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martedì 24 aprile 2012

La mia Granfondo della Versilia

Da sinistra: io, Tommaso, Massimo e Carlo

C'è sempre una prima volta.
E questa è la mia prima volta in cui ho corso in una gara ciclistica amatoriale su strada.
Il mio obiettivo era di arrivare sano e salvo all'arrivo, e possibilmente in compagnia di qualche compagno di strada. Obiettivi raggiunti. Poi, vabbé, il cronometro segna le quattro ore per 92 chilometri, e va benissimo così.
Avevo paura della partenza di più di duemila persone, soprattutto: bisogna avere quattro occhi per non volare in terra, ed è andata bene. Un'altra difficoltà: nella discesa e in pianura non sono abituato a correre in compagnia, con cambi frequenti per distribuire la fatica su tutti, e così non rimanevo attaccato alla ruota davanti per timore di toccare.  Temevo, inoltre, della distanza chilometrica da percorrere. Insomma, timori di una cosa nuova, come un bimbo(di cinquant'anni) che ha paura ma allo stesso tempo è curioso di vedere l'effetto che fa.
Ormai le velleità agonistiche non fanno più per me, ma la sensazione di fatica che si prova in salita, in una lunga salita, sono sempre quelle, come quando correvo a piedi a vent'anni: le emozioni più forti, che assaporo ed ho assaporato con piacere. Vedo la elevazione progressiva, sempre più in alto e nei tornanti vedo una festosa e variopinta processione di biciclettte e ciclisti. Insomma, nuove sensazioni e quasi tutte positive.
E' bello sapere di muoversi con l'energia pulita delle tue gambe, di scambiare qualche chiassosa battuta con i compagni di strada, di incazzarsi per le folate di vento improvvise, di rallegrarsi della presenza di molte donne, di sentire come stanno i compagni di strada.
Sto scrivendo a ruota libera(lo so, triste battuta), cercando di ricordarmi quello che mi passava per la testa durante quelle quattro ore, e sorrido di tutto ciò. Mi lascia un buon sapore: questa progressione dal punto A al punto Z, passando per B, C, D.... e infine tornando ad A, provando paura, allegria, gioia, tristezza, momenti buoni e meno buoni, è una specie di metafora della vita: cercare di usare la testa, occhi aperti, freni efficienti(sapersi fermare quando è necessario), e buone gambe.
E se una ruota va a terra, pazienza: si aggiusta e si riparte.
Chi desiderasse vedere il profilo altimetrico e altri dettagli tecnici può cliccare qui.

mercoledì 18 aprile 2012

Si continua a "Libr'arsi" alle Oblate

Martedì tre aprile si è svolto l'incontro mensile alle Oblate a Firenze, piacevole come sempre. Altra coincidenza inquietante(siamo ormai abituati): Stefano e Luca hanno portato un brano tratto da due autori diversi, ma con lo stesso titolo: "L'amante". Che vorrà dire?
Metto qui sotto il mio parziale resoconto  della serata, e vi ricordo, per chi volesse venire, che il prossimo incontro sarà martedì 15 maggio alle Oblate a Firenze alle 21,30.

