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lunedì 14 giugno 2010

Segnalazione

L'associazione culturale "Le madie" ha inserito nel suo bel sito un mio racconto.
Un grazie di cuore a tutti gli amici calabresi.

domenica 6 giugno 2010

Sorridi, Sylvie!


Sorridi, Sylvie!

"Perché no?" mi fa Giacomo.
"Stare lì davanti a tutti, insomma... non è che..."
"Senti. A chi devi rendere conto? Se non dà fastidio a me, poi, che ti interessa? E non ti costa niente, lo puoi prendere come un gioco..."
Questo rappresenta l'embrione di tutta la storia. Mi sono rivista più volte questa conversazione nella mia testa. E' stato il momento decisivo, dove ho pensato e detto "ok, mi sta bene"; da lì in poi è tutto automatico, tutto consequenziale. In ogni storia c'è sempre un bivio, imboccato il quale il resto va da sé; si può anche tornare indietro, si può abbandonare, ma il gioco finirebbe prematuramente e lascerebbe il retrogusto amaro delle esperienze non vissute, dei rimpianti.
Insomma, è un sabato mattina di fine aprile; stiamo bevendo un bitter seduti al tavolino di un bar vicino alle mura. Giacomo mi fa vedere questo articolo de "Il tirreno": "Domani sera le qualificazioni di Miss Italia alla Casina Rossa".
La sera seguente sono lì, mi avvicino al tavolo delle iscrizioni.
"Nome"
"Sylvie Angeli"
"Italiana?"
"Sì"
"Età?"
"Ventuno"
"Titolo di studio"
"Liceo artistico"
"Ok. Tra mezz'ora ti presenti in costume intero e sandali color carne con il tacco. Lì - mette il braccio in avanti e continua a scrivere senza guardarmi - sul palco."
"Dove mi posso cambiare?"
"In bagno."
"E' tutto sporco in terra, non c'è un altro..."
"No."
Dopo un quarto d'ora siamo al cesso. Giacomo mi sospende per aria gli indumenti, in modo che non si bagnino di piscio e acqua sudicia. Sospiro. Sbuffo.
"Dài, Sylvie, tranquilla. Un gioco, ricordi?"
"Sì."
Uscita dal bagno in costume, dei ragazzi mi guardano. Uno ammicca ad un altro. Giacomo mi tiene stretta e mi appoggia il suo giubbotto di pelle sulle spalle. Mi avvicino al palco, un buttafuori mi invita ad andare dietro il piccolo sipario, fa segno di no a Giacomo. Attraverso la tenda e mi ritrovo tra una ventina di ragazze. Ci guardiamo senza dirci niente. Un paio le conosco di vista - Lucca non è poi così grande -, una lavora all'Esselunga ed un'altra fa la sciampista da "Morena hairfashion"; faccio loro un cenno di saluto. Mi alzano la mano senza dire nulla.
Arriva un tipo alto e corpulento con la barba e completo beige, mi ricorda la figura di Mangiafuoco di un libro di Pinocchio che avevo da piccola. "Ciao ragazze" si guarda intorno " siete uno splendore. Dico davvero."
"Grazie" risponde una tipa bionda che sorride e si ravvia i capelli con entrambe le mani.
Lo sguardo del tipo diventa serio mentre dà un'occhiata ad un foglio."Bene. Una alla volta, quando pronuncerò il vostro nome, andrete avanti fino a qui con lo sguardo in avanti, poi tornate indietro e vi disponete ad arco qui dietro sorridendo. Vi faccio vedere". Quella specie di gigante obeso esegue tutta la procedura, compreso il sorriso finale. Mi scappa da ridere, riesco a trattenermi, anche perchè nessuno fiata. Una ragazza tira fuori - da dove, mi domando - un minuscolo block-notes e una matita e prende appunti.
"Quando siete qui, state in piedi, di tre quarti rispetto al pubblico - dovete far vedere la vostra merce, no? - con la gamba destra più avanti e la mano destra appoggiata sul fianco, sempre sorridendo. Sempre. Domande? "
Il tipo si accende una sigaretta. "Provate qualche minuto."
