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domenica 23 gennaio 2011

Il mio amico Leandro

Ho cominciato ad allenarmi con te dopo un momento in cui ero saturo di pista, ripetute, lunghi-lenti e gare. Durante la quinta liceo mi ero ripromesso di partecipare al campionato italiano di maratonina e poi smettere. Non mi divertivo più. Invece della gioia di un paio di anni prima di poter raggiungere il cartello di San Vincenzo solo con la forza delle mie gambe e tornare a casa, non facevo altro che guardare l'orologio per vedere quanto mi mancava al termine della corsa. 
Smisi. 
Poi un giorno ti incontrai a Piombino, al campo. Mi proponesti la cosa. Avevi parlato con il mio ex allenatore che non stava più a Piombino, e mi proponesti di riprendere, avevo quasi un anno di stop nelle gambe. Dissi ok, senza particolare convinzione. Ero all'università, venivo a Piombino il fine settimana e ci vedevamo al campo. E' stato davvero bello conoscerti. Non solo hai fatto rinascere in me la gioia della corsa, ma tra noi è nata amicizia, qualcosa che andava oltre le parole. A volte non ne dispensavi molte, di parole, ma non ce n'era bisogno. Stavi lì a bordo pista, nei mesi freddi intabarrato con un buffo cappello di lana, il tuo quadernino e il tuo cronometro. Cercavi di cogliere il lato buono di ciò che andavo facendo, e questo con me la cosa funzionava in termini di rendimento. Ma qui il rendimento non c'entra. C'entra il piacere di fare una cosa, il qui ed ora, e nello stesso tempo di inserire questa piacevole fatica in un programma più ampio, e costringermi ad infilare il programma di corsa tra le lezioni al'università. Guardavamo insieme i miei impegni e tu, con discrezione, incasellavi i miei vari corti, ripetute, lunghi, guardando l'orario delle lezioni e chiedendomi in punta di piedi che esami avrei cercato di preparare durante la sessione estiva. Cercavi di indovinare cosa facessi a Firenze, e volte ci soffermavamo a parlare di dove vivevo, di Firenze, se avevo la ragazza. Immagino che ti sarebbe piaciuto continuare gli studi, avevi una curiosità che non si fermava mai. I primi computer della Apple passati tra le tue mani, il tuo interesse per la programmazione di cui mi parlavi. La tua vita era zeppa: il lavoro, la tua ragazza Lorella, il tuo impegno di allenatore, i tuoi interessi di programmatore e musicali. Avevi quell'espressione "finto-burbera" che poi si scioglieva in un sorriso, una risata contagiosa con vocione alla Fred Flinston. E insomma, la nostra rete di amicizia aveva, di settimana in settimana, qualche filo in più, intessuto con pazienza e discrezione. Per tre intensi anni è andata così. Poi ho avuto problemi tendinei e continue contratture muscolari che mi hanno fatto appendere le scarpe al chiodo, e non ci siamo più visti, a parte un paio di cene. La nostra amicizia si è interrotta, tra l'altro essendomi trasferito a Lucca. Ma nei momenti in cui ci siamo rivisti, in brevi contatti, rinasceva il ricordo dell'affetto di quel periodo per me magico, risalente a ventotto anni fa. Ho il rammarico delle cose non fatte, delle parole non dette. Ci siamo incontrati lo scorso anno, d'estate, e ci siamo ripromessi di andare insieme a cena, e parlare di noi. E' per me un grande dispiacere, oggi, non averlo fatto.
So che hai continuato ad andare alla pista di atletica, so che ci stavi andando anche pochi giorni fa. Durante la tua attività di allenatore non ci sono stati grandi campioni e campionesse sotto la tua ala. Ma credo che in trent'anni tu abbia contribuito a formare tantissimi uomini e donne, che credo che oggi ti ricorderanno con affetto e commozione come lo sto facendo io adesso. Dovunque tu sia, ammesso che tu sia, un pezzetto di te sta dentro di me.
Ciao Leandro