"Strane creature" di Tracy Chevalier, letto da Cristina. Le persone parlano attraverso una parte anatomica caratterizzante del corpo, e con esse anche il carattere. Siamo all'inizio dell'800, una sorella  parla attraverso il proprio seno, la protagonista descrive sé stessa con durezza e ironia, quando si definisce come zitella di mezza età. Il tratto che si coglie di più è proprio l'ironia. Capitoli con io narrante alternato tra Mary Anning e Elisabeth Philpot.
"I tulipani" di Silvia Plath, poesia, letta da Bianca. Tanto è piaciuto tanto questo brano, quanto è devastante. I tulipani disturbano, prima del loro ingresso va tutto bene, ma è paradossale. Una grande violenza scuote la donna che sta sul letto. Lei odia perché riconosce l'amore che questa violenza porta. Sono ancora viva, pare dire, con questo disturbo dei tulipani. I tulipani disturbano la sua scelta di abbandono del mondo.
"A una passante" di Charles Baudelaire, poesia, letta da Jean. I poeti scrivono ed entrano in una specie di trappole. Commistione tra eros e amore. Il protagonista è per la strada e passa una donna. L'eros è la stella del mattino che non è stata ancora bruciata dal sole. La bellezza è ciò che accarezza l'eros. 
"L'amante" di Marguerite Duras, letto da Stefano. C'è un effetto ipnotico; questo brano riesce a descrivere con accessori un'interiorità e a suggerire qualcosa di erotico in modo molto caratterizzante. E' la fase androgina di ricerca adolescenziale.  Libro distruttivo, decadente. Lei sfrutta un lui per trovare una sensualità che lei stessa sta ricercando.
"Perché essere felice quando puoi essere normale?" di Jeanette Winterson, letto da Toni. L'adozione che costringe l'adottato/a a scrivere, immaginare la prima parte della propria vita. A farsi un sacco di domande sulle proprie origini. Le stesse domande che si fanno tutti, ma condite da maggiore amarezza. Forse un modo troppo accademico di esporre la propria adozione, ma la sensazione di verità pian piano emerge. Quella mancanza dei primi anni di vita, se vista come un'opportunità, potrebbe essere più un'apertura che un vuoto.
"Sogni di robot" di Isaac Asimov, letto da Benedetta. La centralità dell'uomo in questo racconto, e le domande primordiali sono sempre le stesse. Ricorda le domande metafisiche rivolte ad un santo. Questa domanda era stata posta tanto tempo prima. In questo linguaggio scientifico affiorano delle domande intensamente umane. il nostro punto di vista può essere insignificante, ma può assumere una enorme importanza.
"L'amante" di Abraham Yehoshua, letto da Luca. Uno dei primi libri che ha letto su israele; c'è una situazione di turbolenza, qualcosa nell'animo della protagonista emblematico del periodo di Israele stessa. Parla di un amico ucciso come fosse normale. C'è la dimensione del conflitto, dello sradicamento dell'inconscio collettivo, la diversa reazione della madre che potrebbe alzarsi dal letto solo in relazione ad un problema vero. Il padre è più accogliente anche se più restio ad alzarsi. E' più coinvolto nel rapporto con la figlia, anche lì la società impone doppio ruolo. C'è l'aspetto della sessualità precoce, forse la situazione di conflitto che anticipa la sessualità.
"Considero valore" di Erri De Luca, poesia letta da donatella.  Si avverte il bisogno di concretezza, semplicità, di pulizia, di alcune cose in cui si ritrova un centro a cui affidarsi. Si considera valore sapere dov'è il nord, il nome del vento che sta asciugando il bucato. Tutti gli aspetti rispecchiano la scelta morale del poeta, che Donatella condivide.  


lunedì 16 aprile 2012

Non so


Non so ascoltare

il suono
del mattino che i fiori schiude,
di rugiada che li bagna,
del gran sole che li scalda,
della brezza che li muove,
della sera che li chiude,
del tuo sommesso pianto
sull'umido cuscino

lunedì 9 aprile 2012

Su


Quando ti si presenta davanti un muro, devi provare a volare, anche se hai paura di non farcela. Un po' come la storia del calabrone, che - date le leggi della fisica, il peso del suo corpo, le sue ali relativamente piccole - non può volare; per fortuna il calabrone non lo sa, e vola.

