E' l'acqua.
L'acqua che muove noi e muove anche i panorami e le emozioni.
L'acqua silenziosa come la neve, scrosciante come un ruscello, invadente come un'alta marea, potente come un temporale, immobile come il ghiaccio.
Penso all'acqua mentre oggi, venticinque giugno, sto pedalando verso il nord che ho nella mia testa da una vita, verso Capo Nord, verso Nordkapp. Ora la vedo sotto forma di placche di neve, sulle colline che mi circondano in questo altopiano sui 400 metri che congiunge Alta a Skaidi, due nomi qualsiasi che per me significano la prima tappa di un viaggio in bici, nella Norvegia del circolo polare artico. Qui la neve è l'espressione prevalente dell'acqua, persino quando la neve non c'è: i chilometri sono, nelle strade principali, indicati con dei cartellini tenuti a più di un metro e mezzo da terra da dei bastoni flessibili - le pietre miliari sarebbero invisibili per molti mesi qui -, i pozzetti della linea elettrica sono segnalati da dei lunghi bastoni gialli, e i rari cartelli turistici sono spesso protetti da un tettino in legno.
Di tanto in tanto si vedono i bastoni a bande nere e gialle, quelli che stanno a indicare l'altezza della neve, quelli che se ne stanno anche in mare, nei fiordi ad indicare il livello delle maree. In fin dei conti è la stessa cosa, l'acqua che c'è, l'acqua che non c'è. Sì, è la stessa cosa, l'acqua che muove i panorami e muove anche noi. E' solo il periodo che cambia: per le maree ci sono intervalli di otto ore, governati dalla luna, mentre per la neve la sua presenza ed assenza si regola sui mesi, governata dal sole.
La neve, si avverte ovunque. Anche questo tratto stradale d'inverno è sommerso dalla neve e chiuso per mesi. Dopo ogni bivio - anche i bivi sono una rarità, a volte per cento chilometri non ne vedi - all'inizio di ogni strada si trova una barriera, una specie di passaggio a livello e un semaforo, ma oltre non c'è la ferrovia, non ci sono incroci pericolosi, c'è il possibile blocco della circolazione causa neve e ghiaccio. In compenso ci sono dei sentieri invisibili, quelli che d'inverno percorrono le motoslitte, contrassegnati da dei segnali e dal taglio degli alberi(dove gli alberi ci sono).
Tutto è estremo qui. La quantità di acqua, la sua temperatura, anche d'estate vicina allo zero. Il panorama muta improvvisamente, anche il clima è governato dai capricci dei venti e delle nuvole che corrono rapide sopra la mia testa.
Gli alberi mi abbandonano, e mi trovo tra muschi e licheni, tra tappeti morbidi e sgargianti di erba. Progredendo nel viaggio, la neve a placche si fa vedere più insistentemente, anche se la temperatura si aggira sui dieci gradi. Mi fermo, osservo. C'è un ruscello che divide due colline, una cascatella, un tappeto erboso, e poi neve ai miei piedi. Mi lavo le mani con la neve prima di mangiare.
Non c'è nessuno, il telefono non ha segnale ormai da diverse ore. Sono solo, a tremilanovecento chilometri da casa, tutto questo mi dà gioia, dei brandelli di felicità, anche se non capisco esattamente il perché. Sono le sette di sera, devo ancora percorrere trenta chilometri e so che il sole, ancora alto sull'orizzonte, oggi non tramonterà.