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domenica 22 agosto 2010

Mondadori? No, grazie!

Mi ricordo una storiella che parla di un tipo che vuol smettere di fumare. Incontra un amico e gli chiede una sigaretta. L'amico gli dà la sigaretta un po' contrariato, replicando: "Ma non avevi smesso di fumare?" "Sì, ne ho intenzione, e sono alla prima fase: ho smesso di comprarle!".
Io sono in questa fase: ho deciso di smettere di comprare libri Mondadori, anche se non smetterò di leggerli(evviva le biblioteche, in questo caso, anche se preferirei vedere i miei libri letti in bella vista sugli scaffali del mio studio) .
Perché? Il motivo è semplice: ho letto l'articolo di Massimo Giannini apparso su Repubblica il 19 agosto scorso e ho deciso di non versare più soldi ad un'azienda che si fa una legge ad hoc per evitare il terzo grado di un processo che, in caso di sconfitta, avrebbe obbligato la Mondadori a versare 350 milioni di euro(173 milioni di euro di imposte dovute, alle quali si devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali sanzioni), chiudendo definitivamente la questione con il pagamento di 8,6 milioni di euro, il 5% di 173 milioni. Ovviamente, a parte qualche lettore di questo blog, nessuno si accorgerà nessuno del mio simbolico "boicottaggio": i miei acquisti annuali di libri Mondadori in confronto agli utili del gruppo Mondadori non rappresentano nemmeno un paramecio in confronto ad un elefante, ma tant'è. La Norvegia, nei suoi investimenti all'estero del suo enorme fondo pensioni, sceglie eticamente di non investire in aziende di armi, alcool, o che sfruttino il lavoro minorile. Mi sembra altrettanto etico non rivolgere i propri acquisti verso aziende che bypassano le regole del libero mercato evitando contenziosi tributari che parlano di tasse non pagate, facendosi leggi su misura. E anche i dubbi che nutre Vito Mancuso, sull'opportunità di continuare a pubblicare per Mondadori, dovrebbero far riflettere tutti gli autori che pubblicano per Mondadori. Così come Saramago, di fronte al gran rifiuto di Einaudi di pubblicare un lavoro dell'autore estremamente critico nei confronti di Berlusconi, decise di non voler più pagare, come sostenne ironicamente a giugno Le Monde, i sigari del proprietario di Einaudi.
Mondadori?
No, grazie.