Il palco si anima di passeggiatrici dal sorriso di plastica che si sfiorano, si evitano, si scontrano. Il rumore dei tacchi sul palco è coperto dalla musica techno che stanno ballando in pista. Cammino, avanti e indietro. E sorrido. Come Mangiafuoco desidera. Dopo qualche minuto comincia la gara. E cammino. Avanti e indietro. Il mio cervello è in stand-by. E sorrido. Sempre.
"Miss Casina Rossa...Vincitrice della serata èèèèèèè Sylvieeeeeee"
Mangiafuoco mi spinge con la mano appoggiata sul mio sedere "Vai Sylvie, è il tuo momento". Mi giro bruscamente e lo guardo male. Rifaccio il mio ingresso in palco, mentre sento dietro di me una miss mancata che mi urla "Racchiona bagascia".
Vedo Giacomo tra il pubblico raggiante, un signore mi mette la fascia "Miss Casina Rossa", tutti urlano, un paio di ragazzini mi fanno gesti osceni.
Dopo una mezz'ora mi trovo ad un tavolino con Giacomo e Mangiafuoco.
"Dovrai fare venti - dico venti, pena l'esclusione - serate come questa - lontana da Lucca, però, la regola è quella, eeeh - in varie discoteche della Toscana, e se ti piazzerai tra le prime tre in almeno cinque serate , farai la fase regionale con altre cinque sere in posti importanti, capisci?"
Faccio cenno di sì.
"Va bene" si affretta a dire Giacomo.
"Ti dò il numero di cellulare, telefonami martedì, ti faccio sapere le prossime serate. Mi chiamo Riccardo, chiamami pure Ricky. Oh, mi raccomando: non dare in giro il numero, intesi?"
Lavoro come assistente alla poltrona in uno studio dentistico; il lunedì mattina il dottore mi guarda come se avesse visto un'aliena:"E brava Sylvie, ho letto sul giornale..."
"Grazie."
"Contenta?"
"Mmm... Sì."
"Qualcosa non va?"
"No, dottore."
"Bene, questo ci porterà un po' di pubblicità, sa..."
"Ah..."
Anche i pazienti non parlano d'altro per tutto il giorno. E se non lo fanno loro, ci pensa il dottore. Vedo i loro sguardi - almeno mi pare - che cercano di indovinare al di là del camice che indosso. Eppure sono la stessa persona di venerdì scorso.
Molazzana, Pitigliano, Equi Terme, e altri posti del genere che a malapena ho sentito nominare sono le mie destinazioni. Ore di macchina - per fortuna guida Giacomo - e poi la serata, quegli sguardi. Una stanchezza infinita. Mangiafuoco ogni tanto presenzia, dice "brava" e se ne va. Un primo posto, poi tre locali in cui non sono piaciuta, un secondo posto.
Siamo di ritorno da Larderello. Fermi ad un passaggio a livello.
Giacomo si accende un sigaretta. Aspira. "Non so, forse potresti fare qualche lezione sul portamento. A tratti ti muovi un po' legnosa, come un...burattino, ecco."
"Non era un gioco?"
"Sì, certo... ma se tu andassi avanti, insomma."
"Ci stiamo rovinando tutti i week-end, compresi i venerdì sera. Non si parla di altro. Le nostre vite si sono fermate, ora mi proponi anche le lezioni di portamento?"
"Ma io non..."
"Scordatelo, ok? Mi sembra già esagerato così."
"Lo dicevo per il tuo bene..."
"Non mi rompere le palle, Giacomo. Falla finita."
"Come vuoi..."
"Ecco, voglio così. Che tu la smetta."
Il sibilo del treno in arrivo, la luce del locomotore che fende il buio della campagna, i vagoni merci che pare non finiscano mai. Ancora un'ora di macchina per tornare a Lucca. Dormo.
Due giorni dopo mi trovo a casa mia, dove sto fissando una mozzarella scondita e due pomodori.