Giovedì 29 marzo, ore 10,45, parto dalla stazione di Castelnuovo Garfagnana alla volta di San Pellegrino in Alpe. E' una giornata stupenda: sole, aria pulita e silenzio. Da 270 metri di altitudine si va su, su, su, fino ai 1620 metri tra le antenne e gli aquiloni in soli diciassette chilometri. Appena partito, riconosco tutti i segni della primavera: il polline dei pioppi che mi solletica il naso, la fioritura dei mandorli, il sole che mi scalda con forza. C'è il silenzio, nonostante il viaggio. La bici da corsa su asfalto è il viaggio più silenzioso che esista. Della mountain-bike disturbano i tacchelli delle ruote, dell'auto e della moto il motore, della corsa o passeggiata a piedi il tonfo delle scarpe che prendono contatto con il suolo. Invece della bici da corsa, per giunta in salita, dunque a minima velocità, non senti niente. Nessun rumore. E se per lungo tempo non passano macchine, puoi pian piano immergerti nel silenzio delle profondità del mare, invece che salire a quote di montagna. Del resto altus in latino significa profondo e alto, non fa differenza. Una esperienza meditativa, ma in movimento. Lento, per giunta. Uno slow-motion, insomma. Sì, ti puoi permettere di guardare il mondo come in un vecchio film super8 privo di sonoro, aggiungendo al rimpianto di immagini dai colori saturi la gioia di viverle, in questo caso, al presente.
Su
su
su
Ecco il paesino di Chiozza, ai novecento metri di altezza. Le poche casette sono affacciate sulla strada, il contatto con il mondo in caso di neve. In alcune porte ci sono le chiavi appese all'esterno, tutti i camini accesi. Un signore anziano seduto fuori con la sedia un po' in pendenza mi saluta. Finito il paese gli alberi riprendono il sopravvento, chiazze di neve sui prati. Se a dieci chilometri da qui ci sono diciotto gradi, la neve pare un miracolo. Aumenta il senso di spaesamento per il sottoscritto cresciuto ai bordi di uno scoglio.
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Anche la fatica sale, lo sforzo deve essere dosato al minimo indispensabile, anche la pendenza sale. Tutto sale. Percorro altri tre chilometri, poi una discesa paradossale di quattrocento metri, un inganno dell'altimetria: se da una parte mi fa tirare il fiato, dall'altra il mio corpo si illude che il peggio sia passato. Un piccolo falsopiano, e poi il muro. Ora devo provare a volare.
Su
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Il cartello del 18% mi dà il benvenuto, sollevando la testa vedo delle case a strapiombo, molto più in alto di me: non sarà lì che dovrò arrivare, ma è già sufficiente per incutermi timore. Alla prima rampa, il cuore in gola. Mi alzo sui pedali per dare un po' di energia alla pedalata, poi mi riabbasso stando un po' più in avanti per la paura di impennare. La paura di fermarmi, oltre alla delusione, è alimentata dalla eventuale urgenza di staccare lo scarpino da un pedale e poggiare rapidamente il piede per non cadere. 
Su
su
su
Dopo la prima rampa, la pendenza scende lievemente e mi permette, dosando al minimo la pedalata, di ridurre l'affanno. Ora si ricomincia, fatica bestiale, la strada sale sul crinale del monte, una lama di coltello senza tornanti con punte oltre il venti per cento. Sono alle case che vedevo da sotto, e vedo quelle di San Pellegrino.
Su
su
su
Prima del paese due tornanti, uno non cambia niente, l'altro dà un breve respiro, poi ultimo rettilineo durissimo, curva e finalmente la piazzetta del minuscolo paese di undici abitanti. Una felicità infantile prende il sopravvento, come quando a giocare a nascondino sei l'ultimo a uscire allo scoperto e riesci a urlare "liberi tutti". Manca ancora un chilometro per il passo, ma le pendenze si dimezzano e mi posso immergere nuovamente nel panorama, un capriolo in mezzo agli alberi è un'ulteriore sorpresa.
Adesso
sono
su
In cima, a 1620 metri, in un punto esposto a tutti i venti dell'appennino, avverto qualcosa di grande ma di effimero, una felicità che riesco a trattenere  con le unghie, i cui brandelli mi accompagneranno per tutto il ritorno. 



venerdì 6 aprile 2012

Fiat, clamoroso calo di vendite. Ma perché? Eh, perché?

I marchi di Fiat Group Automobiles (escludendo Ferrari e Maserati) totalizzano, a marzo 2012, 35.942 immatricolazioni con un calo del 35,6%.
Ma perché?
Eppure il gruppo Fiat ha sempre puntato sull'innovazione.
Lo dimostra inequivocabilmente una immagine di tanti anni fa del settimanale "Cuore", all'indomani dall'uscita della nuova Fiat 500(se volete leggere meglio, cliccate sulla foto):