giovedì 19 agosto 2010

La luce, a Capo Nord




































Ieri sono arrivato a Honningsvag con la pioggia. Era stata una bella giornata di sole con le nuvole che si rincorrevano e la temperatura relativamente mite, sui 15 gradi. Tutto bene, finché alcune nuvole probabilmente hanno litigato e si sono impuntate su un bordo di cielo, sono diventate nere e hanno creato un ingorgo. Nel giro di mezz'ora la luce ha cambiato qualità e intensità, ne è sortita una specie di crepuscolo livido e ombroso. Ha cominciato a piovere, per fortuna solo nella mia ultima ora di pedalata, e non ha più smesso. Oggi è il 27 giugno, domenica. In queste notti, da quando sono arrivato, non ho mai usato le tende oscuranti alla finestra. Sono così stanco, dopo otto ore di bicicletta, che potrei dormire anche dentro un solarium. Così se la notte apro gli occhi, sbircio fuori della finestra e intravedo il miracolo della luce a qualsiasi ora. Stanotte ho visto luce e pioggia, ininterrotta. Ora sono le sette e mezzo e metto fuori il naso: ancora pioggia battente, nebbia, e vento così forte che mi sposta i piedi(raffiche a 70 km l'ora, leggerò sul meteo), freddo(5-6 gradi). Mi convinco della necessità di fare gli ultimi 35 km che mi separano da Nordkapp con l'autobus. Alla fermata, qui a Honningsvag, sull'asfalto bagnato è stato disegnato con il gesso il gioco del mondo; dev'essere emozionante, per un bambino, giocare al mondo sul tetto del mondo.
Sembrano le cinque di sera di un inverno piovoso, invece sono le otto e trenta del mattino; a bordo dell'autobus ci siamo io e un giapponese. Incollo il viso al vetro del finestrino, si intravede la vegetazione artica - i soliti muschi e licheni, sempre loro - alternata a sassaie, placche di neve più frequenti; vedendo panorami così aspri, è comprensibile che dal 15 agosto in poi non è più garantito l'accesso a capo nord. La strada si inerpica su colline tappezzate di niente, niente alberi, nessun animale, nessun uomo in giro. Arrivo a Capo Nord, scendo dall'autobus in un piazzale desolato, tiro fuori la bici dal bagagliaio dell'autobus. Mi sento un po' smarrito, ma emozionato, sorrido al giapponese in mezzo alla pioggia, anche lui mi sorride.
E'un'emozione forte. Non importa il maltempo oggi, per me. Capo Nord è un luogo, certamente, e prima di tutto. Ma è anche un'idea, un nord che si trova nella testa, un senso aspro delle cose, una grandiosa bellezza talvolta difficile da cogliere e interpretare, forse come la vita. Sette anni fa scrissi un racconto, un tipo che parte per capo Nord dopo essere stato lasciato dalla moglie. Me ne ero dimenticato, fino a qualche giorno prima di partire.; tanto per rimarcare il fatto che da tanto tempo mi ronza capo Nord nela testa. Vi lascio il racconto alla fine del post.
In mezzo a questa pioggia e nebbia intravedo il centro di accoglienza, un luogo orribile dotato di caffetteria, ristorante, infarcito di souvenir e maglioni e berretti Nordkapp. Per fortuna c'è poca gente. Esco in direzione mare, di là dalle vetrate è situato il monumento simbolo di questo posto, un enorme mondo trapassato dall'asse terrestre inclinato di 26 gradi. A me non dispiace; in fin dei conti all'inclinazione dell'asse terrestre, è giusto sottolinearlo, dobbiamo tanto: le stagioni, il mutamento della luce nei vari periodi dell'anno, compresi il giorno e la notte polare. Più avanti ancora, un piazzale recintato e al di là, il niente, la nebbia. Ci sono, in questo momento invisibili, delle scogliere che vanno a picco per trecento metri fino al mare. Al di là questo mare, solo mare, e lastre di ghiaccio. I 71 gradi di latitudine, che difficilmente si oltrepassano - a meno di non visitare le isole Svalbard, chissà... - danno il senso di un irraggiungibile cui ci siamo avvicinati, il "più in là" di Montale che diventa un poco più a portata di mano. Guardo la nebbia, e ripenso alla luce di questi giorni. Ne ho vista tanta. Quando non è filtrata dalle nuvole, ti ritrovi questa luce sempre addosso, forse perché non sollevandosi tanto dall'orizzonte non ti puoi scordare della sua presenza; perfino a mezzogiorno, e in tal modo, trovandosi ad altezza occhi, abbaglia. Ma non ferisce, non ho mai usato occhiali da sole qua. Verso la mezzanotte - ho avuto modo di notare in altri giorni - il sole sta nel punto più basso all'orizzonte (verso nord! dove ci hanno insegnato che non c'è il sole) e dà l'illusione di un tramonto - lunghissimo - che non ci sarà. Poi risale, procedendo verso est. Esiste, qui, anche il nord magnetico; è il nord stesso, in un certo senso, capace di generare il fenomeno delle aurore boreali. Pur non potendovi assistere, ho visto nel bellissimo museo di Alta - qualche giorno dopo l'arrivo a Capo nord - diversi filmati relativi alle aurore boreali. Sono fantastiche. Le luci che giocano, mutano, si rincorrono, quasi desiderassero, nelle lunghe notti dell'inverno, riaffermare la luce sul buio, in modo plateale. Oppure dialogarci, con il buio. Tutti è estremo, qui, tutto è paradossale. Vedi cose che non vedi da altre parti. La neve in pianura di giugno, il sole che non tramonta e che transita anche a nord, le aurore boreali. Vedi degli uomini che da queste parti convivono con sei mesi di strade ghiacciate, neve, e ti chiedi come sia possibile. Il popolo Sami(o lappone) che vive qui da 9000 anni, parla della luce come un padre(il sole) che dialogando con la terra(la madre) dà la vita. La luce dialoga con il buio , cresce a scapito del buio stesso, da settembre inizia il processo inverso. Tutto uguale all'equatore, tutto diverso, a seconda del momento dell'anno, qui. Una palestra di luce e buio, una lotta e un dialogo infinito. E' tutto, per oggi.
Qui sotto vi metto il racconto di cui vi ho parlato.