"Mamma."
"Che c'è, Sylvie?"
"Come mai non fai più il primo?"
"No, è che... pensavo al fatto che tu..."
"Io cosa?"
"Sì, insomma... devi stare a dieta."
"Ma te l'ho chiesto io?"
"No, ma siccome credevo che..."
"Senti. Stasera a cena vorrei mangiare la pasta. Va bene?"
"D'accordo, d'accordo...E' che questa storia mi piace, e sono contenta che tu...sai, Sylvie, pensavo a quando ti abbiamo dato il nome."
"Già. Ogni volta devo dire come si scrive. E' una palla. Silvia non poteva andar bene?"
"Sì, lo so che è complicato, ma io... non te l'avevo mai detto? da giovane ammiravo tanto Sylvie, Sylvie Vartan. E ora, che tu sia in ballo per il concorso di Miss Italia mi fa piacere, è pur sempre il mondo dello spettacolo, no?"
"Mamma, non so nemmeno chi sia Sylvie Vartan."
"Ha fatto tanti spettacoli in tv, per esempio - non è che vi assomigliate, eh - quello con..."
"Non me ne frega niente di Sylvie Vartan, cavolo! E questa storia di Miss Italia l'ho presa come un gioco e voglio che rimanga così."
"Un gioco. Sì, però... ti occorrono vestiti Armani e Dolce e Gabbana, costumi, scarpe. Un gioco costoso. E lo faccio volentieri, per te..."
"Mamma. Mi hai regalato le scarpe e due costumi interi, ma i vestiti me li sono comprati da sola, con lo stipendio. Non ti ho più dato niente per il mangiare, è vero, ma è già qualche mese, no?"
"Se hai bisogno, Sylvie..."
"Avrei bisogno di aria. Tutti che si preoccupano di me."
"Sylvie. Sono tua madre; se mi preoccupo, lo faccio per il tuo bene, no?"
"Non sono più tanto sicura di queste serate, di questa storia, mamma."
"Ma che dici?"
"Va beh, lasciamo perdere. Stasera voglio mangiare pasta. Col pesto."
Le venti serate sono passate, sono stanca. Siamo nell'ufficio di Ricky, io e Giacomo.
"Bene, Sylvie. Tre primi posti, un secondo, due terzi posti. Complimenti. Ma si vede, i numeri ce li hai. Uno e ottanta, poi un bel fisico, quei lunghi capelli neri..."
"Come si procede?" taglio corto io, guardando il ficus, tanto rigoglioso quanto finto alle sue spalle.
"Montecatini, Viareggio, Chianciano, Follonica, Firenze. In una di queste sere devi prendere almeno una fascia: miss Toscana, miss sorriso, miss cinema, miss eleganza, ragazza Sasch, miss moda mare Triumph, ragazza in gambissime, miss Rocchetta bellezza, miss Wella, ragazza immagine. Una fascia a disposizione, dieci posti disponibili per la Toscana. In queste sere voi ragazze sarete l'attrazione, niente discoteca. La pista serve a voi ed al tavolo della giuria; ci saranno i migliori presentatori della regione, addirittura Carlo Conti. Devi mostrarti simpatica e sorridere. Sorridi, Sylvie. Sorridi."
