennate-, insomma era pronta per
l'appuntamento, quell'Appuntamento, e si risolse ad uscire di casa.
Non
sapeva se era bene che facesse colazione, ma un vago senso di
debolezza, nello scendere le scale, la convinse a prendere una spremuta
d'arancia al bar dietro l'angolo.
Quella debolezza era anche legata
alla necessità di dover attraversare la città con la macchina, doversi
immergere nel caos multicolore strombazzante, roboante di un'umanità
frenetica che non poteva, in quel momento, comprenderla nè accoglierla.
Si
sentiva, in effetti, inadeguata, soprattutto negli spostamenti, lei che
aveva vissuto a lungo nella quieta e molle provincia, e non aveva
sviluppato le capacità del grintoso animale cittadino.
Un esemplare
di tale specie, solamente pensando a Piazza Gioberti, avrebbe visualizzato in
tempo zero, in un display mentale, un percorso con annesse le possibili
varianti in caso di improvvisi ingorghi, lei no..lei appoggiava sul
sedile a fianco una stropicciata cartina, aveva ormai un lustro, che
fingeva di consultare prima della partenza, una sorta di scaramanzia, ma
anche il segno distintivo di forestiera: lei, per dirla breve, non era, o
meglio non si sentiva, del posto, e seguiva, finchè le sarebbe stato possibile, il
flusso migratorio dei grandi viali, nient'altro.
Mentre guidava
avvertì un sudorino freddo che le imperlava le tempie, cercò di scacciare
i pensieri inquietanti ascoltando un cd, ma non le fu di grosso aiuto, la
sua testa produceva pensieri più potenti dei decibel emessi dallo
stereo; forse era meglio rimandare, pensò, non ne aveva il coraggio...e poi
che sarebbe successo nei giorni seguenti?
Anche se aveva avuto delle
rassicurazioni in merito, si tormentava un angolo del labbro inferiore
affondandovi i suoi incisivi chiarissimi, traslucenti che scandagliavano
la superficie nella sistematica ricerca di una pellicina.
Anche le
ascelle sudavano -e questo la preoccupava un po' di più, ma confidava nei
miracoli promessi dal deodorante-, insomma il suo corpo procedeva verso
una direzione non desiderata, forse anche la sua auto, e la mente cercava
di mettere un po' di calma a quel guazzabuglio di pensieri e
secrezioni, cercando di imporre, su tutto il resto, il messaggio: "Nessun
problema, non c'è motivo di agitarsi."
Ma perchè inviare a se stessa quelle raccomandazioni se non ce n'era alcun motivo?
E tutto ricominciava da capo.
Come
la mattina di ogni esame che aveva sostenuto all'università, la solita
tremarella, il solito senso di vuoto viscerale..ma in questo caso non
avrebbe dovuto sostenere alcun esame...beh, sarebbe potuto cominciare da qui il
suo training autogeno: niente esami, nossignore,avrebbe semplicemente dovuto
abbandonarsi agli eventi!
Intanto si avvicinava alla
meta, prima-seconda-terza, freno-prima, un altro semaforo rosso, un altro
ostacolo, un possibile ripensamento e sarebbe potuta tornare sui suoi
passi.
Si guardò allo specchietto, si ravviò i capelli con gesto
carico di premura e controllò la discreta presenza del
lucidalabbra...verde, indugiò un attimo e l'impietoso clacson della
macchina dietro di lei la costrinse ad una rapida decisione: ingranò la
prima e continuò a dirigersi verso la meta prefissata.
Un suono, delle note -non era lo stereo nè un altro clacson- la fecero
sobbalzare:"La cavalcata delle valchirie" tuonò imperiosa, era la sua
suoneria del cellulare, seconda-prima, rallentamento, il tempo di mettere
l'auricolare, altro clacson -non le riusciva creare un incavo testa-collo e
continuare la guida- mentre la melodia incalzava, si schiarì la voce ed
infine emise un modulato e convincente:
"Sì, pronto?"
"E' la signora Giulia?"
"Sì, chi parla?"
"Buongiorno
signora, sono Letizia, l'assistente del dottor Beretta, le volevo
ricordare l'appuntamento di stamani, tra mezz'ora.."
Fu un attimo, ma le balenò in mente l'idea di poter inventare una scusa per non andare, ultimo appello:
"Hmm...sono...già per strada, Letizia, non ci sono problemi..."
"Bene, signora, a tra poco,allora..."
Fine chiamata.
Tutto
come prima, anzi, ora più che mai la vicenda assumeva un andamento
irreversibile, e la definitiva esclusione dell'ultimo straccio di dubbio
la fece piombare nella irrazionale e incontrollata paura di ciò che
sarebbe successo di lì a poco, si sentiva sola.
Al telefono, la sera prima, aveva declinato l'offerta della sua mamma:
"Ti accompagno domattina, se vuoi.."
Era un tono di voce preconfezionato, una specie di risponditore automatico, e lo tradusse nella sua mente in: "Prenderò un permesso, anche se, lo sai, nella scuola non si può, ma l'affetto materno prima di tutto.."
Pensò
al fatto che sua madre non aveva assistito nemmeno alla sua tesi di
laurea, era successo in pieno anno scolastico -se almeno ti fossi laureata
durante la sessione estiva, gioia mia-, tanto lei era in gamba, se la sarebbe cavata
benissimo da sola, dunque, pensò, quell'appuntamento non valeva certo una
tesi e così rispose ciò che l'altra sperava di sentire:
"No, grazie mamma, non ti preoccupare."