Il viaggio

Era ormai da lungo tempo che pensava ad un simile progetto: ora, anche suo malgrado, poteva fare quel viaggio. In realtà si sarebbe aspettato uno stato d'animo diverso rispetto a quella vigilia di partenza, lui che apprezzava i preparativi e il momento iniziale quasi quanto il viaggio stesso.
Erano per lui strani giorni, contrassegnati da un evento che segna un prima e un poi: sua moglie che gli deve parlare - ma lo fa tutti i giorni, che significa? - dice di essere cresciuta interiormente, ha capito che lui non gli basta più, vuole fare nuove esperienze, le manca l'aria, e via di seguito bla-bla-bla.
Col passare dei minuti dall'inizio di quella conversazione comprese che il suo indice di gradimento stava per raggiungere gli abissi più profondi, il suo senso di autostima stava subendo un duro colpo e mentre guardava la bocca di sua moglie muoversi e articolare suoni che la sua corteccia non riusciva più a tradurre come parole, capì che avrebbe dovuto, da quel momento, badare solo a se stesso.
Si diventa improvvisamente un'entità singola, e si torna a pensare in dispari. Era molto strano dopo che, per molti anni, anche per le cose più banali in fondo alla sua checklist evocava la di lei costante presenza: - Ma questi biscotti con le mandorle piaceranno anche a lei? - oppure: - Penso che vada bene sabato sera per la cena a casa tua, Paolo, ma ti dò una conferma tra una mezz'ora, ok? - Tutta una serie di meccanismi della sua mente divenivano improvvisamente inutili, obsoleti, venivano spazzati via in un: - Ti devo parlare - e lasciavano un gran vuoto, questa era la sua prima considerazione.
Il treno era il mezzo ideale: gli dava la possibilità di guardare fuori e di guardare dentro, di fare brevi o lunghe tappe e scendere più o meno dove voleva.
Nonostante le ultime vicissitudini e il marasma mentale dettato da quei profondi cambiamenti, aveva chiara in mente la meta. Andare a nord, raggiungere il nord per antonomasia: Capo Nord. Con l'idea che si era fatto da piccolo dei punti cardinali, gli era rimasto in testa che il nord è avanti,il sud indietro, l'ovest a sinistra e l'est a destra, e guardare avanti era vagamente il suo programma.
Per giunta, sempre pensando a molti anni prima, alla carta geografica appesa ad una parete della sua aula, realizzava che il nord è su, il sud è giù, e lui ora voleva risalire, voleva affrontare quella ripida salita per poi guardare le cose dall'alto; gli veniva poi in mente che in posti come l'Oceania forse tenevano la cartina rovesciata, e le sue sicurezze vacillavano, ma solo per un attimo: si riprendeva pensando che lui non stava in mezzo ai canguri, e dunque non erano affari suoi.
Il treno conteneva il solito coacervo di studenti, lavoratori, turisti. Era piuttosto affollato nonostante i fatti di cui stiamo raccontando risalissero al limbo di un mercoledì qualunque del periodo tardo-primaverile post-pasquale in cui la metà delle conversazioni che si sente in giro ha come tema: "Il periodo di ferie che farai quest'estate, la meta e cosa ti aspetti da tutto ciò; descrivi anche le strategie che stai attuando in questo momento per ridurre lo strato di pinguedine che non vorrai mostrare al mare e che ti separa dalla felicità".