A Montecatini ci fanno provare l'andatura e l'intervista. Già, come se non bastasse c'è anche l'intervista; c'è il deficiente di turno che fa degli apprezzamenti su di te e poi ti chiede che lavoro fai, che ti piacerebbe fare, i tuoi hobby, le tue misure... e tu lì come una cerebrolesa a sorridere e rispondere fesserie. Concordiamo tutto prima. Non ho più voglia di ridere. Quando passo davanti alla giuria - facendo un giro su me stessa - lì vedo con i block-notes, senza nessun pudore a posare lo sguardo dove pare a loro, le facce serie. Uno dice qualcosa al vicino di sedia, e quello risponde con un cenno di assenso, poi scrive qualcosa. Mi affiora un ricordo di quando ero bambina: una domenica mio nonno - faceva il contadino - mi portò alla fiera bovina a vedere vitellini, mucche, c'era anche qualche toro. C'erano di tanti colori, di diverse razze, ed io ero eccitatissima, non sapevo dove posare gli occhi. Mio nonno era contento della mia reazione, solo che era interessato all'acquisto di una mucca da latte, e quando ne ve vedeva una che potesse fare al caso suo, tirava fuori il suo quaderno e cominciava a scrivere. E diventava serio, guardava la mucca nei minimi dettagli, e scriveva. Tutte le mucche avevano il cartellino con un numero, come noi. E al tavolo della giuria sorridevano, applaudivano, ma quando scrivevano diventavano seri, proprio come mio nonno.
"Ma dove ce l'avevi la testa, stasera? Almeno sorridi, no? Ma che pensavi?" mi fa Giacomo in macchina.
"A mio nonno."
"Sylvie, non è il caso di prendermi per il culo. Non è proprio il caso, sai."
"Giacomo, se non sorridevo vuol dire che mi giravano le palle. E comunque non credo di non aver vinto per mancanza di sorriso."
"Fa' come credi, Sylvie..."
"Certo."
"...ma che cavolo ce ne andiamo a fare in giro per discoteche del menga da due mesi a questa parte?"
"Non sei mai stato così incazzato... Che c'è sotto? Non è più un gioco? No? Abbi il coraggio di dirlo, almeno. Ti eccita avere la ragazza al concorso miss Italia? Sono un tuo accessorio da mostrare ai tuoi amici?"
"Sylvie, piantala. Mancano quattro serate, ancora. Cerchiamo di rimanere calmi."
Alla terza serata prendo la fascia di miss Wella, per l'acconciatura e i capelli. Mi dovrò congratulare con il mio parrucchiere.
"Brava, Sylvie. Ora il gioco si fa duro" mi fa Mangiafuoco nel suo ufficio; io mi giro verso Giacomo, lui abbassa gli occhi "trascorrerai una settimana a Riolo Terme - dal 20 al 26 agosto per le pre-finali. Duecento concorrenti da tutta Italia, e le prime cento si sposteranno direttamente a Salsomaggiore. Le altre a casa. Portati un bel guardaroba, Sylvie."
Mancano due giorni; il tempo di spendere altri tremila euro in boutique, estetista e parrucchiere - me li regala Giacomo, io sono a secco - e sono già in partenza.
Babbo e mamma verranno solo il ventisei, se sarò ancora in gara; babbo fa il pizzaiolo e non gli danno le ferie, mamma non avrebbe problemi, lavora nove mesi all'anno in un calzaturificio - d'estate licenziano tutte le lavoranti - ma ha paura a spostarsi da sola. Siamo sull'uscio di casa, Giacomo sta sistemando una valigia trolley, un porta-abiti ed il beauty-case in macchina.
"Ciao Sylvie. Ti telefonerò tutte le sere. Fai la brava, eh."
"Ciao mamma."
"Ciao bimba" mi fa il babbo" 'un ti sta' a confonde' con quella roba, sai, e torna a casa."
"Ciao babbo." Lo abbraccio e scoppio a piangere, sto cinque minuti a singhiozzare ininterrottamente. Lui sta sulle punte - è una decina di centimetri più basso - per accarezzarmi la schiena. Mi calmo. Monto in macchina. Giacomo parte. Mi giro e li vedo lì fermi, che diventano sempre più piccoli, fino a scomparire.
A Firenze ci ritroviamo nel piazzale della stazione, riconosco le altre nove ragazze, le saluto. Un minibus Mercedes ci attende.
"Sylvie, mi mancherai. Io...io sarei venuto, ma se poi passi alla finale non ho più ferie...Verrò la sera del ventisei con i tuoi. Questa storia sta diventando sempre più grande. Anche se sono felice per te, allo stesso tempo mi spiace; e spero che tra noi non... "
"Stai tranquillo. E grazie per tutto quello che stai facendo. Ormai siamo in ballo, no?"
