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domenica 13 novembre 2011

Ci sei

A oggi, dodici novembre 2011, fanno trentatré anni.
Trentatré anni di vita, la mia, senza quella di papà. Mi verrebbe da dire babbo, proprio come mi chiamano i miei figli, ma si dà il caso che a Milazzo "babbo" significhi "scemo", e lui non ci ha mai permesso di chiamarlo così. Io ho cinquanta anni, e cinquanta meno trentatré fa diciassette. Tra un anno, senza di lui avrò passato il doppio degli anni che ho vissuto con lui. Eppure me li ricordo bene, quei diciassette anni, ne sono rimasto molto legato; qualcuno potrebbe dire che questo scrivere su eventi così lontani con punte di dispiacere, nostalgia e dolore sia patetico e patologico, e forse è così.
Mi manca ancora, come mi mancava quando si assentava in vita.
Ogni estate trascorrevamo un paio di mesi in Calabria e Sicilia, dai parenti, e papà ci raggiungeva solo nelle ultime due settimane. Mi mancava. Così come quando andò un paio di settimane a Firenze, durante l'alluvione del 1966. Avevo cinque anni, e mi mancava molto. Ma avevo la consapevolezza che sarebbe tornato, e tornava puntualmente. Mi è stato difficile, a diciassette anni, pensare che non sarebbe più tornato. Anche se durante il suo ultimo anno di vita, durante la sua penosa malattia, qualche volta gli ho augurato la morte. Ora è proprio quel momento, le 19 e dieci del dodici novembre. Quelle sette e dieci di sera sono state un crinale, un valico tra un prima e un poi, e io non sono bravo a fare tutti quei discorsi sul dolore che fortifica. Penso di più al fatto che mio padre per i miei figli sarebbe stato un nonno straordinario. Al fatto che si sarebbe rallegrato delle mie piccole gioie quotidiane e forse avrebbe sorriso con indulgenza dei miei sbagli, sui quali spesso mi logoro.
Ho scritto un libro e gliel'ho dedicato. 
Mi manca il suo modo di raccontare, lento e cantilenante, un po' pedante ma proprio per questo estremamente preciso nel dettaglio. Spesso, mentre lui parlava con qualche amico invitato a cena, lo stavo ad ascoltare, che parlasse di caccia, politica, di qualche ladro o assassino catturato nella Sila, della guerra. Non importa, io stavo ad ascoltarlo. E in seguito, quando si ammalò, stavo ancora ad ascoltarlo, incredulo del fatto che di lì a qualche mese se ne sarebbe andato.
Mi mancano le sue dimostrazioni di affetto: baci, abbracci, ed inoltre a lui piaceva tenermi sulle ginocchia.
A distanza di trentatré anni penso a lui con maggiore serenità, anche se a volte mi manca ancora.
Negli anni immediatamente successivi alla sua morte, l'ho sempre sognato malato.
In seguito l'ho rivisto sano, positivo, concreto, e questo mi fa piacere.
Tre anni fa ho attraversato tutta la Sicilia in bici, da Trapani a Milazzo, fino alla sua tomba.
E da quel momento me lo sono rivisto sorridente.
Ciao papà, ovunque tu sia, e anche se tu esistessi solo nella mente di chi ti ha voluto bene, ci sei.
Ci sei

venerdì 4 novembre 2011

Terraferma, di Crialese

Quando esco dal cinema con la consapevolezza di aver visto un buon film, ho la sensazione che nel periodo a seguire la mia vita sia più lunga. 
E' una sensazione effimera, ma non importa. L'importante è che le immagini a seguire del dopofilm mi appaiano più vivide, e altrettanto importante è il fatto che io riesca a dare più senso a ciò che sto vivendo e facendo. Durante il ritorno a casa, reduce dal buon film, ho avuto ai miei lati le montagne, nella completa oscurità violata esclusivamente dai fasci luminosi dei fari della mia auto. Queste montagne mi rassicuravano, mi davano un senso di protezione, così come durante il film le immagini notturne del mare, un mare buio e misterioso, mi facevano star bene. 
Il mare è la causa dell'isolamento di Lampedusa, nel bene e nel male. Il mare è il fluido nel quale scorrono i pesci, le barche, gli immigrati, gli innamorati. 
Il vecchio è il capo che sottostà alle regole del mare e non a quelle più fluttuanti dell'uomo. 
Il giovane ascolta e rispetta il vecchio, ma lo fa con insofferenza. 
Il giovane si muove a tentoni, non ha punti fermi - come in un mare - e ondeggia da una posizione vicina al vecchio ad un'altra più qualunquista. 
Ci sono due donne, una bianca e una nera, che parlano poco, ma che si capiscono alla perfezione. Una ha il marito morto, l'altra ce l'ha lontano - praticamente la stessa cosa - su una terraferma quasi irraggiungibile che sa di America o di Atlantide, nonostante sia Torino.
Gli immigrati cercano Lampedusa, ma non è nemmeno rappresentata sul mappamondo, troppo piccola ed insignificante. Un mondo fluido, questo, delimitato costantemente dall'acqua. 
I turisti non hanno punti fermi, rappresentano l'oca giuliva della situazione, sono agli antipodi del vecchio, e non capiscono, anzi, fingono di non vedere o sentire l'ansia e le urla degli immigrati, sono troppo impegnati a non guastare la loro settimana di vacanza. 
Non capisce nemmeno il solerte comandante della guardia di finanza, troppo impegnato a far rispettare le regole in una cosa molto più grande di lui. 
La nascita, e la morte, entrambi questi aspetti fondamentali dell'esistenza - la creazione e la cancellazione di essa - gravano sulle storie di questi immigrati, e sui cortocircuiti che generano con gli abitanti dell'isola.
Un finale aperto, che continua a farmi pensare, anche in presenza, lungo il mio tragitto, della silhouette di questi monti per me estremamente rassicuranti.
Se io stessi in Africa e non avessi da dare da mangiare alla mia famiglia, farei esattamente come loro: cercherei una soluzione disperata di fronte ad una certezza quasi matematica di morte, lo farei soprattutto per i miei figli. 
Se io fossi un vecchio pescatore, cercherei di far rispettare il codice non scritto del mare. 
Se io fossi un giovane, cercherei a tentoni una via, forse quella del nonno, oppure cercherei l'amore in una di queste inconsapevoli turiste. 
Se io fossi una donna dell'isola, continuerei ad aspettare un uomo e a scrutare il mare, oppure cercherei altri lidi, forse più insignificanti ma meno ruvidi ed aspri. 
Una terraferma, insomma.

martedì 1 novembre 2011

Sono l'ultimo a scendere, recensione

Una segnalazione. Nel sito "Bottegadilettura", ho rispolverato una mia recensione del libro "Sono l'ultimo a scendere", di Giulio Mozzi. Ve lo consiglio.
Buona lettura