Cercava un posto davanti ad una bella ragazza, giusto per avere un quadro vivente davanti a sè che potesse essere fonte di godimento, tipo agli Uffizi mettersi davanti alla nascita di Venere e contemplare; solo contemplazione, in rari casi poteva avvenire una sia pur minima interazione. Ma accadeva anche, con suo gran dispiacere, che non potesse trovare un posto simile: o per mancanza del soggetto in questione, o perché la situazione sarebbe stata troppo palese e equivoca, magari mezzo treno vuoto e lui davanti ad una lei.
Quel giorno però, trovò una buona sistemazione: in uno dei vagoni per non fumatori c'era una ragazza piacevole, assorta nella lettura di un piccolo tomo, che lasciava davanti a sè due posti liberi, tutto ok; per non essere di impaccio per le gambe di lei, fra l'altro lunghe e ben fatte, ricoperte in parte da una gonna a tubo blu scuro, si sarebbe potuto accomodare accanto al finestrino con classica disposizione diagonale.
Si accinse a sistemare sulla tendina i bagagli preparati non molto diligentemente il giorno prima; nel momento in cui aveva ammucchiato le sue cose, aveva avvertito la paura – quasi certezza - di dimenticare qualcosa, sperava almeno che non fosse qualcosa di vitale importanza. Aveva chiesto alla sua ex-moglie il permesso di lasciare le sue cose lì per qualche tempo, e compresso l'essenziale in uno zaino da montagna e una valigia di pelle, che davano risalto, essendo in contrasto tra loro come destinazione d'uso - l'uno per avventura e l'altra da corso di aggiornamento - al carattere di estrema improvvisazione che rivestiva quel viaggio.
Gli pareva comunque salutare il fatto di poter lasciare nella sua ex-casa molti suoi oggetti, forse con il viaggio avrebbe compreso l'inutilità di molti di essi e non avrebbe litigato in seguito per il possesso dei libri senza il timbro personale, o della sedia impagliata dello studio, chissà.. Ma intanto si era immobilizzato là, in piedi, con le mani appoggiate alla valigia, con lo sguardo proteso al di là del finestrino, come se stesse cercando di cogliere un particolare che gli fosse sfuggito.
Il sussulto del treno che si metteva in marcia lo richiamò all'ordine, e mettendosi a sedere fece una rapida zoomata sulla tipa, sempre intenta alla lettura; proprio niente male, pensò, nonostante l'aria eccessivamente compita, tipo segretaria del capo: capelli lisci, neri con riflessi bluastri, lineamenti morbidi, occhi grandi, azzurri, bocca carnosa, un bel seno messo in risalto dalla maglia aderente, e l'aria assorta sul libro che le dava un piacevole tocco di seriosità.
Sperava che non scendesse alla stazione successiva, dopotutto voleva solo darle uno sguardo furtivo di tanto in tanto, mica saltarle addosso! La sensazione del treno in movimento era per lui piacevole in quel momento, forse desiderava che si muovesse qualcosa al suo interno, che potesse rinfrescare, rivitalizzare l'aria stagnante degli ultimi giorni; subiva di buon grado le scosse, gli sballottamenti derivanti dai cambi di binari abbandonando il suo intero corpo come una canna al vento.
Non faceva molto caldo, era mattina presto e la progressione della luce gli avrebbe dato il senso di progressione del viaggio, almeno in quella prima tappa.
Il sole basso all'orizzonte dava un impasto di colori tenui, la velocità dava la possibilità di soffermare lo sguardo solo sugli oggetti lontani.. Un'onda di benessere lo sorprese: avrebbe voluto congelare quell'istante, quel senso di indefinitezza e approssimazione; tutto sarebbe potuto accadere da quel momento in poi, e d'un tratto capì che il viaggio verso capo nord sarebbe durato una vita intera..