Salgo. Mi giro. Ora tocca a Giacomo scomparire. Mi metto a guardare il panorama dal finestrino. Un tipo in bermude sta con la testa sotto una fontana vicino alla Fortezza Da Basso, una ragazza seduta sullo zaino si sventola il viso con una cartina. Sento dei brividi sulla schiena, mi sistemo la felpa di cotone sulle spalle.
Dopo due ore arriviamo a Riolo Terme, ci portano in un grand hotel con piscina. La hall è maestosa, di quelle che ti fanno preoccupare per il conto.
"Camera 101, signorina. Primo piano. L'ascensore è là, dietro le bandiere."
Sono in camera con Lucia, una ragazza di Fucecchio. Bella ragazza, mi viene da pensare. Ma qui sono tutte belle ragazze.
Dopo una cena a base di mozzarelle scondite e pomodori, ci fanno accomodare nel salone dei congressi.
"Buonasera, mi chiamo Cesare Bellizzi. Porgo il mio benvenuto a voi tutte. Siete in duecento, provenite da tutte le regioni d'Italia. Rappresentate l'Italia, la nuova Italia, affascinante e seducente. Al giorno d'oggi l'immagine è un aspetto fondamentale della vita, nel vostro caso l'immagine è tutto. Alla gente non gliene frega niente di quello che cazzo pensate - scusate la franchezza ma ci tengo a sottolinearlo, lo dico anche alle mie clienti, ho un'agenzia internazionale di top-model - la gente vuole vedervi, vuole vedervi e basta. Vuole essere rassicurata dalla vostra immagine. Voi siete un punto di arrivo, i chirurghi estetici per il loro lavoro mostrano le vostre foto come modelli di riferimento. Perciò curatela questa immagine, compreso il modo di relazionarvi con gli altri. In questi giorni non potrete muovervi liberamente, non posso permettermi che sputtaniate - ehm, scusate - la manifestazione con delle cazzate adolescenziali. Non siete al paese dei balocchi, no, qui dovrete lavorare duro. E non sentitevi sacrificate per questo: migliaia di ragazze vorrebbero essere al vostro posto. Sarete controllate tutto il giorno - anche per quello che mangiate -, non potrete vedere le vostre mammine e i vostri fidanzatini. Usate il vostro cellulare per parlare con loro; in fondo è lo stesso. C'è anche la piscina per rilassarvi nei momenti di pausa, anche per darvi quel ritocchino di abbronzatura, ma senza esagerare, mi raccomando. Dunque. Dovrete imparare a muovervi con disinvoltura su quel cavolo di pedana, dovrete dire quattro stronzate a memoria - ma niente genialate, eh - e dovrete sorridere; la gente ha già i suoi problemi, non deve farsi carico delle vostre menate, sorridete e basta.
Domattina si comincia alle sette. Avete due giorni, poi inizieranno le pre-finali.
Buona notte."
Vado a letto. Mi giro e mi rigiro. Nel buio della camera non riesco a ricordare la disposizione del mobilio, a casa mia non sarebbe successo; non saprei arrivare al bagno senza accendere la luce, senza rischiare di svegliare Lucia. Al buio non riesco a ricordare il mio corpo: devo tastarmi i piedi, le gambe, la pancia, il seno, il viso. Non ricordo più il mio viso, ho perso la mia immagine. Non sono più niente. Il mio corpo disgregato ed impaurito si arrende, infine. Mi addormento.
"Buongiorno ragazze, mi auguro che abbiate dormito bene. Oggi ci aspetta una giornata durissima. Studierete l'andatura, il portamento, cosa dovrete fare in scena - c'è anche la Rai -, l'intervista col presentatore. Ora vi divideremo in quattro gruppi - vi hanno già dato il vostro numero, no? - e studierete ognuna di queste cose con me ed i miei tre collaboratori."
La cosa va avanti così per tutto il giorno. Stiamo in piedi per undici ore. Camminiamo avanti e indietro e stabiliamo le frasi idiote da dire al momento.