E nemmeno lei, Giulia, lo avrebbe desiderato, in fin dei conti.
Infine arrivò.
Trovò
un parcheggio a due isolati di distanza, o tre, non aveva ancora ben
memorizzato il posto, nonostante non fosse la prima volta che andava lì.
Effettuò un rapido check-list: chiavi, occhiali, borsetta, ok, poteva dunque avviarsi.
La
spremuta non aveva sortito alcun effetto, camminava con le gambe molli e
la testa vuota, una parvenza di ultimi passi verso il patibolo, i suoi
tacchi producevano un rumore secco, quasi metallico, esaltato da un'eco
che ricordava vagamente uno scacciapensieri; si specchiava di tanto in
tanto nelle vetrine sotto i portici e poteva constatare il contrasto
stridente tra quel corpo solare, comunicativo e il senso di paura e
disagio e inadeguatezza che occupavano la sua mente.
Ripensò al dolore delle settimane scorse, all'insanabile frattura, al distacco.
Suonò
il campanello al portone di un palazzo condominiale dall'ingresso
imponente, con annesso set di piante finte e portiere vero ma
semincosciente, riverso sulla pagina di un quotidiano, una rampa di scale e
si trovò davanti allo studio: non fece in tempo a toccare il battente
della porta che questa si aprì, e dietro di lei Letizia, con sorriso finto
come le piante ma rassicurante che la accolse:
"Buongiorno signora, si accomodi, il dottore la sta attendendo nel suo ufficio privato."
Pochi
passi ancora in un elegante corridoio costellato da stampe di
angioletti con sguardo in su inframezzate da attestati professionali, e
un'altra porta si aprì.
E si richiuse dietro di lei.
"Buongiorno signora, come sta?"
"Buongiorno dottore, un po' agitata, ma sto bene..."
"Beh, l'agitazione è comprensibile, ma le chiedo un po' di... fiducia...tra poco..."
Il
dottore cercava di non essere banale, ma forse fiducia non era il
termine esatto che avrebbe voluto esprimere, gli venne così, si schiarì la voce.
Giulia
lo guardò smarrita per alcuni secondi, con quel completo bianco pareva
continuare la serie degli angioletti, il silenzio di quello studio le
parve accogliente e al tempo stesso imbarazzante, i suoi nodi si stavano
sciogliendo, la paura si era sgretolata, lasciando al suo posto uno
scenario del tutto nuovo.
Il dottore pareva sorpreso quanto lei, e balbettò:
"Signora,è molto elegante..e bella..ma mi scusi non vorrei che..."
Giulia
non parve far caso alle giustificazioni, il suo sorriso illuminò la
stanza, gli tese la mano, lui la strinse: in breve fu travolta da un'onda
anomala di effusioni, sospiri, era confusa e sorpresa -ma in quel momento
non più di tanto- e si adagiò come meglio poteva nel divanetto a due
posti, appoggiò la testa su un bracciolo, e si abbandonò dolcemente agli
eventi: naufragò senza dibattersi, agevolò la costante discesa del suo
corpo in profondità, in quel fluido di passione..
Tre quarti d'ora
dopo, stava ripensando con piacere a quegli eventi mentre Paolo, il dottor
Paolo Beretta, le aveva appena praticato l'anestesia locale -non aveva
sentito niente- e con tono professionale e composto, di fronte a Letizia e
ad un'altra assistente, le riassumeva le varie fasi dell'intervento:
"Le
farò un lembo...perforerò l'osso utilizzando delle frese di calibro
crescente...inserirò una vite in titanio di 13 mm di lunghezza..suturerò
il lembo con dei punti.."
Non sentì niente, quell'amplesso furtivo e
travolgente occupava a tutto campo la mente e i sensi di Giulia, e riuscì
a smussare il taglio del bisturi, ad assorbire le vibrazioni del
trapano, a lubrificare le spire dell'impianto che veniva introdotto in
lei..
Si trovarono nuovamente nel privato, tutto uguale a prima, a
parte il corpo estraneo che lui le aveva introdotto e un certo
imbarazzo:
"E' andato tutto bene, vedrà, tra alcuni mesi...seguirò tutte
le fasi successive, ovviamente... potremo rimpiazzare il molare che aveva
perduto, stia tranquilla, signora...mmm...Giulia, non so cosa mi sia
successo prima, ma ormai ti vedo da diverso tempo, sì come paziente
intendo e ..tu mi piaci tanto, anzi, vorrei rivederti, se ti va ovviamente..."
"Non si
pr..non c'è problema, Paolo, è stato molto strano, stranissimo, ma mi andava
di farlo, e...ti telefonerò,ma...qui -e toccò con la mano la
guancia, ancora insensibile- che succederà?"
"Niente di
particolare,oggi potrai avere qualche goccia di sangue in bocca, domani
sarai leggermemte gonfia, tutto qua, e un po' di dolore per qualche
giorno".
Le profezie del dottore nel descrivere gli eventi
fondamentali che sarebbero accaduti furono esatte, ma non altrettanto per
i tempi previsti: un'emorragia da impianto,sì, si sarebbe verificata in
lei, ma solo una settimana più tardi, il gonfiore arrivò qualche mese
dopo, e il dolore subentrò ancora più tardi, ma lasciò rapidamente il
posto ad una grande, incontenibile gioia.