sabato 14 agosto 2010

Il buio. Verso Capo Nord













































Il buio.
Non è esperienza che si possa facilmente fare in estate, nel circolo polare artico. Il buio, semplicemente non c'è. Ma io me lo sono andato a cercare.
Nei tunnel per Nordkapp.
Sabato ventisei giugno sono partito da Skaidi in direzione nord-est, direzione mare. Un nuovo mare, un lunghissimo fiordo del Mar Glaciale Artico mi attende. Sono sempre in altopiano, c'è il sole e una temperatura sui diciotto gradi, che contraddice l'aspetto dei monti e colline circostanti tappezzate da placche di neve. Oggi percorrerò centoventi chilometri di solitudine, fino a Honningsvag, distante trentanove chilometri da Nordkapp. Gli alberi si diradano sempre di più, non vedo l'ora di raggiungere il mare. Mi piace la sensazione di passare da un mare all'altro, in questo caso tra un fiordo e l'altro, ma con la percezione di essere in una terra - in un'acqua, meglio - difficilmente definibile; qui si mescolano l'Oceano Atlantico, il Mar Glaciale Artico, il mare di Barents poco più in là, così come la Norvegia, la Finlandia e la Russia si compenetrano e si embricano intimamente. Quando raggiungo la costa, tutto si apre.
E' una follia staccarsi dal mare, mi viene da pensare.
Per ottanta chilometri non troverò altro che insenature, uccelli marini, due aquile e sole e vento e nuvole. Nonostante tutte queste visioni idilliache, oggi affronterò un'esperienza orribile, mai provata prima. Che avevo sottovalutato.
I tunnel, in bicicletta.
Me ne troverò quattro da attraversare. Dalla luce intensa dell'estate di queste latitudini al buio, un buio spettrale, accentuato dall'escursione termica(dai diciotto gradi di oggi ai sei-sette gradi dei tunnel).
Il primo, lungo due chilometri, più freddo degli altri tre, sovrastato da un monte con un ghiacciaio, che gocciola qua e là, con placche di calcare scivoloso sui bordi(un po' come le stalattiti).
Il secondo, di settecento metri, con un segnale inquietante all'entrata: non c'è illuminazione interna. Io ho un faretto davanti, due stop intermittenti dietro. Spero che tutto questo basti. Invece, esattamente a metà del tunnel, la mia luce anteriore è un punto in un magma solido di buio, procedo con terrore tirando a indovinare, mi trovo per un istante troppo nel mezzo della strada, per fortuna in quel momento non passano veicoli.
Il terzo, infinito, di 6,8 chilometri, che congiunge l'isola di Mageroya dove c'è Capo Nord, alla terraferma. Una discesa lunga e umida, che ti porta a più di duecento metri sotto il livello del mare, poi un plateau di qualche chilometro nella nebbia, e infine una salita al nove per cento che ti riporta in superficie. Ogni volta che passa un'auto o un pullman, tutto il tunnel fa un'eco progressivamente più forte, fino ad urlarti in modo insopportabile quando ti passa accanto. Nel tratto in salita ho un attimo di panico. Mi si sgancia la catena mentre inserisco un rapporto più morbido. Scendo, con la luce fioca della galleria riesco in poco tempo, per fortuna, a riagganciarla. E risalgo, fino alla luce.
Il quarto, inatteso, di quattro chilometri e quattrocento, mi accoglie quando la mia tensione nervosa ha esaurito tutta l'adrenalina. La mia paura è ormai stanca.
Sono sensazioni che ho provato, lo percepisco chiaramente, in qualche incubo notturno, con luci velate, freddo, umido, e il mio fiato dal respiro corto come sottofondo. Con una voglia di urlare, buttare la bici, e accucciarsi in un angolo del tunnel con la testa tra le mani.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.