"Cos'è quella faccia, Sylvie? Sorridi a trentadue denti, cazzo!"
Sorrido.
La notte seguente sogno di stare in una teca di vetro completamente nuda. Un bambino mi fa una foto. E' una polaroid, vedo la mia figura che esce dalla macchina; il bimbo la prende e la attacca in un album che le porge una signora. Io mi accovaccio in un angolo e provo a coprirmi con le braccia, ma mi accorgo che anche il fondo è di vetro, ci sono persone che mi osservano anche dal basso. I flash mi bombardano da ogni angolo del prisma. Mi sveglio col fiato corto e il pigiama fradicio di sudore.
"Oggi proverete l'entrata e l'uscita dal palco, con lo staff delle truccatrici e parrucchiere collauderete il vostro look. Forza, andiamo ragazze. Poche chiacchiere, domani si entra in scena."
La sera, a tavola, dopo una giornata da urlo ci propinano minestra di verdure, poi filetto di merluzzo o in alternativa la solita mozzarella.
La sera dormo.
"Buonasera, buonasera, buonasera signore e signori da Marco Predolin! Con la suggestiva cornice di Riolo Terme alle mie spalle sono lieto di presentarvi queste splendide ragazze della selezione pre-finale di Miss Italia. Eccole che entrano! Fate loro un bell'applauso" Il rumore è assordante, io sono la numero 96, impieghiamo qualche minuto ad entrare una alla volta, ci disponiamo in quattro file su una gradinata."Guardate che esplosione di gioventù e bellezza, che fantastico plotone! Un applauso!" Io sto impalata in seconda fila con il sorriso congelato. Avverto il respiro corto e la artificiosa rigidità delle ragazze che mi stanno vicine."Non vorrei essere nei panni della giuria, gente. Per quattro sere consecutive dovranno eliminare venticinque di questi splendori. Che peccato! Ma così va il mondo. Solo la metà di questo esercito della bellezza - mi passerete il termine, eh - si trasferirà a Salsomaggiore. In bocca al lupo a tutte le partecipanti! Fate un applauso!" Avverto il misto di sudore e profumo che aleggia su tutto il gruppo.
Ci fanno rientrare nella hall dell'albergo. Ci chiamano una alla volta. Passano due ore.
"Ora è il turno della concorrente numero novantasei. Miss Wella Toscana, Sylvieeee Angeli! Un bell'applauso!"
Cammino, sorrido, faccio tutta la pedana, piroetto e continuo a camminare. Mi fermo accanto a Predolin.
"Ciao, Sylvie - come Sylvie Vartan, eh - che splendore stasera!"
"Grazie" la voce esce un po' tremula dagli altoparlanti.
"Da dove vieni?"
"Lucca."
"Oh, che splendida città! Le mura sono magnifiche! E quella piazza ovale...come si chiama?"
"Piazza dell'Anfiteatro"
"Ah, sì... ricordo. Ci hanno girato per lungo tempo la pubblicità di una rivista che non posso nominare, che parla di canzoni. Bella. Che fai, Sylvie, nella vita?"
"Lavoro come assistente in uno studio dentistico."
"Ahi, ahi! L'ultima volta che sono andato dal...no, meglio non parlarne, e poi ho rimosso. Ah, ma il conto, ah quello me lo ricordo!Ah ah ah!..."
Parte un applauso. Io rido di finto gusto.
"...Ma del resto - scherzi a parte - dare un bel sorriso ad una persona è importante, e tu lavori per questo.
Hai ambizioni nel campo dello spettacolo, Sylvie?"
"Beh, non esattamente. Vorrei... vorrei dipingere, insomma, sì, fare la pittrice."
"Ma che bello! Brava, Sylvie. Bene, la giuria ha fatto il suo lavoro. Vediamo. 88 punti su cento. Bene, Sylvie, puoi tornare. Un applauso a Sylviie Angeli!" Torno con il sorriso stampato sul volto. Mi fanno male le guance.
"Ed ora è il turno della concorrente numero novantasette..."
"Che cavolo ti è venuto in mente, Sylvie? La pittrice?" mi fa il Bellizzi nella hall " ora ci tocca cambiare la scheda per la press..."
"Scusa, mi è venuto così. Mi spiace..."
Scuote la testa e se ne va.
Passo il turno, e lo passo anche nelle sere successive, compresa la sera del ventisei. Non c'è il tempo di fare nient'altro che pensare alla selezione, ai capelli, all'estetista, al trucco, a stirare i vestiti, a fare foto. Non voglio ammetterlo a me stessa, ma mi sento lusingata di essere nelle prime cento. A mezzanotte del ventisei mi danno una libera uscita di due ore per festeggiare con Giacomo e i miei. Ci fermiamo in una gelateria. Sono contenta, ma non molto prodiga di parole. Prendo una coppa al cioccolato.
"Mi sei mancata, Sylvie."
"Anche tu, Giacomo."
"Brava Sylvie. Sei l'orgoglio della tu' mamma.”
"O brava la mi' bimba" mi fa il babbo "ma se tornavi a casa ero contento lo stesso. Uguale."
Lo sento. E' come una conferma. Mio padre sarebbe stato più contento se fossi stata eliminata. Penso al fatto che lui abbia acconsentito di chiamarmi Sylvie. Ma dov'era quel giorno?
La mattina seguente prepariamo i bagagli, grucce con abiti firmati, trolleys, beauty-case. Mi hanno portato altri vestiti e cambi da casa per Salsomaggiore. Partiamo in due pullman. Anche Lucia si è qualificata, siamo accanto di posto. Non ci confidiamo molto, ma stiamo bene insieme.
"Ora ci fermeremo alla prossima stazione di servizio" dice l'accompagnatore al microfono " dovrete prendere un vestito elegante giù dalle vostre valige e poi vi cambierete in viaggio. Manca ancora un'ora."
Parte un mugugno generale. "Ma perchè non ce l'hanno detto prima, a Riolo?" urlano in diverse. E chi non urla - come me - lo pensa. L'accompagnatore si rimette a sedere e inforca degli occhiali a specchio.
Il pullman riparte dopo che abbiamo trovato i rispettivi vestiti. Spostiamo le tendine su tutti i finestrini. Comincia la svestizione; l'autista e l'accompagnatore di tanto in tanto sbirciano agli specchi quella cinquantina di culi e tette che cercano invano un po' di dignità. Alcune ci ridono su mentre si sistemano il reggiseno, altre piangono, molte - come me - guardano il pavimento del pullman e cercano di fare più in fretta che possono.
A Salsomaggiore ci attende una fila di auto sportive di colore rosso: cento Ferrari con autista che ci scarrozzano strombazzanti in lungo ed in largo per Salsomaggiore.
In albergo il Bellizzi ci fa la solita manfrina sull'immagine - usa le stesse parole - e aggiunge: "Oggi è il ventisette; il due settembre - tra sei giorni - ci sarà la prima kermesse. Dovrete imparare un balletto. E imparare un balletto con cento persone vuol dire lavorare duro. Buona notte."
Ci sono da imparare molte cose: i movimenti di braccia piuttosto complicati, un accenno di tip-tap con i piedi, la sincronia con la musica, una musichetta simil-Broadway, l'entrata a gruppi di dieci.
Dodici ore di lavoro, e ancora si annaspa.
Dopo la cena stile weight-watcher, si riprova il balletto fino a mezzanotte.
Ce ne andiamo a letto.
"Ehi"
"..."
"Ehi, Sylvie."
"Chi è?"
"Lucia."
"Ma che ore sono?"
"L'una. Scusa se ti ho svegliato, ma... puoi venire con me?"
"Ma che stai dicendo, Lucia?"
"Dài. Ti prego. Voglio farti vedere una cosa. Vieni."
"Non capisco, comunque.." mi alzo e mi metto una tuta.
"Vieni". Mi precede nel corridoio dell'albergo. Siamo al pianterreno. In fondo al corridoio apre una porta, entriamo in una stanza non molto grande. C'è un armadietto in legno, un frigo enorme, un tavolo, uno spremiagrumi, un forno a microonde e una fila di piatti.
"Qui c'è la roba per le colazioni".
Ci mettiamo a mangiare come delle forsennate: vaschette di nutella, marmellatine, prosciutto cotto, prosciutto di Parma(è qui a due passi), succo di arancia. Non possiamo parlare, faremmo troppo rumore, ma ci guardiamo e ridiamo sottovoce, ci vengono le lacrime agli occhi; per la prima volta in dieci giorni sorrido di gusto a qualcuno. E' bellissimo. Facciamo un sacchetto le confezioni vuote, i tovagliolini sporchi, il cartone del succo finito. Gettiamo il sacchetto nel cestino di un bagno in corridoio e ce ne torniamo a letto.
I giorni trascorrono con le prove del balletto, l'entrata in scena, interviste alla stampa, i colloqui con due psicologi, le foto. Dormiamo quattro ore a notte. Fino al due settembre non possiamo vedere nessuno.
"Buonasera buonasera! Vi parla Fabrizio Frizzi da Salsomaggiore Terme per presentarvi la fase finale del concorso Miss Italia! Saluto i telespettatori, le belle partecipanti - che vedrete tra poco - e la giuria tutta. Saluto il presidente della giura che si è liberato da tutti i suoi impegni per essere qui, Maaaike Bongiorno! Un applauso a Mike, allegriaaaaa ah, ah, ah!" Applausi.
"Ed eccole entrare. Un bell'applauso!" Applausi.
"In scena, forza!"
Facciamo il balletto. Siamo in ballo, balliamo. Stasera ne elimineranno venti; il fatto è che la giuria è venuta nel pomeriggio e ha già deciso. Io non sono fra le ragazze eliminate. Le ragazze eliminate hanno dovuto fare le prove con Fabrizio Frizzi che si avvicina e dice loro dell'eliminazione. Devono mostrare sorpresa e dispiacere; hanno dovuto differire questo dispiacere alla sera, meglio se con lacrimuccia e camera che stringe sul viso.
L'indomani pomeriggio tocca a me. Fuori. Eliminata. Provo la scena madre con Frizzi, la ripeto pari pari alla sera. Non faccio la lacrima, ma viene bene lo stesso.
"Beh, è stato bello, no?" mi fa Giacomo mentre imbocca lo svincolo della A1. E' mattina. I miei stanno dormendo, dietro.
Io non rispondo, osservo la pianura infinita. Un campo di girasoli, in particolare.
Arriviamo a Lucca.
"Sono stanchissima, Giacomo. Lunedì riprendo a lavorare. Vorrei starmene un paio di giorni a poltrire senza vedere nessuno. Ti spiace?"
"...No, Sylvie. Avrei voglia di vederti, ma...riposati, Sylvie. Ti telefono, dài."

“Non c'è fretta, Giacomo. Ci sentiamo.” Ci lasceremo, lo so. E lo penso con sollievo.
Vado a letto prestissimo. Mi sveglio. E' l'alba. La mia casa sta a metà di una collina in campagna, a quattro chilometri da Lucca. Apro una madia, prendo un vecchio borsone ed esco. Faccio un sentiero, arrivo in cima alla collina. Il sole radente illumina le corolle di un campo di girasoli che si trova sotto di me. Ogni tanto il vento agita le lore teste, crea delle onde di giallo scuro, che arrivano fino a me. Mi accarezzano. Mi chino a raccogliere un soffione tra l'erba. Da piccola mi dicevano che se spargo tutti i suoi semi in un unico soffio, si realizza un desiderio. Soffio forte, tutti i semi si dileguano. Spariti in un attimo.
C'è silenzio.
Monto il cavalletto, apro lo sgabello, comincio a disegnare il bozzetto.
Sorrido.
E ringrazio.